e-health: la salute nell’era digitale

Fascicolo elettronico, ricetta digitale e App per smartphone: “Pazienti nell’era 2.0” è la nostra inchiesta per capire meglio l’impatto delle applicazioni del digitale a scopo diagnostico, terapeutico e assistenziale.

AISM onlus
6 min readApr 26, 2016

C’era una volta il foglio di carta: la ricetta, il referto, il certificato. E con esso il timbro, la firma, il protocollo.
Ma oggi viviamo in un mondo di bit, di 0 e di 1: un mondo digitale. E anche la sanità, così come altri settori della vita collettiva, si sta adeguando.
È la sanità digitale, o e-health. In tempi di tagli alla Sanità e di timori per un servizio sanitario sempre meno sostenibile, la notizia è dirompente: quasi 7 miliardi di euro l’anno potrebbero risparmiarsi da una piena attuazione della e-health. A darne notizia, su dati del Ministero della Salute, è l’osservatorio indipendente Netics, intervenuto al Forum S@lute, il primo Forum della sanità digitale di fine 2015 che ha messo in rete istituzioni, sanità, ricerca e aziende IT e ICT.

Numeri non campati per aria: lo scenario elaborato da Netics — che si occupa di digitalizzazione nella PA — quantifica in dettaglio, nei diversi capitoli di spesa sanitaria, i 6,9 miliardi di euro di potenziali risparmi. «Non di sola informatizzazione si tratta — spiega Paolo Colli Franzone, cofondatore e direttore scientifico — ma della messa in rete dei dati e del dialogo tra i vari soggetti». In altre parole: non è trovare un referto in pdf anziché su carta che fa la differenza, ma il fatto che paziente, medico di base, specialisti, sistema sanitario, dialoghino fra loro virtualmente attraverso il web. Magari ritrovando i loro dati condivisi in una nuvola di dati, un cloud.
Difficile dare una definizione univoca della e-health, commenta la giornalista Cristina Da Rold, autrice di ‘Sotto controllo. La salute ai tempi della e-health’ (2015, Pensiero Scientifico editore):

«Si definisce e-health tutto ciò che passa attraverso il web, con cavi o meno. Tutto ciò che fa interagire il paziente col sistema sanitario non su carta, ma su digitale »

Appunto, interagire: non la sola dematerializzazione dei documenti (cartelle cliniche, referti, diagnostica), ma la condivisione dei dati e l’interoperabilità dei sistemi a scopo diagnostico, terapeutico, assistenziale, come evidenzia Mauro Moruzzi, inventore del CUP negli anni ’80, ideatore del Fascicolo Sanitario Elettronico o FSE e direttore scientifico di Cup 2000 SpA, la società di e-health e e-care dell’Emilia-Romagna.

I tasselli che compongono il sistema: il fascicolo sanitario elettronico in questione, la cartella clinica elettronica, la tessera sanitaria elettronica già in uso, la ricetta elettronica (è del 1° marzo scorso la notizia della scomparsa definitiva, della vecchia ‘ricetta rossa’); i referti web, i CUP automatici, la telemedicina intesa come telediagnostica e teleassistenza, i registri di dati (come il Registro sclerosi multipla di prossima presentazione), la M-health dove ‘m’ sta per mobile (le ‘app’ da smartphone per la salute: monitoraggio del paziente e dei suoi parametri, della terapia, dei sintomi).

Il FSE, caposaldo dell’e-health, di fatto è la nostra identità sanitaria digitale: la nostra storia clinica, patologie, ricoveri, terapie, referti e immagini, il tutto in un elenco di link accessibile via pc o smartphone, implementabile anche dal cittadino, che però — è importante — deciderà cosa rendere visibile ai diversi soggetti (medici di famiglia, specialisti, centri clinici, terapisti, farmacie). A livello legislativo, da due anni il ‘Patto della Salute Digitale’ del Ministro Lorenzin, sulla scorta di Agenda Digitale e della strategia europea ‘Health 2020’, e in base a vari decreti attuativi tra cui il 179/2012 sul FSE, fissa determinati obiettivi di digitalizzazione, con scadenze via via prorogate.

L’interrogativo su a che punto siamo oggi è lecito: nella realtà quotidiana in molte città, ospedali, CUP, si è ancora legati al pezzo di carta e alle trafile burocratiche, e in alcuni territori solo trovare un referto on line è un miraggio. Il quadro reale ripropone il solito divario Nord-Sud. Hanno un FSE perfettamente funzionante l’Emilia-Romagna (pioniera, dal 2008 con ‘progetto SOLE’ di Moruzzi), la Lombardia, il Trentino, la provincia
autonoma di Trento; hanno avviato alcune funzioni del fascicolo Veneto, Toscana e Sardegna; stanno lavorando su di esso Piemonte, Val D’Aosta, Liguria, Umbria; al Sud, fatta eccezione per la Puglia, il fascicolo è assente in pressoché tutte le regioni. Perfino però nelle regioni che già l’hanno adottato, alcuni medici e strutture non lo diffondono o non lo utilizzano. Una mancata realizzazione si riscontra anche per la cartella clinica elettronica (che afferisce al singolo centro) e per altri strumenti di sanità digitale, in primis il CUP automatico, che basandosi sui dati del FSE e sulla ricetta elettronica consentirebbe agli utenti di essere chiamati in automatico.

La frammentazione regna ovunque: vuoi per il digital divide e le infrastrutture tecnologiche, carenti di piattaforme software adeguate, vuoi per la mancata alfabetizzazione degli operatori e le resistenze della burocrazia sanitaria. Accanto a una sanità ‘old style’ si fanno avanti singoli progetti innovativi di enti locali, università, aziende; e in questo panorama a macchia di leopardo, l’autonomia sanitaria delle Regioni non giova. Manca, infatti, una ‘cabina di regia’ istituzionale, o laddove c’è — perlomeno a livello legislativo — sconta i tagli della spending review.

Eppure l’invecchiamento della popolazione e la domanda crescente di salute renderebbero necessaria la svolta. Secondo il bilancio demografico ISTAT del 2015, nel 2050 gli ultra65enni in Italia saranno il 33,1% del totale; e le spese di LTC (long term care), i servizi di lunga assistenza per le cronicità, secondo la Ragioneria Generale dello Stato nel 2060 copriranno l’1,26% della spesa sanitaria, con un aumento annuo di 6 miliardi di euro.

Sul fronte della sclerosi multipla è evidente come i benefici di una sanità digitale andrebbero ben oltre un semplice risparmio sulla carta. Si pensi a un sistema dove il fascicolo elettronico racconta la storia clinica delle persone senza che manchi nulla, senza dover raccontare ogni volta tutto all’ennesima ricaduta, medico, reparto, centro clinico, centro riabilitativo; al non doversi più recare al CUP per prenotare esami, perché è il CUP automatico stesso — sulla base della ricetta elettronica caricata nel FSE — che chiama la persona per il posto più vicino.
O alla gestione dei sintomi, variabili e capricciosi: il ménage casa-ospedale, con medici e reparti ingolfati da una parte, e dall’altra persone che soffrono di una patologia multiforme (spesso con difficoltà a muoversi e con caregiver caricati di incombenze), si semplificherebbe con l’invio di dati; gli effetti collaterali o l’efficacia dei farmaci si potrebbero controllare a distanza, magari con una app. Sottolinea Colli Franzone:

“Non si vuole sostituire il rapporto umano, ma anzi far risparmiare al medico quell’oltre 50% di tempo che oggi impiega in atti burocratici, per tornare a concentrarsi su attività clinica e pazienti”

«Lo ripeto da sempre — rimarca Moruzzi — e-health non significa aumentare la distanza medico paziente; l’unica cosa che aumenterebbe sono i dati a disposizione del medico, e l’informazione del paziente. La sanità digitale deve avvicinare il paziente a medici e strutture; nondimeno, ogni diagnosi non potrà mai fare a meno di un primo contatto e dell’interpretazione medica». Mantenendo l’unicità di quel paziente, specialmente per una patologia imprevedibile e variegata, non sempre riproducibile da un algoritmo, qual è la sclerosi multipla.

Dal canto suo, «il paziente può migliorare il self-empowerment e il self-management, imparando le tecniche di automonitoraggio — fa eco Cristina Da Rold — responsabilizzandosi, restando quel singolo paziente attorno a cui ruota una rete di dati e operatori condivisa».
Una sanità non più ospedale-centrica ma paziente-centrica, che consentirebbe l’accuratezza e la personalizzazione delle cure.
Mentre l’e-health italiana si comincia a intravedere — ma «pure a diverse velocità, è realtà in divenire e sempre più dovrà andare avanti», conclude Moruzzi — i pazienti dell’era 2.0 sono già da tempo abbondantemente on line, con i loro strumenti di autonomia e condivisione (blog, forum, social media, health communities). Più avanti del sistema, con tutte le opportunità che derivano dall’essere on line.

Inchiesta di Laura Santi pubblicata su SM Italia 2/2016, il bimestrale di AISM, Associazione Italiana Sclerosi Multipla.

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Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Diritti, persone, ricerca, per un mondo libero dalla sclerosi multipla.