Sprechi, Hamburger e Bimbi Africani.

Una panoramica sul più drammatico fenomeno globale che non racconta mai nessuno.

Eugenio Damasio
Iride Magazine
5 min readJul 2, 2016

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«Mangia! Lo sai che in Africa i bambini come te muoiono di fame?»

Chi non ha mai sentito pronunciare questa frase? Sin dalla prima volta che ci si siede a tavola tavola, infatti, questa semplice composizione di parole può cascarci addosso come una mannaia ogni qualvolta venga lasciato sul piatto un singolo boccone. Parole che, racchiudendo in sé una incredibile quantità di significati, sono perfette per destare l’attenzione di qualsiasi bambino capriccioso. In queste, infatti, possiamo trovare: il senso di colpa tipicamente cristiano, un accento forte sulla disuguaglianza distributiva delle risorse, un’idea pedagogica basata sulla repressione degli istinti e, soprattutto, un falso terzomondismo che utilizza “l’altro” per puri scopi propagandistici, senza dare spazio a possibili soluzioni. Un vero e proprio capolavoro del “luogo comune”.

E come tutti i luoghi comuni che si rispettino, quindi, quando si cresce, demolirli appare doveroso: è mai possibile che non finendo di mangiare la mia pasta, in qualche modo, io stia togliendo del cibo dalla bocca di un povero bambino nato a migliaia di chilometri da casa mia?

Sì, è possibile. Anzi, è certo.

Quando, finalmente, l’ho capito devo dire che è stata dura ammettere che un luogo comune come questo nutra in sé qualcosa in più del celebre “fondo di verità”.

Ma procediamo con ordine.

Taste the Waste

“Taste the Waste” (2010) di Valentin Thurn

Ogni anno mille miliardi di dollari di cibo vengono persi o buttati via durante le varie fasi della produzione o direttamente da parte dei consumatori.

Una cifra che, secondo varie stime, oscilla tra il trenta e il quaranta per cento del cibo prodotto in tutto il mondo, poi, non verrà mai consumata da alcuna bocca umana.

Basterebbe un terzo del cibo che viene sprecato nel solo mondo Occidentale, quello di cui noi bambini capricciosi facciamo parte, per dar da mangiare a tutti quelli che ancora soffrono la fame.

Se in America del Nord e Oceania, infatti, ogni anno ogni singolo consumatore butta via 110kg di cibo l’anno, l’equivalente di 220 pacchi di pasta, nell’Africa sub-sahariana questa cifra crolla drasticamente a 5kg.

Dati che, per dimensioni, paiono assurdi e incomprensibili ma che, contemporaneamente, rispecchiano la realtà di un mondo non solo diviso per possibilità di acquisto ma anche e soprattutto per distribuzione delle risorse primarie. Lo spreco di tutto questo quantitativo di cibo, oltre a contribuire a buttar via 170.343.530.280.000 litri di acqua all’anno (una cifra talmente impressionante che non saprei neanche come leggerla), è causa diretta di una serie di effetti a catena che si ripercuotono direttamente sugli stomaci di tutto il mondo. La legge universale del Mercato globale in cui tutti ci troviamo, infatti, vuole che a una richiesta maggiore, in questo caso ampiamente gonfiata dagli sprechi, corrisponda una maggiore offerta. Di conseguenza il prezzo delle materie prime non solo tenderà a non calare ma, paradossalmente, tenderà addirittura a salire. Maggiore è il quantitativo di cibo sprecato e maggiore sarà quindi il suo costo. In questo modo i paesi più poveri avranno enormi difficoltà nel riuscire a gestire un adeguato livello di spesa legato ai beni primari e il boccone lasciato nel nostro piatto, anche se non direttamente, si tramuterà in penuria di risorse per le oltre 900 milioni di persone che soffrono la fame. Tra loro stanno quei bambini africani tanto cari al nostro luogo comune.

La domanda sorge quasi spontanea: esistono soluzioni a questa situazione drammatica? Sì, e partono da ognuno di noi. Prima di parlarne, però, una breve pausa pubblicitaria.

THAT’S AMERICA

Come fare?

Peter Lehner, , TedxManhattan, 2013

Peter Lehner è il direttore del Consiglio per la Difesa delle Risorse Naturali americano (NRDC) e nella conferenza del 2013 appena proposta prova a delineare una soluzione partendo da un concetto semplice. Come i consumatori hanno sviluppato un senso critico rispetto allo spreco di energia da parte di elettrodomestici, edilizia e trasporti portando, poco alla volta, a cambiare i prodotti verso una maggiore efficienza energetica e i governi a promulgare norme che tutelassero questi standard, così quelle stesse persone (che poi saremmo tutti noi) dovremmo mutare le nostre abitudini di consumo spingendo per una migliore gestione delle materie prime e imparando a razionalizzare la nostra spesa. Tra gli sprechi, infatti, la porzione creata dal livello finale del consumatore è quella su cui, teoricamente, sarebbe più facile intervenire tramite azioni collettive di sensibilizzazione e comprensione del fenomeno. In un mondo dove, però, esistono pubblicità come quella proposta poco prima, scalfire determinate abitudini è difficile e necessita di un percorso lungo e complicato.

Un ottimo primo passo, ad esempio, sarebbe mutare la nostra percezione delle date di scadenza, uno dei fattori decisivi nello spreco di cibo. Se pur è vero che in Unione Europea questa è regolata tramite direttive restringenti e legate alla salvaguardia della salute del consumatore, troppo spesso ci troviamo a buttare via prodotti che non lo necessiterebbero. Qui una breve guida che ci illustra come comportarci con i vari alimenti: se le uova si possono utilizzare cotte sino a due settimane dopo la data indicata, i biscotti e la cioccolata resisteranno per mesi dopo la data limite.

A ciò, ovviamente, andrebbe aggiunta la capacità di riutilizzare in cucina i cosiddetti “avanzi”, pratica tipica della tradizione culinaria del nostro paese ma che, attualmente, si può declinare anche in pratiche di cucina innovative. Qui uno dei tanti ricettari presenti in rete, sviluppato dalla britannica “Love Food, Hate Waste”: una vera e propria bibbia per la razionalizzazione del nostro consumo alimentare.

Una volta che i consumatori iniziassero un percorso che si sviluppi in questa direzione, poi, verrebbero i governi e le istituzioni sovranazionali. Esistono diversi esempi in giro per il mondo di tentativi di soluzione del problema ma quello che ha fatto più scalpore è, senza ombra di dubbio, quello portato avanti in Francia lo scorso anno. I transalpini, infatti, hanno istituito il “reato alimentare” che vieta ai supermercati di gettare nella spazzatura l’invenduto ancora utilizzabile. Per chi non rispetta la norma sono presenti pene severissime, proporzionate al disastro creato: sino a due anni di reclusione.

E se, tra i pochi arrivati a questo punto della lettura, la parola “proporzionate” scatena un moto di fastidio collegato al tipico pensiero «Possibile finire in galera per aver semplicemente buttato del cibo?», sappiate che le possibilità sono due. O non avete capito la dimensione catastrofica di questo fenomeno oppure, anche quando vostra nonna ve lo diceva con sguardo preoccupato, di chi muore di fame non ve n’è mai fregato niente e, semplicemente, non ve ne fregherà mai nulla. In questo caso non ho niente da aggiungere se non: buon appettito con il vostro panino hamburger, hot dog e patatine.

Eugenio Damasio

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