Lo strano caso del pattinatore Steven Bradbury e di Mr. C

(ovvero come vincere una medaglia d’oro arrivando ultimi)

Luca Magrone
Iride Magazine
5 min readAug 8, 2016

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Siamo a Salt Lake City, nel 2002. In questa cittadina americana dello Utah si tiene la 19° edizione delle Olimpiadi invernali e il 16 febbraio al Salt Lake Ice Center c’è la gara di short track. E’ un tipo particolare di pattinaggio sul ghiaccio: percorso corto, curve strette. I pattinatori partono in massa per poi schizzare sul ghiaccio ad alta velocità.

I quarti di finale

Ai quarti di finale dei 1000 metri maschili sono in quattro ad affrontarsi.

Marc Gagnon (Canada), già vincitore di tre ori olimpici, il favorito.

Apolo Anton Ohno (Usa), due ori, due argenti e parecchie polemiche per il suo stile aggressivo.

Naoya Tamura (Giappone), ancora a digiuno di medaglie e pronto a giocarsela.

Steven Bradbury (Australia), solo grandi speranze dopo un bronzo nel 1994 ad appena 21 anni. Otto anni dopo si gioca la sua ultima Olimpiade.

Il commentatore italiano parla chiaro:

“A parte Bradbury, che sembra essere un gradino sotto, gli altri tre se la giocano.”

Una gara alla pari quindi, tranne per Bradbury che infatti arriva ultimo.

Un attimo però: Marc Gagnon squalificato, Gagnon squalificato. Bradbury viene ripescato, ma non è questa la notizia. La vera notizia è la squalifica di Gagnon, che lascia spazio al suo contendente, l’americano Apolo Ohno, adesso ad un passo dall’oro.

La semifinale

D’altronde Bradbury non sembra riuscire a sfruttare il ripescaggio. Al fischio d’inizio viene immediatamente sorpassato da tutti gli avversari. Bradbury è il più lento in una gara di velocità: ha perso.

“Già fuori dalla lotta Steven Bradbury”

A due giri dalla fine Steven Bradbury è ancora ultimo. Poi alla prima curva un avversario scivola e cade. Quarto.

Seconda curva, siamo a pochi metri dal traguardo e i primi due pattinatori cadono rovinosamente. Bradbury, lentamente, taglia il traguardo e alza le mani al cielo: è in finale.

La finale

Se esiste una dea bendata della Fortuna, o un dio del Fato moderno, una sorta di Mr. C, è chiaro da che parte stia. Ma per vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi non basta l’intervento di Mr. C.

Steven Bradbury è arrivato in finale e la sua favoletta si concluderà qui.

Il favorito è l’americano Apolo Ohno.

Un campione dentro e fuori la pista e persino una icona sexy: è stato inserito nell’elenco dei 50 uomini più belli del pianeta da People, ha conquistato le copertine di numerose riviste. E’ lui il vincente.

Eppure quando i pattinatori scendono in pista iniziano a recitare un copione già visto. Bradbury dopo un secondo è già ultimo (ancora). Ad ogni giro il distacco dagli altri aumenta.

One lap to go, un giro alla fine. Apolo Ohno ci ricorda il motivo delle polemiche sulla sua condotta: è parecchio aggressivo il sex symbol. Li Jiajun, il pattinatore cinese tenta il sorpasso: Ohno lo stringe e Jiajun cade trascinando sul ghiaccio anche Ohno e il coreano Ahn Hyun-soo.

Mr. C. è tornato. Ohno, in un ultimo gesto disperato prova a rialzarsi e cade: è Bradbury l’unico a rimanere in piedi.

Bradbury la giovane promessa e il suo calvario

Lungo la strada verso la finale, Bradbury è stato aiutato da una buona dose di fortuna, ma non c’è stato solo quello. Di quella garà, dirà:

«Non ero certamente il più veloce, ma non penso di aver vinto la medaglia col minuto e mezzo della gara. L’ho vinta dopo un decennio di calvario»

Già, perché la carriera di Bradbury era davvero promettente. Un bronzo vinto ad appena 21 anni e altre tre medaglie nei mondiali tra cui un oro e un argento. Poi durante le prove per la Coppa del Mondo di Montreal si scontra con un altro pattinatore, l’italiano Mirko Vuillermin. La lama del pattino gli ferisce l’arteria femorale, Bradbury perde 4 litri di sangue e rischian la morte. Dopo 111 punti di sutura e 18 mesi di riabilitazione, Bradbury si rialza, ma non basta. Nel 2000, solo due anni prima delle Olimpiadi di Salt Lake City, Bradbury si frattura il collo. Sei mesi di riabilitazione dopo, decide di partecipare alle Olimpiadi del 2002. Saranno le sue ultime Olimpiadi.

Ben prima dell’oro, Bradbury dà l’addio alle gare agonistiche dopo aver recitato a fondo la parte della promessa infranta.

Bradbury avanza lentamente sì, ma anche ostinato e contrario e alla fine riceve l’oro, riceve la sua goccia di splendore dopo aver attraversato quel mare di dolore.

Riceve anche una storia che racconterà per il resto della sua vita e sarà la sua stessa vita a diventare una storia.

Bradbury oggi

Oggi Bradbury ha 41 anni e sul suo sito web, stevenbradbury.com.au, si definisce “motivational speaker and entertainer”.

Ha scritto un libro: “Last man standing” e continua ad andare in giro per raccontare la sua storia, viene chiamato nei circoli di atleti, ma anche nelle feste aziendali.

In Australia è diventato una specie di eroe nazionale. Nel 2007 ha ricevuto un’altra medaglia: quella dell’Ordine dell’Australia per meriti sportivi. Le Poste Australiane hanno deciso di stampare un francobollo commemorativo da 45 centesimi di dollaro per ricordare l’impresa di Bradbury.

Ed è nato il detto doing a Bradbury, proprio per indicare la conquista di una vittoria “alla Bradbury”. Una vittoria che si può giudicare fortunosa, immeritata, una vittoria che dimostra che per ogni campione che cade, per ogni Nibali che cade c’è un Bradbury a vincere, oppure una vittoria che rivela l’importanza di non mollare, mai.

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