Homo Homini Imbecillus*

In difesa della Rete, a seguito del discorso di Umberto Eco e l’accusa a Internet e i social network: “Libertà di parola a legioni di imbecilli”.

Luca Alagna

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di Luca Alagna

Umberto Eco ha gettato scompiglio ancora una volta sulla Rete, accusandola di dare colpevolmente la parola a legioni di imbecilli.
Si trattava di una conferenza stampa a latere della sua lectio magistralis dedicata alla “sindrome del complotto” all’Università di Torino.

È necessario prima di tutto ascoltare interamente le sue parole, per contestualizzare i toni (o leggere il pezzo di Simone Spetia) e fare attenzione alle domande/provocazioni dei giornalisti (come fa notare Mario Tedeschini Lalli):

Il tema è sempre caldo online perché è alla base della critica/difesa della Rete almeno da un decennio (da Lanier a Morozov), perché non è la prima volta che Eco critica aspramente la Rete (anzi si potrebbe dire che la detesta costantemente) e infine in Italia è particolarmente sentito perché l’uso salvifico della Rete investe anche la politica e la quotidianità.

Le reazioni sono state tante (vi invito a leggere quella brillante di Dino Amenduni e questa di Massimo Mantellini, molto bella da leggere) e ci si è concentrati sul merito (siamo imbecilli? gli altri sono imbecilli? la Rete ci rende imbecilli?) finché Alessandra non ha fatto notare:

E secondo me è il cuore della questione.

Per Umberto Eco il tizio che va al bar a si sfoga è un imbecille, per il tizio del bar probabilmente quelli come Eco sono gli imbecilli, alcuni pensano che credere ai complotti sia da imbecilli, altri che lo sono quelli che non riescono a vedere il pericolo delle scie chimiche.
Siamo tutti l’imbecille degli altri.

Non è esercizio di relativismo, è così da sempre, per questo abbiamo sviluppato nel tempo dei processi di confronto, dibattito, consenso.
Ecco, i processi a cui eravamo abituati negli ultimi 100 anni ora, con la spallata della Rete, stanno saltando.

I processi che si basavano su autorevolezza e controllo si stanno sgretolando, vengono soppiantati da processi che si basano su reputazione e interazione.

Stiamo assistendo al passaggio da un equilibrio a un altro, non al caos.
Tutto questo non è colpa (o merito) della Rete, stiamo semplicemente cambiando i nostri modelli mentali, anche grazie alla Rete.

Quello di cui parla Umberto Eco è particolarmente attuale.
Una volta il nostro modo di influenzare il mondo circostante era limitato per ragioni fisiche e contestualizzato in una comunità fisica, con regole ed equilibri.

Lo “scemo del villaggio” esisteva in quanto esisteva un villaggio.
Oggi questi vincoli fisici possono essere eliminati.

Non solo, ancora più importante, non siamo necessariamente legati a una comunità fisica ma possiamo sceglierci la community (online) che vogliamo.
All’interno di una community lo “scemo del villaggio” di prima potrebbe essere l’Umberto Eco relativo, costruendo (sempre relativamente) conoscenza e informazione.
Perciò io non so se quella frase di Eco volesse essere sprezzante ma so che è perlomeno realistica.

Quello su cui non sono d’accordo con lui è l’impressione che dopo quell’equilibrio ci sia il caos e la decadenza: dopo c’è semplicemente un altro equilibrio.

Cambia il modo di confrontarci, cambia il modo di discutere, cambia il modo in cui raggiungiamo il consenso (cambia ovviamente il modo in cui costruiamo la conoscenza).

Quello che dovremmo fare è cercare di capire il prima possibile questo nuovo equilibrio, per tutelarlo e tutelarci.
Dovremmo sostenere lui, più che quello appena passato.

(*Nota del titolo: “absit iniuria verbis”)

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