Al Sud: emigrazione in controtendenza.

Lasciare Milano per trasferirsi in Puglia

Wiki Vic
9 min readOct 1, 2015

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Ricordo bene il giorno in cui, circa due anni fa, mi recai in visita presso gli zii materni trovandoli confusi per avere appreso la notizia che Barbara, cioè mia cugina, si apprestava ad abbandonare un posto fisso, e ben remunerato, per trasferirsi al Sud e mettere su famiglia insieme al suo compagno, Toni, che di professione esercita uno dei mestieri più antichi e ormai quasi dimenticati del mondo: il liutaio.

Il fratello di mia madre, oggi pensionato ma reduce da quasi mezzo secolo trascorso sui turni in una fabbrica di stampa, fatica a comprendere come si possa scegliere di esercitare per mantenersi un mestiere artigianale praticamente morto, che, invece, a lui sembra più una passione da vivere come passatempo. Anche lui da piccolo si divertiva a intagliare il legno, ma per creare giocattoli rudimentali con cui passare il tempo, mentre il lavoro a quell’epoca erano solo i campi, la fabbrica o la miniera. Quel giorno, mio zio mostrava notevole preoccupazione per le decisioni della figlia; non riusciva proprio a capire come, di punto in bianco, ci si potesse lanciare in un’avventura dal sapore incerto, oltretutto ben distante dalla propria rete di protezione: la famiglia. I suoi pensieri non erano certo frutto di scarsa stima, semplicemente lui è un uomo d’altri tempi, un figlio della guerra cresciuto con un’altra cultura.

Benché io possieda certamente una maggiore apertura mentale rispetto a quella di mio zio, confesso di essere rimasta perplessa per questa novità. Potevo certamente capire la voglia di mia cugina e del suo compagno di “cambiare aria”, allontanarsi da un ambiente inquinato e stressante, rallentare il modello di vita frenetica della città, e più in generale del laborioso Nord Italia, che spesso finisce per trasformare le nostre vite in un grave esaurimento cementato ogni giorno dall’ansia da prestazione: pendolarismo, cartellini da timbrare, cliché da rispettare. Potevo capire anche la volontà di prendere distanza dalle logiche familiari, che a volte, seppure in totale inconsapevolezza, sanno essere così logoranti da tarpare le ali anche alle persone più dinamiche e creative. Ma la domanda che mi ponevo era la seguente:

“Perché proprio al Sud visto che da lì se ne vanno tutti? Volendo fare un grande salto, non sarebbe stato forse meglio spiegare le vele verso l’estero, scegliendo un paese foriero di maggiori opportunità come fanno tutti?”.

Conosciamo bene lo stato in cui versa il Sud del paese; l’ultimo rapporto Svimez ha fotografato la catastrofe del Mezzogiorno dopo quasi settant’anni di Repubblica: desertificazione industriale, assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie, crollo demografico, rischio povertà, condizioni precarie che spingono i più giovani alla fuga in cerca di migliori opportunità di studio e lavoro. Quella del Mezzogiorno è una questione aperta e mai risolta da quasi un secolo. i politici ne parlano per riempirsi la bocca, ma nessuno l’ha mai risolta, difficile non sospettare che manchi la volontà a causa delle connivenze tra stato e poteri locali.

Barbara ha una voce squillante come una campanella (è un’ex cantante), tanto dolce e carina, ma è anche una donna decisa e molto cocciuta, quando si mette in testa qualcosa difficilmente cambia idea. Così, un bel giorno, nonostante l’unanime parere contrario di parenti e amici, a bordo di un furgone stracarico, i due hanno puntato la barra a dritta verso il Sud e sono partiti alla volta della terra di Puglia, dove vivono a tutt’oggi insieme ai loro figli, Samuele e Daniele, due splendidi gemelli nati quasi un anno fa.

L’occasione per dare una risposta alle mie domande si è presentata quest’estate, quando, approfittando delle ferie, ho deciso di andare in vacanza in Salento per poterli andare a trovare. La bella famiglia vive a Calimera, un piccolo paese della Grecìa Salentina dall’indubbio fascino: i segni dell’antico e stretto rapporto del Salento con la Grecia sono tutt’ora evidenti nell’architettura urbana, rigorosamente in pietra leccese, delle case a corte, nelle dimore contadine, nelle cripte e nei monumenti. Nonostante ciò, confesso che passeggiando per Calimera nelle ore più calde, tra le 13 e le 16, si ha l’impressione di trovarsi in qualche sperduto paese del Messico, piuttosto che nel vecchio Far West; una sparatoria nelle strade deserte, sotto il sole di mezzogiorno, non mi avrebbe sorpresa più di tanto. Naturalmente si tratta solo di suggestioni folkloristiche dovute al caldo, infatti, passeggiando per le sue strade nell’ora peggiore, mi sono presa immediatamente un colpo di sole!

In quei giorni, ho avuto modo di conoscere il loro nuovo stile di vita e di farmi spiegare i motivi delle loro scelte. Perché emigrare in Puglia e non, ad esempio, in California? Sono stata stupida a non pensarci, ma il motivo è talmente ovvio da risultare scontato: il costo della vita.

A Calimera, Toni e Barbara hanno affittato un’intera palazzina di due piani al prezzo modico di trecentocinquanta euro al mese, una cifra che a Milano non ti consente di abbordare neppure un garage. Al piano terra, Toni ha creato il suo regno, un grande laboratorio, che comparato con quello di quindici metri quadri in cui esercitava a Milano sembra una fabbrica di strumenti musicali, in cui lavora alacremente dall’alba al tramonto seguendo una passione a metà tra l’arte e l’artigianato, mentre, al piano di sopra, Barbara si occupa di crescere personalmente e con tanto amore i bambini, un sogno che aveva da anni e finalmente può soddisfare.

Si capisce subito che Toni ama il suo lavoro, se ti mostri interessato e gli poni qualche domanda, lui si apre come un libro e ti racconta vita, morte e miracoli sulla liuteria. Toni è un tipo davvero particolare, per farvene un’idea potete provate a figurarvi una sorta di mastro Geppetto che intaglia il legno nel suo laboratorio mentre si spara gli AC/DC a tutto volume.

Mentre ero ospite nel suo laboratorio, Toni lavorava alla creazione di un violino per una musicista giapponese, ma in realtà la sua specializzazione sono le chitarre acustiche antiche, in particolare chitarre barocche molto decorate e appariscenti, chitarre classiche con complessi intarsi e un suono stupendo, nonché numerose chitarre del periodo romantico, come racconta in questa recente intervista a FormadArte.

Ho colto l’occasione per fare un paio di domande a Toni de Stefano:

“Considerando che oggi si possono avere ottime chitarre di fattura industriale, puoi dirmi perché un musicista dovrebbe scegliere di farsene fare una a mano?” Lui ha risposto così:

Una chitarra fatta a mano è, innanzitutto, uno strumento personalizzato secondo i gusti dei clienti per quanto riguarda: legno, forma, decorazioni, suono, comodità del manico, peso e molto altro. Si tratta di un oggetto unico, non fatto in serie, dotato di una propria personale ”anima”, che è sempre un ibrido tra l’anima del musicista e quella del liutaio. Su uno strumento realizzato in fabbrica, quindi fatto in serie, lavorano parecchi artigiani; uno crea i manici, uno piega le fasce, un altro lavora i piani armonici e così via per tutte le parti della chitarra. Certamente si riescono a ottenere ottimi risultati anche in questo modo (dal punto di vista commerciale sicuramente meglio), però, si tratta di un prodotto che deve avere caratteristiche per soddisfare un certo genere di aspettative, deve raggiungere “quel” risultato in grado di accontentare la massa, niente di più, niente di meno, soprattutto niente di personale. La “massa” non è per sua natura il committente del liutaio, anche se spesso succede che strumenti fatti in serie, anche di buona qualità, vengano portati da me, subito dopo essere stati acquistati, per poterli ‘modificare’ ed adattare alle esigenze del cliente. Il bello della liuteria, è anche il fatto che ogni liutaio mette il proprio suono nelle sue chitarre, che è dato proprio dal suo modo di lavorare, dalla sua tecnica costruttiva, dalla sua conoscenza generale degli strumenti e dal tipo di ricerca che preferisce approfondire. Se metti due liutai professionisti a confronto sullo stesso modello di chitarra, utilizzando lo stesso legno, gli stessi parametri costruttivi, addirittura anche lo stesso legno ricavato dalla stessa pianta, otterrai sicuramente due risultati completamente diversi. Non uno meglio o peggio dell’altro, ma uno diverso dall’altro, proprio perché ogni liutaio cerca di mettere parte di se, o la sua interpretazione personale di quel suono che il musicista vuole ottenere nel proprio lavoro. A ogni chitarrista il giusto liutaio e quindi la giusta chitarra: un vestito fatto su misura.

“Dal punto di vista professionale, perché hai scelto di lasciare Milano e trasferirti in Puglia?”

Per lavoro mi trovo spesso a partecipare ad esposizioni di Liuteria in Conservatori di diverse città italiane. Ho visitato negli anni diverse volte i conservatori di Bari e Foggia, fino ad arrivare a Lecce, girando ho imparato a conoscere luoghi molto diversi da Milano per tanti aspetti: ritmi più lenti e costo della vita molto più contenuto. Ho pensato che al Sud sulla liuteria ci sarebbe stata meno concorrenza, i pugliesi sono sicuramente più aperti dei lombardi, hanno una cultura artistica musicale differente. Inizialmente, abbiamo deciso di fare qualche vacanza da queste parti per farci un’idea, poi è scattato qualcosa e ci siamo detti: “Perché no?”. Ovviamente, eravamo pienamente consapevoli di correre dei rischi, ma nella vita se non rischi qualcosa rimani a un punto morto, magari ti accontenti ma rimanendo infelice e insoddisfatto. Per ora le cose non sono andate bene come speravamo, soprattutto per il mio lavoro. Qui la vita è più semplice, ma la mia esperienza mi porta a dire che spesso la filosofia generale è spendere il meno possibile o allungare i tempi dei pagamenti, addirittura, capita che qualcuno chieda uno strumento gratuito in cambio della vaga promessa di farti promozione, il tutto senza porsi il problema che chi lavora deve anche mangiare! Questo, però, ormai credo succeda un po’ in tutta Italia. Ci vuole tempo e tanta pazienza per farsi un nome rispettato. Non ci pentiamo della scelta fatta, siamo in continua evoluzione, non vogliamo certo fermarci e compiangerci, teniamo duro, ci diamo da fare per far funzionare le cose e io credo in quello che faccio, amo il mio lavoro e faccio l’impossibile per andare avanti, e comunque qui siamo felici anche nelle difficoltà, perché questo stile di vita è molto più a misura d’uomo.

Devo dire che, Toni e Barbara, pur continuando ad apparirmi sotto l’effetto di un potente allucinogeno, alla fine mi hanno davvero convinta e mi hanno anche fatta pensare. Una volta tornata al Nord, faccio più fatica a capire la pseudo mode, come quella della new-bio-natural-slow-life milanese, che di concreto e genuino ha poco o niente, e mi chiedo per quale motivo non abbiamo la forza di fare scelte più coraggiose per cambiare il nostro stile di vita, magari iniziando a presidiare i territori abbandonati che presto o tardi finiranno per trasformarsi in un vero deserto. Al Sud c’è una terra meravigliosa, un enorme patrimonio che andrebbe salvaguardato e valorizzato, ma ci vorrebbero le giuste politiche di risanamento del territorio, sostegno all’economia, infrastrutture e investimenti di cui, purtroppo, al momento non si vede l’ombra. Ad ogni modo, è stato bello trascorrere del tempo con persone che ancora credono nei loro sogni e provano a fare qualcosa per realizzarli.

C’è un modo di contribuire al cambiamento, ed è quello di non rassegnarsi. Ernesto Sabato

Originally published at wikivic.org on September 22, 2015.

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