Torino narrata e Torino reale: la rabbia degli sfrattati

Luca Magrone
Iride Magazine
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4 min readMay 20, 2016

C’è una Torino fatta di eventi culturali, di innovazione, di turismo e di supermercati aperti anche di notte. E poi c’è una città dove gli ultimi sono spinti ai margini, dove la cultura cede il passo alla rabbia di chi è costretto ad elemosinare un po’ di vita e l’innovazione scompare nel degrado.

Nel 2014 a Torino sono state emesse 4.643 ordinanze di sfratto. Ben 4.530 sfratti sono dovuti a morosità. Questo non solo vuol dire che una famiglia ogni 227 è stata gettata fuori dalla propria casa, ma che una famiglia povera in più ha perso l’ultimo baluardo della propria dignità, un tetto sopra la testa.

Non che questa sia una novità: se vogliamo parlare di storie, quella di Torino sembra sempre la stessa. Negli anni d’oro della Fiat i “terroni” invadevano a migliaia la città, pronti a fare l’unica cosa che dovevano andare a fare: lavorare. Ma erano troppi. La città rispondeva all’invasione: “Non si affitta ai meridionali” era il cartello che marchiava tantissime porte. Così si creavano conglomerati di abitazioni, più simili a baracche che a case. Poi, un bel giorno, il braccio armato dello Stato giungeva, li prelevava e li riponeva nei contenitori appositi: ghetti costruiti su misura per gente senza diritti.

Oggi, nella narrazione di Torino è tutto cambiato, per prima cosa i nemici. Ai “terroni” di una volta si sostituiscono immigrati ed extracomunitari. Tutti spacciatori, così come i “terroni” erano tutti mafiosi.

Però oggi la Fiat non c’è più. Il suo lascito alla città consiste in fabbriche di ruggine e sporcizia, continuamente in balia degli interventi di riqualificazione urbana e di senza tetto e vagabondi. Ma non ci sono solo le ex fabbriche a dare una casa a chi non ce l’ha. Anche la grande festa per le Olimpiadi Invernali a Torino ha lasciato una cospicua eredità. Si tratta dell’ei fu Moi, le palazzine del defunto villaggio olimpico che oggi accolgono mille profughi tra le proprie mura.

Protesta all’ex Moi, via http://viedifuga.org/torino-ex-moi-il-14-marzo-una-protesta-contro-lo-sgombero/

Nel frattempo l’emergenza abitativa si aggrava e all'aumentare degli sfratti cresce la rabbia e la resistenza. Il 27 dicembre la Torino reale ha bussato alle porte della Torino narrata: cento persone, costrette a vivere in una scuola occupata, sono riuscite a salire sul palco del Teatro Regio di Torino, poco prima che Roberto Bolle cominciasse il suo spettacolo. Tra di loro c’erano anche numerosi attivisti del centro sociale Askatasuna e del Gabrio.

Già, perché in questa lotta non sempre i poveri vengono lasciati soli.

Il 20 gennaio quattro anarchici hanno ricevuto misure restrittive dal Tribunale di Torino. Paolo, Andrea, Fabio e Toshi sono stati giudicati colpevoli per le occupazioni abusive in zona Aurora e le opere di resistenza agli sfratti.

Un giorno dopo dagli attivisti dello sportello Prendocasa e occupanti dello Spazio Popolare Neruda di Torino è arrivata la Digos. Anche loro colpevoli di aver impedito lo sfratto di Antonina, una donna di 77 anni che da 40 anni viveva nella sua casa in Corso Svizzera.

La giustizia è celere quando bisogna punire chi ostacola la legge. Però chi vuole togliere un tetto alle famiglie indigenti non è stato ancora giudicato.

Adesso, nel pieno della campagna elettorale per le comunali di Torino, il problema delle periferie è tornato alla ribalta. Nei racconti dei candidati si annuncia la necessità di affrontare il degrado, affrontare il degrado del quartiere.

La parola degrado è sulla bocca di tutti e in questi proclami si può leggere facilmente una grande cecità perché quello che loro chiamano degrado per altri è sopravvivenza.

(C’è chi l’emergenza abitativa la affronta, non lasciarli soli)

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