La donna in cucina: tra i fornelli (di casa) e le stelle Michelin

In Italia vi è il maggior numero di cuoche stellate ma la realtà è un po’ diversa da come sembra..

Claire Power
Iride Magazine
5 min readJul 4, 2016

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«Cosa bisogna fare per ampliare la libertà di una donna?! Be’, darle una cucina più grande..» — Gonzàles, 2666

Ogni Domenica, verso mezzogiorno, arrivavamo, figli e nipoti, a casa dei nonni, a scaglioni. Subito mi dirigevo verso la cucina, attirata dal profumo di cipolle dorate o di frittura. Salutavo il nonno che puntualmente mangiava da solo, prima del pasto ufficiale, e finalmente potevo sbirciare nel forno o nelle pentole non tanto per assicurarmi che quello che aveva preparato mia nonna fosse di mio gradimento (non c’erano dubbi su questo) ma per pregustare quello che mi avrebbe servito.

Alla vista di un arancino o una cotoletta le papille gustative si animavano già, un’eccitazione come a una festa di capodanno appena prima della mezzanotte. E poi ecco servito in tavola, e stappavano lo champagne.

La pasta alla bolognese era cremosa per l’aggiunta di una noce di burro. Nella “genovese”, le cipolle, cotte un giorno interno, si scioglievano amalgamandosi alla carne. Il timballo di tagliolini richiedeva almeno due giorni, per preparare la suddetta “genovese” poi la besciamelle, i piselli, le polpettine!

Godevamo, riuniti al tavolo, sia del cibo sia della compagnia.

Il tempo speso da mia nonna ai fornelli era una dichiarazione d’amore che permetteva alla famiglia di stare assieme.

Questo era uno dei ruoli di mia nonna e quello di tante altre nonne italiane. E, dopo,quello delle mamme, anche se hanno meno tempo perché, d’altronde, loro lavorano.

«Un menù semplice e ben eseguito è la pace della famiglia, (..) ed è anche la certezza di vedere apparire a casa il Vostro compagno non appena i suoi affari e o il suo impiego lo lasceranno libero.»

dichiarava Ada Boni nella prefazione del suo ricettario Il talismano della felicità (1925), uno dei più famosi libri di cucina italiana con 800mila copie vendute, che ha, ancora oggi, il suo picco di vendite tra Aprile e Giugno, i mesi in cui si celebrano i matrimoni. Un regalo ideale alla sposa per assicurare non solo l’armonia della casa ma anche che lo sposo abbia voglia di tornarvi. Probabilmente, un manuale per la felicità del marito che troverà il piatto pronto tornando da lavoro, piuttosto che per la casalinga non retribuita.

Dai tempi del fascismo, però, la società è cambiata! La donna si è meglio inserita nell’ambiente lavorativo e di certo condividerà con il partner i doveri e i piaceri famigliari. Lo scorso anno, la Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, intervenendo alla cerimonia conclusiva del “Premio Immagini Amiche”, ha scagliato un feroce attacco alle pubblicità alimentari che ripropongono il modello stereotipato di famiglia in cui bambini e padre aspettano in tavola di essere serviti dalla mamma, uno schema che «abbiamo assimilato come normale» ma che «non rispetta la composizione della famiglia» attuale.

Per quanto sia condivisibile la critica a spot ormai stantii, su una cosa la Boldrini si sbaglia: in Italia, nella maggior parte delle famiglie, non esiste una ripartizione equa dei lavori domestici. Le donne dedicano alle faccende di casa il 200% di tempo in più degli uomini, rendendoci ultimi in Europa da questo punto di vista. Anche quando entrambi i partner lavorano in egual misura, le donne si occupano dei 3/4 delle incombenze domestiche.

La maggior parte degli uomini italiani non apparecchia né sparecchia, non fa la spesa, e non ci pensa nemmeno a lavare e stirare (il 98,6% evita completamente queste attività). Prendono in carico lavori più leggeri o saltuari come giocare con i figli o cucinare (anche se il 58% non lo fa). Ecco tutti quei padri che la domenica portano i figli al parco (e come sono premurosi, trovano addirittura il tempo di dedicarsi alla cura dei figli) e cucinano carne alla griglia fuori al terrazzo.

Tra i fattori che contribuiscono a questa situazione troviamo ad esempio la disparità di retribuzione a parità di qualifiche, un welfare inadeguato che fornisce scarse strutture di assistenza sociale, e un’ancora attuale “ideologia di genere”, che carica le donne di “aspettative sociali” da supermamma lavoratrice. Le donne di oggi fanno gli stessi lavori degli uomini con un salario ridotto, poi tornano a casa e lavorano anche lì, come signora delle pulizie, servizio di lavanderia, baby sitter e cuoca, senza paga. E ci si lamenta del fatto che “la mamma è sempre nervosa. Papà è più divertente.”

Eppure, per quanto le donne regnino nelle cucine private, il loro ruolo nelle cucine pubbliche è ancora incerto. L’Italia è al primo posto per numero di chef donne “stellate”: 47 su 110 nel mondo hanno ricevuto il prestigioso riconoscimento della Guida Michelin al 2015. Ma rimane un mondo sessista difficile da penetrare per una donna.

In primo luogo, infatti, vige l’immagine prevalente di uno chef prepotente, aggressivo alla Gordon Ramsey di Hell’s Kitchen, per intenderci, o del nostrano Cracco. E le donne vengono considerate troppo deboli per l’ambiente. Anche Cannavacciuolo ammette che nel suo ristorante non ci sono donne in cucina, perché gli verrebbe voglia di proteggerle dalla pressione.

«Il lavoro è tosto, l’uomo è più forte, lavora più ore, recupera maggiormente. La donna sotto stress tiene dentro, l’uomo si scarica, si sfoga.» — Cannavacciuolo

Un articolo del NYTimes apre la discussione sul sessismo in cucina, con il mercato della ristorazione ai primi posti per molestie riportate. In un ambiente dominato dal testosterone urlante, gli abusi non rimangono solo verbali. Ma per una cuoca che vuole fare carriera denunciare tali azioni vuol dire essere esclusa dal business, perché le voci sulla “stronza” che non fa il “gioco di squadra” circolano veloci tra un ristorante e l’altro. Forse non è dal lavoro in sé che le chef dovrebbero essere difese, ma dal maschilismo che lo domina.

E se per alcuni la donna è troppo fragile, quando invece affronta il lavoro con grinta viene definita arrabbiata e polemica, come in un articolo del Giornale di Camillo Langone, intitolato “Via le donne dalla cucina: sono più cattive dei maschi”. Argomentazioni fallaci a parte, conclusioni non coerenti e attacchi su questioni che riguardano cognomi o la maternità di chef stellate, quello che sembra emergere dal pezzo di Langone è la paura, nemmeno tanto della perdita di una polarità maschile-femminile, quanto delle conseguenze della presenza di donne forti in cucina: sono “devirilizzanti”.

Cioè se la donna si permette di affermarsi in un lavoro prevalentemente maschile è un pericolo perché rende l’uomo meno uomo. Meglio che siano dolci e sorridano, anche se fanno qualche errore. Ovvero, che tornino senza pretese al loro posto: nella cucina delle proprie case.

Claire Power

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