«Se non sei arrabbiato, che razza di persona sei?»

Giulia Viganò
Iride Magazine
Published in
3 min readJan 6, 2017

--

La rabbia di Ken Loach nel suo ultimo film I, Daniel Blake

‘I, Daniel Blake’ è l’ultimo film di Ken Loach, vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2016. A dieci anni da ‘Il vento che accarezzava l’erba’, il regista britannico soprannominato “il Rosso” torna a parlare di crisi, di società e di classe operaia, temi a lui cari da sempre. A ottant’anni compiuti, Loach riesce ancora a fare un cinema di denuncia potente come quello degli esordi: ‘I, Daniel Blake’ è una pellicola cruda, a tratti ruvida, capace di coinvolgere, commuovere e soprattutto indignare il pubblico.

Lo schermo è nero e ancora stanno scorrendo i titoli di testa quando comincia il dialogo surreale tra Daniel (Dave Johns), onesto carpentiere con gravi problemi cardiaci, e il funzionario che deve verificare il suo diritto all'indennità di malattia. La spietata burocrazia statale raggiunge in questa paradossale conversazione picchi così alti di idiozia da suscitare più volte l’ilarità degli spettatori. Ma è un’ironia che diventa sempre più amara e pungente quella che accompagna I, Daniel Blake, ultimo film di Ken Loach.

La pellicola, asciutta e senza fronzoli, racconta l’Odissea di un cittadino qualunque nel gelido mondo del welfare britannico. Rimasto senza lavoro e senza sussidio, Daniel è costretto a destreggiarsi in una burocrazia disumana fatta di complessi moduli da compilare, computer che non funzionano, asettiche segreterie telefoniche e ottusi funzionari. Durante una delle tante interminabili attese al job centre, Daniel incontra Kate (Harley Squires), un’altra vittima del sistema, una giovane madre single e senza lavoro. I due a poco a poco stringono un forte legame di solidarietà e insieme cercano di lottare contro le ingiustizie delle istituzioni. La loro amicizia non porta però a nessun happy ending — la battaglia di Daniel si chiude tragicamente lasciando l’amaro in bocca.

«Vinciamo questo premio con un film che mostra una realtà molto strana, cioè quella dei cittadini della quinta nazione più potente al mondo che soffre la fame, stremati da un’austerità dovuta a ideologie neoliberali» ha commentato il regista durante la premiazione a Cannes. Con l’aiuto di Paul Laverty, suo sceneggiatore di fiducia da oltre vent’anni, Loach torna dietro la macchina da presa con un film di denuncia e di impegno sociale. La storia di Daniel e Kate offre un onesto ritratto del dolore, della frustrazione e della rabbia che la gente comune sta vivendo ai giorni nostri in Inghilterra e in tutta Europa. Non a caso Loach ha scelto due attori sconosciuti al grande schermo: Dave Johns e Harley Squires. Volti ignoti e al tempo stesso comuni, sono perfetti nella parte dei “cittadini qualsiasi”.

La componente emozionale è forte durante tutto il film: impossibile non affezionarsi a personaggi come Daniel e Kate. Ma il cinema di Loach non si limita a farci commuovere. I, Daniel Blake è una storia di clamorose ingiustizie che vuole indignare e risvegliare il proprio pubblico. Vuole essere un risveglio brusco e violento come un pugno in pancia. Durante un’intervista al The Guardian, Loach parla di «costante umiliazione per sopravvivere» — ed è da qui che nasce la sua pellicola, il suo odio e la sua rabbia.

«Il mio nome è Daniel Blake. Sono un essere umano, un cittadino. Tutto quello che chiedo è di essere trattato con dignità. Niente di più, niente di meno.»

Sono queste parole a chiudere la storia di un uomo qualunque che vede i propri diritti calpestati dallo Stato senza pietà. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro. Tutto il film è una protesta a gran voce, un invito a indignarsi e a ribellarsi a un sistema alienante.

“Se non sei arrabbiato, che razza di persona sei?” — questa la domanda provocatoria che lancia il regista a ogni spettatore.

Giulia Viganò

--

--

Giulia Viganò
Iride Magazine

“Inventiamo storie per poter vivere in qualche modo le molte vite che vorremmo avere quando invece ne abbiamo a disposizione una sola” — M. V. Llosa