R-esistere è opposizione o alternativa di resilienza?

Cosa vuol dire essere artisti in un luogo che è bene comune. Perché fare cultura e arte fuori dalle scuole. Come si vive alla Cavallerizza Reale di Torino.

Silvia Muletti
Iride Magazine
7 min readApr 19, 2017

--

«Abito qui e tecnicamente sarei un’antropologa visiva. Però trovare una definizione sola è difficile perché, stando qua, sei portato a ibridarti e farti venire nuove idee».

Irene alla Cavallerizza Reale è in residenza artistica e, qui, sposta i divani. Rende la sala dove organizza le proiezioni del martedì dinamica perché «curare l’estetica del luogo, cercare dettagli apparentemente irrilevanti come fiori e candele, rende il posto più salubre».

Me lo racconta seduta a gambe incrociate sulla panchina dei giardini che al palazzo storico fanno da contorno verde e silenzioso recinto, tra Via Rossini e Corso San Maurizio. La Cavallerizza Reale è patrimonio Unesco che un gruppo di cittadini vuole sia davvero un bene comune, a disposizione di tutti. La cura degli spazi è il livello zero affinché Cavallerizza -qui trovi il reportage su questa realtà di Grazia Tomassetti e Remo Gilli- sia quel «fortino dove le idee possono prendere vita e crescere».

Si occupa di regia per teatro e cinema. «Sto in Cavallerizza- continua Irene- perché il terreno dove organizzare proiezioni di film vuol dire formare gente che sia pronta a fare un cinema della realtà». E non solo cinema: «il progetto è fare di Cavallerizza un centro di produzione interattiva e multidisciplinare».

Foto di Cavallerizza Irreale (Facebook)

L’idea di fondo

«L’idea è complicata e soprattutto non è univoca.

Stare qua è una sfida.

È uno sport estremo.

È un percorso che si intraprende nel creare qualcosa di tangibile da condividere con gli altri a partire dalle idee che ti vengono. Scelgo di stare qua perché è una realtà dove io posso continuamente essere stimolata e crescere. Qua anche se esci in ciabatte ti capita sempre qualcosa. Come adesso: in realtà stavo andando a mangiare ma sei capitata tu che mi fai domande. Spesso ci prendono in giro dicendo che quelli della Cavallerizza sono dei ritardatari; e in effetti è così: qui hai i tempi dilatati rispetto alla realtà fuori e sì, devi considerare un margine di almeno 40 minuti per salutare tutti e uscire. Se non stai attento, è facile adagiarsi sul ritmo: devi esser bravo a stabilirti delle leggi di ordine nel caos che trovi, e avere la stabilità di relazionarti con gli altri per spiegare in maniera facile, con gli occhi di un bambino, cosa stai facendo. La mia attitudine al vivere qui la definisco scout-punk, per un lato è esplorativa e dall'altro è comunque una scelta che porti avanti con fatica. È proprio un modo diverso di stare e vivere un luogo, che richiama il concetto teatrale della presenza nello spazio dove questo spazio fa la differenza. Un naïf può starci benissimo. Ma bisogna essere crudeli per fare arte, perché è un giudizio, fai un’azione che viene giudicata. Qui non c’è l’ipocrisia che trovi fuori. Si è onesti e si dicono le cose in faccia. Si crea per niente: fare arte qua è una cosa gratis e questo ti permette di sperimentare».

L’abitare e il fare

«Se vivi qui è perché lo scegli o perché ti capita.

Scegli di convogliare il tuo tempo per Cavallerizza, hai un’idea che vuoi creare con il posto e le persone. Oppure c’è chi sta facendo un percorso proprio ed è in emergenza abitativa e, in mancanza di alternative, ci vive per un periodo. Non sono tutti immediatamente parte attiva nella gestione delle cose e capita che ci sia chi ha bisogno di essere sollecitato. Per questo ci sono gli influencer che invitano al fare. Uso questa parola che va di moda, in realtà il senso è molto pratico: se tu cammini e vedi che qualcuno può essere di aiuto per un lavoro, lo inviti a farlo; se ne può discutere in assemblea gestionale, ma il trucco è avere un occhio attento, in ogni momento.

Ad esempio l’altro giorno ho trovato una barca. Ho chiesto al ragazzo che era con me, che di solito si occupa di pulizie e manutenzione, di comprare assieme i colori per costruirci un’installazione. In quel momento questa persona diventa artigiano dell’arte: si presta per realizzare una cosa che lo fa sentire importante. Non è solo dare indicazioni come ‘scartavetra’ o ‘riordina’ ma

stiamo creando un dialogo di colore.

Qui non siamo tutti artisti, siamo un gruppo eterogeneo e le relazioni umane comunque sono speculari a quelle del mondo di fuori: se proponi idee un po’ pazze magari ti prendono in giro. Se non siamo tutti artisti, è necessario bilanciare l’immateriale con il materiale ovvero fare dell’arte visibile con installazioni, concetti esponibili che possono essere condivisi. Essere concreti è l’unico modo per dare un motivo pratico del tuo stare qua. Stare su Facebook a curare tutto il social media marketing del gruppo Cavallerizza può essere scambiato per un lavoro tendenzialmente inutile perché stai al computer, anche se in realtà è importante curare la nostra immagine pubblica, per farci conoscere. Anche per questo io sento ancora di più la necessità di agire. Bisogna svegliarsi e fare cose pratiche,

fare fatica fisica per accompagnare una super astrazione.

Foto di Cavallerizza Irreale (Facebook)

La preparazione e la riuscita di eventi e incontri dipendono dalle persone: è necessario essere coordinati e affidabili del proprio pezzo, della propria parte, per fare funzionare tutto il meccanismo. Ad esempio, se non posso occuparmi della proiezione del martedì sera di cui sono referente, lascio un testamento a una squadra di persone che la curano al posto mio. Così ci si responsabilizza gradualmente perché se si è in pochi, gli eventi cadono».

L’organizzazione

«Ogni gruppo è regolamentato e ogni cosa che crei va inserita all'interno di un sistema. I gruppi di lavoro sono: Comunicazione, Arti audio-visive, Teatro-arti sceniche, Arti psicofisiche, Giocolerizza, Cucina e Musica e ognuno ha almeno 2 referenti che si trovano ogni 2 mercoledì per parlare di esigenze e programmazione. Tra i diversi ordini di assemblea, quello più importante è l’Assemblea pubblica cittadina: un incontro che può durare molto tempo perché è come se fosse un parlamento; a volte ci sono dalle 30 alle 60 persone, cittadini esterni compresi, tutti formalmente sullo stesso piano di partecipazione.

In queste situazioni, spesso ci si parla addosso, nonostante la presenza del facilitatore ed è difficile ascoltarsi l’un l’altro. La sensibilizzazione all'ascolto è fondamentale per non creare isole.

L’arte relazionale parte dai gesti delle persone, da quelli teneri ai più potenti che sono regali al posto e alla cittadinanza.

Creare un mondo migliore partendo dal livello zero, cioè dalla cosa più stupida come raccogliere una carta da terra, diventa un atto politico che prende forza se lo fai in un luogo che è bene comune e patrimonio Unesco.

Lì, dietro quelle piante e per tutto il parco vogliamo mettere delle installazioni che avranno nome “Alice nel paese delle meraviglie: il giardino delle non storie”. Sarà un’occasione tangibile di raccontarsi nel quotidiano e magari portare i bambini nel giardino e non i cani a pisciare».

La comunicazione con il ‘fuori’

«È importante raccontarsi all'esterno come una storia di successo e creare contenuti che siano un’estetica rappresentativa di Cavallerizza. Come fosse un brand. Una storia di successo, sì, anche se io credo nella legittimità dello sbaglio, per imparare. Avere una rete di interazioni sociali utili significa

iniziare a pensarsi come capitali umani,

cioè risorse; di essere valutati in base alle nostre abilità, alle cose che sappiamo fare e non solo come e quanto monetizziamo le nostre capacità».

Insieme a Irene e me, c’è Valeria che non vive qui ma è fotografa e il martedì mattina apre e porta dolci fatti da lei a Caffetterizza, la pausa caffè in un salotto delle arti; è luogo di riunione ma anche punto di contatto con l’esterno, con studenti e passanti, senza la paura di sporcare e sporcarsi. Tutte e due sono d’accordo che «per riconoscere il proprio valore bisogna equilibrare presenza e azioni sia dentro che fuori. Per non diventare autoreferenziali».

Foto di Cavallerizza Irreale (Facebook)

Il valore economico dell’arte

«Anche io sto male quando non ho soldi nel bancomat, ma come tutti. Però me la cavo sempre. E se l’economia ci dà da mangiare, siamo tutti contenti. Però qui c’è un’altra concezione del rapporto di scambio: il contributo agli eventi è up-to-you. Io non faccio pagare il biglietto ma chiedo un’offerta perché così

il denaro diventa uno strumento di valutazione della qualità,

uno scambio in cui capisci quanto vale veramente la cosa che presenti. Anche il biglietto ribaltato per le performance di teatro segue la stessa logica: sei tu che dai valore allo spettacolo che stai vedendo e con quei 5, 10, 15 euro stai dando una sentenza».

Cavallerizza può definirsi una proposta di resistenza alternativa?

«Secondo me no. Può essere parte di un progetto da ampliare ma è molto facile che crolli tutto. Siamo in una condizione estemporanea, cioè che non si sa quanto possa durare questo posto. Devi ricordarti che è sempre un’occupazione e stai facendo una cosa illegale. Sì, potremmo seguire esempi come il TPO di Bologna ma, per ora, più che luogo di resistenza, è un luogo di resilienza.

Perché bisogna essere cocciuti per fare arte qua.

Per non guardare che ti cadono addosso i muri ma vedere la potenzialità di creare la magia. Dentro».

___________________________________________________________________

Gli eventi di Cavallerizza Reale li trovi sulla pagina Facebook e qui sul sito Cavallerizza.org.

Silvia Muletti

--

--