Contro Grasso
E la falsa retorica dei choosy

Alessandro Gilioli
3 min readApr 23, 2015

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foto Squadrati.com

Gentile Aldo Grasso,

Ho ascoltato diverse volte il suo videoeditoriale sulla «generazione che non è abituata al lavoro» e mi permetto di suggerirle l’ipotesi di approfondire un po’ di più l’argomento valutando anche altri punti di vista.

D’accordo, lei ha preso spunto da un articolo poi risultato quasi del tutto falso e si sa che non è nelle abitudini degli editorialisti verificare. Tuttavia, se posso, anche verificare sarebbe un lavoro, quale che sia la generazione a cui si appartiene.

Ma pazienza. Lei del resto, con ogni probabilità, nel suo giudizio onnicomprensivo non si riferiva solo a quella mezza bufala del Corriere: dev’essere il suo panel personale che la induce a ritenere un’intera generazione “non abituata al lavoro”. D’altro canto ognuno può fare la sineddoche che crede, sulla base delle proprie conoscenze personali: giusto l’altro giorno un giovane infermiere qui a Roma mi raccontava dei suoi turni di 12 ore continuative in corsia, che diventano 24 se il collega del turno dopo è malato, per fortuna però a Pasqua ha potuto riposarsi perché l’hanno licenziato per riassumerlo una settimana dopo: ah sì, è un infermiere a partita Iva. Ha presente di cosa si tratta, vero?

Ma, appunto, ciascuno ha il suo panel e ciascuno può arbitrariamente proiettarlo sull’universo.

Quello che ritengo però abbastanza certo è che né lei né io, che apparteniamo alla generazione dei salvati, abbiamo moltissimo titolo per fare filippiche a quella dei sommersi, specie se non sappiamo bene come vivono e ragionano. Vede, Grasso, ci sono diritti o ‘privilegi’ che per noi sono normalità, eppure solo a nominarli loro ti guardano come se fossimo alieni: la tredicesima, la quattordicesima, le ferie pagate, la pensione, le aspettative, la maternità, il sindacato, qualche volta anche il telefonino e il pc aziendale — per non dire dell’automobile, che a quanto ricordo al Corriere è in leasing quasi for free. Ce la sentiamo davvero noi, con tutte queste cose in tasca da trent’anni, di irridere chi non le ha mai viste e non le vedrà mai?

Certo, anche noi da ragazzi qualche lavoretto di merda lo si è fatto, è vero. E non ci si lamentava. Ma sapevamo che era poco più che un gioco, per pagarci le vacanze, la moto o lo stereo. Sapevamo che finita l’estate — o tuttalpiù l’anno — saremmo passati ad altro, in rapido miglioramento. E sapevamo che il nostro destino, a diploma o laurea raggiunta, era un posto garantito, con tutti i diritti di cui sopra, e volendo eterno.

Non le sorge il dubbio che chi è giovane oggi sia invece meno entusiasta di scattare al volo per un lavoretto di merda perché sa che finito quello sarà di nuovo per strada ad aspettarne o cercarne un altro probabilmente più di merda ancora, e così via per l’eternità?

Insomma, rispetto a noi quando eravamo giovani, loro hanno decisamente meno fiducia, meno speranza. E hanno fondatamente meno fiducia, meno speranza. Forse è per questo che non tutti scattano sull’attenti alle chiamate di un’agenzia interinale: perché sanno come sarà il loro futuro, anche se a quella chiamata corrono. Ad esempio, sanno che saranno comunque e per sempre molto più poveri di noi, molto più precari di noi e con un rapporto di forza molto più sfavorevole nei confronti dei committenti o capi.

Insomma, sanno che per quanto si possano sbracciare, non nuoteranno mai: al massimo, galleggeranno. Ecco: a me non sembra poi così strano se, galleggiare per galleggiare, non siano sempre entusiasticamente pronti a sbracciarsi. No?

Quindi, caro Grasso, mi chiedo davvero con che faccia noi oggi gli diamo lezioncine, dopo avergli consegnato questo presente e questo futuro. Non rischiamo di somigliare un po’ all’obeso turista americano che va in Africa a spiegare agli affamati che non devono fare gli schizzinosi a cibarsi di spazzatura?

Sono certo che ci rifletterà. Con cordialità.

Originally published at gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it on April 23, 2015.

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