La mia festa Minimum Fax: divertente come una nave da crociera

Il reportage di un’esperienza che tutti gli amanti del Salone del Libro dovrebbero fare (ma possono anche evitare)

Simone Cartini
Iride Magazine

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Sono cresciuto nel mito del genio letterario di David Foster Wallace. Le sue opere di narrativa, soprattutto i reportage, sono conservate sul mio scaffale come reliquie: capolavori di comicità e virtuosismo letterario, uniti da una scrittura che si apre subito ma è timida a svelartene l’essenza più pura. Sono pressoché tutte edizioni Minimum Fax, la casa editrice romana cresciuta negli ultimi anni e affermatasi come eccellenza, nella piccola-media editoria di un paese che non legge più. Non leggiamo più libri e sovente neanche più le etichette al supermercato. E così, in un fresco venerdì sera durante i giorni del Salone del Libro, incappo nell’invito alla serata Minimum Fax in programma al circolo Esperia sul Po. Non mi faccio sfuggire l’occasione, raccolgo un amico, Lorenzo, e me lo porto dietro, in questa rocambolesca avventura descritta come se fossi IO, Wallace[1].
Insieme ci siamo buttati a capofitto nella mischia ricreativa, alla ricerca del Divertimento Organizzato. Quindi quel che segue, è il diario preciso e dettagliato della serata.

Ore 23.20–23:40: L’arrivo. Tutti in coda per venti minuti o forse più. L’ingresso con il flyer “esclusivo” che si può reperire da ogni parte (bisognava almeno stamparlo? Macché, va bene lo screen sullo smartphone). È una festa riservata ma aperta a tutti — tutto ciò mi suona come un controsenso –.

Ore 23.43: Dentro al circolo Esperia, attraverso il salone-discoteca esco subito in terrazza: qui ci fanno anche le feste dei canottieri. Il mio amico, torinese DOC, che conosce un altro amico che fa parte dell’associazione sportiva di canottaggio, mi racconta che sono un gruppo elitario: il circolo ha una storia secolare (l’Unità d’Italia compiva 25 anni, come me ora, e già a Torino si univano i canottieri). Mi dice che fanno delle feste incredibili, mettono pure dei divanetti sulla terrazza (che ora è piena di gente neanche fossimo incasellati come nel Tetris) e succedono — spesso, aggiunge — situazioni “piccanti” (io sono sempre un po’ lento a capire e penso che facciano spesso cene a tema messicano: chili e jalapeno).

Ore 23.55–00.20: Fare coda è una costante della serata, altri venti minuti per prendere un drink annacquato con un barista che pensa più a rimorchiare la mia vicina di corsia piuttosto che versarmi il gin. Ne vale la pena giusto perché ho l’occasione di guardarmi bene intorno e noto due cose: 1 — c’è un gigantesco scheletro di dinosauro in legno che pende dal soffitto. Vi giuro ho cercato in tutti i modi di trovare un nesso, un’analogia, con una canoa ma ho fatto fatica. Si vede che questo animale preistorico sarà scappato dal museo di scienze naturali al di là del fiume. Ecco, forse come le canoe sapeva attraversare i fiumi. Gli avranno fatto i complimenti e l’avranno portato poi qui (con l’inganno altrimenti col cazzo che si faceva appendere);
2 — quando era praticamente il mio turno per ordinare il cocktail, butto l’occhio per guardare se ho le scarpe allacciate e scorgo sotto il bancone un pezzo di carta stropicciata, intestata Esperia, con su scritto: Si spiritus pro nobis, qui contra nos? vi traduco dal latino: Se lo spirito è con noi, chi
potrà andare contro di noi?[2]
Finita la mia riflessione su questi punti, finalmente, ho potuto ordinare il mio gin tonic. Ho ringraziato il barista per la celerità: mi ha guardato orgoglioso. Io un po’ meno dopo aver assaggiato il cocktail.

la foto è di repertorio (2015) ma il clima era sempre lo stesso

Ore 00.30: Il primo evento di socializzazione, vera, della serata: io e il mio amico Lorenzo — sempre quello sabaudo DOC, che al posto delle vertebre ha dei gianduiotti — ci presentiamo a due ragazze in terrazza tentando un approccio intellettuale: un brindisi improvvisato alla luna crescente, sono sempre stato appassionato di astronomia, se poi mi lancio sull’oroscopo gioco sempre in casa con le donne. Cin cin, cosa fate voi due? Beh, rispondo io, sono un lettore per Minimum Fax. Tengo il profilo basso. Lorenzo invece si vende come assistente autore per un reality Mediaset. Se ci ripenso, ne sembravamo convinti davvero. Io poi sono stato molto bravo a citare autori sconosciuti, o che conosco praticamente solo giusto perché sono amici che hanno pubblicato il loro primo romanzo, alcuni autoprodotti. Dimmi con chi vai che ti dirò chi sei, diceva uno che se ne intendeva. Si evince che Ludovica, la mora con cui ho trovato maggior affinità sin dal primo scambio di drink, sembra davvero incuriosita dal mio mestiere. È attirata dall’alone di mistero che sembro portarmi addosso [3].
Continuo a svendermi elencando il mio pseudo curriculum e aggiungendo dettagli magnifici: lo sai che una volta ho parlato con Nicola Lagioia su Elena Ferrante? Non sai chi è la Ferrante? Amica mia, guarda il selfie di James Franco prima di un party e poi ne riparliamo [4].

Ore imprecisate, intorno alle 02.00: Ogni festa ha la sua anima. Ma non l’anima astratta, immateriale (ehi, pesa davvero 21 grammi?) così tanto discussa nella teologia: ad ogni festa c’è un’anima della festa. Ovvero, il personaggio più istrionico, quello da passerella tra le luci psichedeliche multicolore. Giusto qualche sguardo intorno al salone che balla e colgo quello che sono certo esser il Party Boy. Che tu sia a un rave party o all’aperitivo-incontro snob Einaudi, la categoria del Party Boy esiste sempre. A volte non si nota, bravi, ma è come i mutanti degli X-Men: anche se non li vediamo sono tra noi.

Ore 2.30: la prima capatina in bagno — qua si vede che la media di birra ha fatto il suo effetto –: la vescica è piena e spinge per uscire come in sala parto con i bebè che vengono soffiati fuori. Da buon maschio Alpha, ci terrei a espletare i miei bisogni in un angolino appartato all’aria aperta. Purtroppo il luogo non presenta zone consone, oltre ad avere dei brutti ceffi a sorvegliare gli spazi più bui[5]. Mi ritrovo quindi a fare la coda per l’unica toilette disponibile (chiaramente quando hanno pensato a fare i bagni non hanno tenuto conto della proporzionalità: persone = litri di birra = bagni di servizio) e qui in mezzo agli uomini inizia il forte campanilismo. Quando si aspetta per entrare e urinare si creano sempre amicizie lampo con divertimento puro: lo sai che quello davanti a noi è il figlio di Maurizio Mosca? mi dice il ragazzo alla mia destra. Sembriamo amici da una vita, compagni di banco a scuola che preparano la cerbottana Bic per assediare il secchione. Ma dai, dico io. E lui mi risponde di non chiamarlo Mosca altrimenti si incazza. L’altro si gira e ci fa uno sguardo torvo. Io mi zittisco mentre il mio compagno ancora continua a fare il verso: zzzz, zzzz, zzzz.

Ore imprecisate, intorno alle 03:30: La pista da ballo inizia a svuotarsi e noto una figura snella, sinuosa nei movimenti e con quella lunga chioma scura: che sembra volerla cingere nella gelosia di possedere quella creatura magnifica. Tra le figure presenti a una festa -oltre all’anima già ampiamente citata — c’è la regina di cuori, la ragazza che quando la vedi non puoi più smettere. E come ogni volta, quando c’è una ragazza finisce tutto. Le conclusioni delle più belle serate hanno sempre come fattore determinante una ragazza che ti prendi e ti porti via — o viceversa, perché siamo noi uomini che abbocchiamo sempre — per il divertimento finale.

La regina di cuori si chiamava Anna, lo so perché me lo ha detto Lorenzo il mattino dopo quando ci siamo sentiti al telefono: se n’è pure andata via da casa sua senza nemmeno salutarlo, mentre lui ancora dormiva.

Io, abbandonato dall’amico, a casa ci ero tornato da solo: una cosa non divertente che farò ancora.

[1] Sia chiaro, io ci terrei davvero a rassomigliarli: quando sono in camera da solo indosso la bandana e gli occhialetti. Peccato che sembro solo l’ultimo Axl Rose, ingrassato è con la voce di mio nonno.

[2] Scopro esser il motto del circolo di canottaggio, gentilmente donato da Gabriele D’Annunzio nel 1926 in occasione di un sodalizio con un’altra società

[3] Ho avuto una frattura del setto nasale alcuni mesi fa, dunque mi ritrovo con questa cicatrice alla Jean-Claude Van Damme che mi fa una faccia molto duro in un corpo di letterato. Dato che sono autore di questo articolo mi sento un letterato, okay?

[4] Io me lo immagino arrivare alla festa e chiedere scusa agli amici per il ritardo: “ero perso nella lettura”.

[5] Ma dico io, quando si trova una ragazza bisogna per forza portarsela a casa per gioire della reciproca amicizia? Niente più spazi intimi appartati, non esiste più la libertà in tutto, neanche quella di stampa in Italia.

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Simone Cartini
Iride Magazine

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