La Turchia si allontana dall'Europa e a rimetterci “è sempre il giornalismo”.

Silvia Muletti
Iride Magazine
Published in
4 min readJan 1, 2017

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Continuano le dubbie politiche turche antiterrorismo mentre l’Unione Europea sta a guardare.

“Constato con amarezza che la Turchia si allontana ogni giorno di più dall'Unione”.

Lo ha detto il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, il 9 novembre scorso. E fa sembrare l’Europa, un padre che guarda il figlio uscire di casa, sbattendo la porta.

Il rincaro dei controlli presenta un Erdoğan più sicuro di sé, tanto da non batter ciglio ai moniti del presidente Junker e i richiami di molti Paesi UE al rispetto dei diritti umani. Anzi, si permette lui di imporre le regole del gioco: avete presente l’accordo sui migranti firmato -con fatica- a marzo? I rimpatri già organizzati dalla Grecia alla Turchia? Ecco, se la Turchia non vedrà passaporti che permetteranno la libera circolazione dei turchi nell'Unione, tutto questo rischia di saltare.

Al centro del contrasto sta la percezione di un abbandono. Un abbandono non proprio da parte della Turchia rispetto a patti internazionali, ma dell’Unione Europea nella tutela dei cittadini turchi, futuri cittadini europei.

A preoccupare anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sono infatti “gli arresti preventivi per le indagini legate al terrorismo”. Mentre il Presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana Giuseppe Giulietti, si impegna ad “affiancare i cronisti che hanno deciso di sfidare la galera pur di continuare a lottare per la libertà e i diritti”.

Le carte a colori di Limes, rivista italiana di geopolitica, consultato il 30/11/2016

Si lasciano sullo sfondo le questioni che solitamente nominano la Turchia come protagonista. L’emergenza rifugiati è una condizione più che temporanea, il rilascio di passaporti ai turchi per la libera circolazione nella Comunità ha superato la data prestabilita per l’entrata in vigore e gli obiettivi mancanti per diventare membro effettivo sono ancora 72.

La causa di quella che potrebbe essere più di una “preoccupazione” sono le misure adottate dal governo di Ankara inseguito al tentativo di golpe del 15 luglio scorso. Le politiche antiterrorismo si sono inasprite nell'invocato “stato d’emergenza” e nel mirino non ci sono solo i presunti responsabili del golpe (gülenisti e affiliati a PKK).

Al mese di novembre, secondo Human Rights Watch:

I mandati di arresto sono 89 e sono rivolti a giornalisti,

45 sono i giornali che hanno ricevuto l’ordine di chiusura assieme alle redazioni di 15 riviste, 16 reti televisive, 3 agenzie di stampa, 29 case editrici e 23 stazioni radio. Queste le politiche di lotta alla minaccia terrorista di Recep Tayyip Erdoğan, primo ministro della Repubblica Turca e leader del Justice and Development Party (AKP), il partito di Giustizia e Sviluppo.

Bianet, agenzia stampa indipendente, Istanbul (Turchia), Report di luglio, agosto, settembre 2016.

Un discusso mandato d’arresto del 31 ottobre è stato emesso contro 13 giornalisti dello storico quotidiano laico del Paese Cumhuriyet (in italiano, Repubblica) che insieme al direttore Murat Sabuncu sono accusati di avere “legami con le organizzazioni terroristiche” di Fethullah Gulen e Pkk” (ANSAmed).

Lo “stato d’emergenza” necessario secondo la classe politica turca per riportare la stabilità dura 3 mesi, dà il potere al primo ministro di vedersi approvati d’obbligo e d’urgenza decisioni via decreto legge, senza la necessaria revisione della Corte Costituzionale. Che la divisione dei poteri venga meno, in certe circostanze, è fisiologico, tuttavia non è ammissibile che ciò si traduca in un abuso di potere e in repressione della libertà d’espressione: mandati d’arresto, fermi preventivi, annullamento di passaporti sono tutte manovre avvenute con regolari documenti e procedure. Yavuz Baydar, co-fondatore della piattaforma P24 (Platform for Indpendent Media) vincitore del premio European Press Prize ed editorialista del Guardian, afferma che l’emergenza è usata per sedare i “nemici domestici” individuati dopo le manifestazioni di Gezi Park. Fazla Mat, giornalista di Osservatorio Balcani e Caucaso, il blitz a Cumhuriyet rappresenta “un nuovo varco dove la censura è ora attacco diretto alla stampa di opposizione”. Lo stato di detenzione in base al puro sospetto di essere parte del movimento gülenista o indipendentista curdo è stato portato avanti senza alcuna prova evidente di coinvolgimento nel reato ascritto.

Nel frattempo, Bruxelles reagisce così: “la Turchia, come Paese candidato, deve aspirare ai più alti standard e alle più alte pratiche democratiche […] nel rispetto della Convenzione europea dei diritti umani. Una stampa libera, plurale e indipendente è essenziale in ogni società democratica”. Dal canto suo, a Erdoğan manca la pazienza e riferendosi alla liberalizzazione dei visti ai cittadini turchi, non si limita a ticchettare sull'orologio ma puntualizza l’indispensabile ruolo della Turchia nella gestione dell’emergenza migranti. Il Presidente, con riferimento ai patti del marzo scorso sulla questione rifugiati, allude, senza mezzi termini, alla possibilità di non rispettarli.

Al di là di parametri e accordi presi, il 2 novembre è stata la giornata mondiale per porre fine all'impunità dei crimini nei confronti dei giornalisti. Secondo El Mundo, 800 sono i giornalisti uccisi negli ultimi 10 anni e solo il 7% di questi ha punito i colpevoli. Così, come titola Bülent Mumay, il giornalista turco che qui racconta del suo arresto,

“a perdere è sempre il giornalismo”.

Photograph: Ozan Kose/AFP/Getty Images. Segue l’articolo di Yavuz Baydar “I’m a journalist on the run from Erdoğan — I have no idea what I’ve done”

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