Ali Hassoun: attraverso lo specchio

Quando l’arte diventa un linguaggio universale

Zibaldone post-punk
5 min readNov 18, 2016

Di Marco Grieco

Ali Hassoun, Campbell’s Soup, olio su tela, 2015. New York, collezione privata.

È possibile imbattersi in un deserto nel cuore di Milano? A me è capitato nella periferia occidentale della città, tra le strade colme di traffico e la carcassa metallica di San Siro sullo sfondo; in quest’oasi desertica, incontro Ali Hassoun, artista libanese di fama internazionale, che mi ha accoglie in un atelier sito in un seminterrato luminoso: un’alcova di dipinti, libri e tanto colore impastato: “Lo studio è il mio deserto, il luogo che è la mia dimensione interiore”.

È lui che esordisce parlandomi del deserto, quel luogo mistico che è la trasposizione più intima dello spirito umano. In effetti, mi basta dare uno sguardo ai suoi quadri per rendermi conto che c’è un filo di sabbia dorata che avvolge i diversi soggetti, la polvere archetipica di un luogo vagamente medio-orientale che si scompone e invade altri spazi e altri tempi, quasi che non capisci se si tratta di residui geologici o celesti. Dall’età dei Comuni alle serigrafie di Warhol, la strada non si curva, ma si giustappone al caleidoscopio cromatico, che poi è la firma di Hassoun.

Ali Hassoun, Pop Girls, olio su tela, 2015

“Il colore è parte dell’atto pittorico; e l’atto pittorico è ciò che determina lo spazio, rendendolo sacro”

Colore, soggetto, azione sono tutti elementi che concorrono alla definizione della Bellezza, parte della Verità, a detta dell’artista.
M’incuriosisce sentirlo parlare perché in questo pittore musulmano, dal vago accento milanese, amante della Pop Art e del Rinascimento Italiano, scorgo la risposta umana, concreta, alle ideologie che dividono. Se ci sono fondamentalismi che uccidono in nome di un dio in diverse parti del mondo, in questo atelier di Milano, Hassoun dipinge la primavera della gioventù araba carica di libertà e speranza, come ne Il Pop(olo) vuole.

Ali Hassoun, Pop Boys, olio su tela, 2015, Farhat Art Musem

Scopro che il dialogo di quest’artista comincia a 13 anni quando, in una libreria di Beirut, sfogliò un libro sulla Cappella Sistina: da allora, l’immagine è diventata per lui veicolo di una Bellezza che non conosce schieramenti etnici o religiosi. Guardando le sue tele, infatti, non stupisce ammirare delle donne africane setacciare il grano sullo sfondo dell’Allegoria del buon governo di Lorenzetti, oppure un iconico Raffaello Sanzio poggiato a una maiolica d’arte islamica.

«La società islamica non favorisce l’isolamento; anzi, favorisce l’identità del gruppo» — Ali Hassoun

Il debito di Hassoun verso la sua cultura è quest’insegnamento, mentre oggi la società travisa per paura o chiusura. La maturità interiore di quest’artista può essere compresa come a calce di un cammino spirituale. Ali aderisce al sufismo, la mistica della religione islamica. L’ecumenismo in cui si proietta con la sua arte lo caratterizza così tanto che quello stesso atelier in cui oriente e occidente si specchiano sulla tela diventa, una volta al mese, il luogo dello zhikr, di incontri dove Cristiani, Ebrei e Musulmani camminano uniti verso la comprensione di Dio.

Partendo dalla sua esperienza, Hassoun avverte che il problema dei fondamentalisti islamici è la «mancanza di un percorso interiore, l’unica via che possa garantire rispetto per le diversità e dialogo reciproco». Se sono lodevoli gli sforzi dell’Università di Al-Azhar sul versante della tolleranza religiosa, Hassoun non può non notare che alcune realtà islamiche necessitano di maggiore apertura.

L’opera che, forse, esprime più direttamente la forza del dialogo interreligioso risale al 2010: si tratta del cencio, cioè il drappellone del Palio di Siena dedicato alla Madonna di Provenzano. Al centro svetta la figura di San Giorgio, in armatura occidentale e copricapo orientale (outfit plausibile, se si pensa che il suo Paese d’origine era l’Anatolia); la carnagione olivastra del santo fa da contrappeso al viso roseo di Maria, che campeggia nella parte superiore, ritratta nell’iconografia tipica dell’ambiente senese.

Ali Hassoun, Madonna di Provenzano (particolare dal “cencio” del Palio di Siena), 2010

Entrambe le figure sono espressione di incontro ecumenico: San Giorgio è leggendariamente legato alla liberazione di un villaggio pagano dal drago, mentre alla Vergine Maria è dedicata una sura del Corano e figura come l’unica donna alla quale viene dato l’appellativo di Siddiqah, “Colei che è sempre veritiera”».

Nella società di oggi si può mantenere autentico questo dialogo, a volte così difficile e percepito come onirico da taluni? Con la sua semplicità, che mi sembra di essergli amico da sempre, Ali mi risponde:

“Dobbiamo perseguire la giustizia sociale, perché questo è il reale bisogno di oggi”

Anche l’arte contemporanea, in questo millennio di fermenti, ha un ruolo importante, quasi simbolico. Ali non critica l’arte concettuale, ma inverte l’analisi; ritiene, infatti, che tutta l’arte sia concettuale, in quanto veicolo di un’opinione o di un sentire comune: nell’ansia di casistica tipica della critica d’arte, dunque, l’iperrealismo con cui l’artista viene etichettato altri non è che una declinazione di concettuale.

“Ancorarsi alla tradizione è l’atto più rivoluzionario che conosca”

A chi vede nella sua produzione un revival superato della tradizione, Hassoun sottolinea come, al contrario, ancorarsi alla tradizione sia l’atto più rivoluzionario che si possa attuare. Gli do ragione, perché percepire di stare sulle spalle dei giganti della Storia ci permette di guardare lontano.
Ecco, dunque, che le serigrafie di Andy Warhol o le mappe di Alighiero Boetti diventano uno sfondo da oltrepassare, come attraversare uno specchio, perché nei rimandi al passato si riflette un futuro tutto da costruire.

Ali Hassoun, “Brillo”, olio su tela, 2015. New York, collezione privata.

Ali Hassoun sarà in mostra prossimamente alla Casina Roma, San Donato Milanese, bipersonale con Sara Forte, dal 16 dicembre 2016. Alla Galleria Guastalla Arte Moderna e Contemporanea, Milano, mostra personale, 9 febbraio 2017.

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