«Tatuare non è un business, ma la mia terapia»

Chi crede ancora che il tatuaggio non sia uno stampo ma una storia.

Carolina Orlandi
Iride Magazine
4 min readApr 5, 2016

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Anita Rossi a lavoro. Foto di Roberto Massimi

Anita mi accoglie nello studio suo e di Roberto congiungendo le mani, chinando la testa e mostrandomi un sorriso sincero. I suoi capelli spruzzati di verde hanno poco di artificioso, qui dove tutto sembra raccontarti una storia diversa. La sua S veneta che ogni tanto irrompe e il suo autentico entusiasmo, mi anticipano che non avrei avuto tra le mani la solita intervista, ma un messaggio che dietro alla macchinetta si trova raramente. Al Namaste Tattoo Studio si respira qualcosa di più profondo del solo macchiare la pelle per tendenza, per business e perché fa figo.

Non tardo a capire perché.

«Il percorso lavorativo qui prevede alcuni step. Il primo giorno è dedicato all'incontro. A questo, segue una discussione sul concept del lavoro e al cliente vengono mostrate delle immagini che possono spaziare dalla storia dell’arte all'illustrazione. Da quel momento si intraprende la strada di correzione. Per ogni cliente viene preparato un unico disegno, per cui niente copia e incolla, ecco perché non riesco a commercializzare quello che faccio» ci tiene a precisare.

«Si instaura così anche un feeling tra noi e il cliente. Solo alla fine viene mostrata la bozza del lavoro e se il disegno convince si passa all'appuntamento. E’ un percorso che rispetta delle tempistiche lievemente più lunghe, ma non credo che il tatuaggio sia l’acquisto di una t-shirt, piuttosto un percorso di evoluzione».

Le sedie d’un tratto si fanno più comode. Roberto, che fino a quel momento era rimasto in disparte, composto dietro la sua postazione, allunga il suo mantra: «il tatuaggio non ammette fretta». Anita sorride e traspare, sottile, il rapporto complementare che li lega.

L’entusiasmo di Anita è un fiume in piena. E scopro presto che il suo approccio non si limita al mondo del tatuaggio, ma a qualcosa di più radicato.

«Il mio percorso è orientato verso la fede buddista, anche se non l’ho mai abbracciata completamente. Mi avvicina molto a una serenità emotiva che mi consente di lavorare con più tranquillità. Alla fine, di questi tempi, la mia paura è che si perda l’etica in relazione alla pelle. Non credo, per esempio, che un elemento che necessita di spiritualità e di attenzione, abbia bisogno anche dello sfondamento della pelle e quindi della privacy: il tatuaggio non deve essere necessariamente sofferenza. Ho sempre cercato di usare la macchinetta come una matita».

Anita Rossi in fase di preparazione al lavoro. Foto di Roberto Massimi

Mentre la mia curiosità si gonfia, mi faccio spiegare cosa significhi per lei il nome dello studio. Scopro che Namaste (parola dell’hindi) è il gesto del saluto buddista, «vuol dire ti ringrazio di entrare nella mia vita ma allo stesso tempo ti lascio una parte di me. E’ una parola che mi dà un’energia notevole, oltre a essere un saluto di benvenuto. Lo si fa sempre a mani giunte e inclinando leggermente la testa».

Su questa scia di accettazione, la domanda che mi sorge spontanea è se si sia mai rifiutata di realizzare un tatuaggio. Tra i suoi ricci confusi e le sopracciglia sottili, si fa strada, di colpo, una sincerità molto schietta, la sua parte più pratica, concreta.

«Politica interna di studio: non si esercitano tatuaggi su viso, mani e collo, soprattutto se i ragazzi hanno tra i 18 e i 25, ma anche 18–30. Non facciamo tatuaggi ai minorenni, anche se accompagnati dai genitori. Non è un gioco. Ciò che mi interessa incanalare è un percorso umano e di ricerca, per cui il collo o il viso tatuato non hanno ragione di esistere, se non per entrare nella grande categoria dei tatuati-perché-fa-figo. Mi crea ansia pensare che non esista un limite mentale, più che visivo, che preveda da parte nostra una mancanza di professionalità. Per me non darsi un limite, significa non avere etica».

Dopo aver ripreso fiato aggiunge «determinate ideologie devono essere smontate».

La passione con cui Anita si racconta, mostra la convinzione e la consapevolezza dietro ogni sua parola. In passato mi racconta essersi scontrata con una città che spesso non comprendeva il suo approccio profondo, la sua ricerca umana, alla base del suo lavoro. Anche per questo si è spostata a Torino dove, invece, si è trovata a relazionarsi con una clientela molto diversa.

«Torino mi ha accolto in maniera incredibile. Qua la gente ha una spiritualità diversa, è curiosa, ipercomunicativa. Questa penso sia la base operativa del mio lavoro».

E proprio a Torino, è riuscita a dare sfogo a ciò che veramente la appassiona. Il risultato è una sperimentazione, una mescolanza di linguaggi che parte dalla sacralità degli elementi thailandesi e vira su elementi di senso occidentale, fino alla tecnica dell’watercolor (acquarello su pelle): «lavoro tra questi stili come un funambolo».

Anita viene dall’Accademia delle Belle Arti, quindi la sua conoscenza del disegno è tutt’altro che improvvisata. Questo tipo di bagaglio ha inevitabilmente contagiato anche l’avventura del dipinto permanente su pelle. «Penso che in ogni procedimento di artigianato, ci debba essere la capacità artistica di correlare gli elementi».

La figura del tatuatore si ribalta così da personaggio a persona, da tecnico dell’inchiostro a interprete. Al Namaste Tattoo Studio si incontrano persone, prima che aghi e macchinette, e più che una fabbrica di stampatori si respira l’atmosfera di una famiglia pronta a conoscerti.

«Il tatuatore è una personale normale, non un vip. Abbiamo solo deciso di utilizzare una verbalità diversa, che non ha bisogno necessariamente dell’uso delle parole. E in più è permanente. Questo, è davvero figo».

Small Business in Torino-Anita Rossi Tattoo Artist- Realizzato da Filippo Angelone

Namaste Tattoo Studio. Via Franco Bonelli, 8 Torino (011 7653186)

Carolina Orlandi

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