Resistere al proprio corpo

Quando noi donne abbiamo dichiarato guerra a noi stesse

Lucia Marinelli
Iride Magazine
4 min readApr 7, 2017

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Se già vivere è sinonimo di lottare, farlo essendo donne è ancora più faticoso. Quando non siamo già impegnate a evitare di farci assalire mentre torniamo a casa da sole, ricevere uno stipendio equo o denunciare un compagno violento, è molto probabile trovarsi impelagate in un altro tipo di lotta: quella contro noi stesse. O meglio, contro il nostro corpo.

Sarà colpa della società e del disturbo da dismorfismo corporeo ma esiste un dato di fatto inevitabile. Per molte di noi ritrovarsi ogni giorno con la propria carne, ossa e cartilagini è una condanna.

Come ogni scontro bellico, anche la nostra guerra ha la sua tassa. Si chiama “pink tax” ed è la ragione per cui un paio di jeans da donna costano più dello stesso modello al maschile. O per cui, qui in Italia, gli assorbenti sono tassati con un’aliquota Iva al 22% in quanto beni di lusso, e quindi non indispensabili. Mentre i rasoi da uomo sono gravati da un’Iva ridotta del 4 per cento, come il pane e il latte.

Invece l’addestramento a questa lotta perversa inizia quando, appena bambine, prendiamo coscienza del mondo circostante. Tutto inizia nel momento in cui realizziamo che per noi donne l’importante non è prenderci cura del nostro corpo per farlo crescere forte e sano, ma piuttosto contenerlo e domarlo. Lo scopo è quello di avvicinarsi il più possibile all’immagine iperuranica della Femminilità Perfetta®. Quindi via al bombardamento di reggiseni push up, calze contenitive, panciere, sbiancanti, e almeno 45 tipi di depilatori diversi. L’armamentario per correggere imperfezioni decretate da non si sa bene chi, è infinito. Senza parlare del reparto cibo. Se ci fate caso, quando si presenta un qualunque tipo di prodotto alimentare avviene una scissione del messaggio proposto. La sfera del gusto e dell’energia è riferita al maschio. Quindi ben vengano gustosi cereali pieni di cioccolato, biscotti ultra farciti e altre succulente varianti. Per noi donne invece si parla quasi esclusivamente di leggerezza. Seguono dunque Magretti, Magrelli, dolcificanti, formaggini con -15 kcal all’etto. Ci sarebbe da fare un trattato solo su tutta la gamma di prodotti dietetici ad hoc per le vere signorine per bene che non hanno mai fame, giusto un po’ di appetito ogni tanto.

Celebre battuta del film “La fortuna di essere donna”

Tutta questa propaganda trova il suo apice nell’universo della chirurgia estetica. C’è chi vi ricorre per fermare il passaggio del tempo sulla propria pelle e chi per adattarsi a standard sempre più lontani dalla realtà. Non stupisce dunque l’ultima tendenza fra le venticinquenni che possono permetterselo: il vampire facial lifting. Un trattamento che prevede di iniettarsi in viso il proprio plasma in cambio di una pelle più scintillante e levigata. Altri trattamenti estetici estremi degni di nota sono: il lifting alle ginocchia, l’esplosione del doppio mento, l’esfoliazione chimica (un peeling estremo dove si produce la necrosi di alcune cellule del viso attraverso acidi chimici) ed il reggiseno impiantabile (chi non vorrebbe farsi installare sotto pelle dei supporti per avere una silhouette che sfida la forza di gravità H24?)

Vampire face lift

La situazione assume toni ancora più drammatici nel caso delle donne coreane. La Corea del Sud è diventato il paese col più alto tasso di operazioni di chirurgia estetica pro capite al mondo. Secondo il New York Times una donna su cinque, è ricorsa a interventi assolutamente invasivi per assumere tratti somatici occidentali. Spopolano le operazioni per arrotondare ed ingrandire la forma degli occhi, rendere il volto ovale e affinare il naso.

L’esplosione di un tale fenomeno in Corea non è casuale. Infatti la golden age del bisturi è iniziata in seguito al grande sviluppo economico e all’ “occidentalizzazione” dello stile di vita che si è verificata negli ultimi 50 anni. L’andamento parallelo fra il fattore del benessere economico e l’aumento del disagio verso il proprio aspetto non è casuale. Basta ricordarci che i disturbi alimentari come l’anoressia o la bulimia sono malattie che affliggono, per la gran parte, solo le nazioni più sviluppate economicamente.

Pubblicità coreane che incitano le donne ad operarsi

Cosa fare allora? Potremmo deporre le armi contro noi stesse per puntarle contro chi ha decretato simili dittature dell’immagine. Almeno per garantire a chi verrà dopo di noi che un naso storto non è rivoluzionario, è semplicemente un naso. O che una merendina gustosa va bene all’uomo come alla donna.

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Lucia Marinelli
Iride Magazine

I'm bringing Hegel back (e nel frattempo studio Reporting alla Holden) Editor per https://thecatcher.it