Vivere la città in Erasmus: cosa dà (e cosa toglie)

Luca Magrone
Iride Magazine
Published in
3 min readMar 15, 2016

L’Erasmus mi ha insegnato che le cose hanno senso perché finiscono.

Anzi, invece di insegnarlo me l’ha mostrato. Me l’ha fatto vedere, assaggiare, annusare, ascoltare. E questo grazie ad una città, Katowice, capoluogo del voivodato della Slesia.

Ovvero?

Polonia.

Lo so, sento già il chiacchiericcio.

Eh, ma l’Erasmus è come una grande vacanza…

In Erasmus si fa solo una cosa!

Verissimo: in Erasmus si vive. Si vive appieno. Ed è un’esperienza che ti getta in una città straniera, in cui si parla una lingua sconosciuta e ti ritrovi solo a dover sopravvivere.

In più a casa lasci tanto. Un ragazzo o una ragazza gelosa, amici, famiglia, tutte cose che nel frattempo continueranno a vivere e lo faranno senza te. E’ una forma di distacco dal guscio che riempie anche di paure, insicurezze e non tutti ce la fanno. C’è chi si barrica in casa e si aggancia ad una flebo di Skype, chi sobbalza ad ogni vibrazione dello smartphone, chi lascia tutto a casa e viene dato per morto dopo due minuti e trentasei secondi.

Ognuno affronta le proprie paure in maniera diversa, ma sono tutti uniti nell'affrontarle.

Sì vabbè, ma io ho fatto l’università fuori, quindi so tutto, eh.

No, non è come trasferirsi a Milano, Bologna, Roma, Trento,Torino per “studiare” nell'università migliore e consumare la paghetta mensile al bar.

Io! Io capisco! Ho vissuto tre anni a Barcellona!

NO

Se fosse lo stesso si chiamerebbe “andare a vivere all'estero”, invece si chiama Erasmus.

Le differenze?

  • Meno responsabilità
  • Più divertimento
  • Comunità

E quello che “comunità” da sola non può spiegare è il ritrovarsi in un gruppo ampio di giovani provenienti da paesi diversi che, ognuno col proprio bagaglio di differenze, riceve una fortissima spinta alla condivisione.

Quindi impari ad insultare una persona in varie lingue, capisci che lo spagnolo non è l’italiano con la s, che in Polonia oltre alla vodka c’è di più.

Slovacchia, Slovenia, Spagna, Germania, Francia, Repubblica Ceca, Turchia, Russia, Kazakistan, Austria, Norvegia, Portogallo, Gran Bretagna, Romania, Grecia…

Il Festiwal Kolorów Katowice

Queste sono solo alcune delle nazionalità con le quali sono entrato in contatto e che son passate, da territori riconosciuti a fatica sulla mappa, a persone, giovani come me con cui ho condiviso qualcosa. Una birra, trenta birre, mesi interi, cene, feste, viaggi, discorsi, sorrisi, lacrime di gioia e l’abbraccio del distacco.

Ed è stato forse il distacco, così brutale ed ingiusto, a colpire di più. Alcuni evitavano di uscire nei giorni prima della partenza, altri son partiti per ultimi e hanno visto tutti gli amici andar via. Restano solo i ricordi, e i ricordi sono cocci che non si rimettono più insieme.

Un esempio di abbraccio del distacco

Nonostante le promesse e le speranze, ritrovarsi diventa difficile quando le responsabilità incalzano. Capisci di aver vissuto in una comunità ad orologeria, un’esperienza effimera forse.

O forse no. Perché il gusto dell’Erasmus è quello della vita: quando lo assaggi vorresti continuare e continuare, ma perderebbe di senso. La forza delle emozioni provate una volta diventerebbe una ripetizione scialba e vuota, quasi meccanica. Invece quei ricordi saranno sempre delle persone che ho conosciuto e che mi hanno insegnato così tanto, senza pretendere nulla.

Era ingiusto che l’Erasmus finisse, ma solo le cose che finiscono hanno senso.

Grazie a Burak, Pepe, Mehmet, Mario, Martina, Felicia Cindy, Eleonora Ligota, Fiorella, Paulo, Fiammetta, Alejandro, Madalino, Laia, Carlos, Vincenzo, Michaela, Irene, Maripepis, Dario, Ola, Agnieska, Luis e a tutti gli altri.

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