Scuola digitale: Come possiamo fare innovazione in classe?

Il metodo, la curiosità e la produzione. Dal documento alla pratica, passando per gli investimenti

luca corsato
5 min readNov 1, 2015

di luca corsato

illustrazione di Charis Tsevis

“L’innovazione è uso” scrive Damien Lanfrey in un un articolo pubblicato il 30 ottobre in cui spiega le coordinate verso il quale si avvia il piano nazionale “Scuola Digitale”.

“Ascolto e dimentico. Vedo e ricordo. Faccio e capisco”. — Bruno Munari che cita Confucio.

Non voglio fare esegesi di quello che scrive perché sarebbe riduttivo rispetto al lavoro che Lanfrey fa da un po’ di anni. Posso solo dire che per certi versi, questo articolo unito al documento, sono l’arrivo ad una nuova terra dopo una camminata nel deserto.

In questa marcia, tutti noi, che ci sbattiamo e veniamo sbattuti come polpi, lavoriamo per far spostare gli sguardi dai si dovrebbe ai pianifica, fai e verifica.

Il metodo

Questo è il metodo. Lo trovate a pag. 41 del documento:

  • Potenziare l’infrastrutturazione digitale della scuola con soluzioni “leggere”, sostenibili e inclusive
  • Trasformare i laboratori scolastici in luoghi per l’incontro tra sapere e saper fare, ponendo al centro l’innovazione
  • Passare da didattica unicamente “trasmissiva” a didattica attiva, promuovendo ambienti digitali flessibili
  • Allineare l’edilizia scolastica con l’evoluzione della didattica
  • Ripensare la scuola come interfaccia educativa aperta al territorio, all’interno e oltre gli edifici scolastici

Questi vengono declinati come obiettivi, ma se guardate bene l’articolo di Lanfrey ci sono alcuni nomi che lui fa e a cui rivolge il suo (e il mio, spero anche quello di tutti coloro che leggeranno queste righe) ringraziamento. Non li ripeto e ve li lascio trovare, ma sono dotati di molte competenze diverse che si sono interfacciate per realizzare qualcosa su cui poi scrivere il documento: il metodo è questo.

Trovare il punto di relazione su cui stabilire un incrocio di interessi: su questi strutturare delle attività di un progetto condiviso.

La curiosità

Sia l’articolo di Lanfrey che il documento sono straordinariamente lunghi rispetto agli standard di attenzione e di comprensione. Eppure li ho letti.

Perché ero curioso. Perché la mia curiosità mi ha distolto da un po’ di relax (con la mia droga chiamata Civilization) e mi ha fatto leggere e ricercare.

Questo di fatto è la scuola. Incuriosirsi, leggere, ricercare, verificare le fonti di quello che si è letto. Tutto qui. E questo sta alla base sempre del documento:

La scuola digitale, in collaborazione con le famiglie e gli enti locali, deve aprirsi al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia a politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato.

E così, con questo Piano Scuola Digitale, mentre investiamo per la scuola investiamo anche nella classe creativa del Paese, nella giovane impresa, nella ricerca — Damien Lanfrey

Perché è dalla percezione dei limiti dei propri strumenti che si sviluppano delle reazioni. Non è solo una questione di disponibilità all’accesso di tecnologie, ma di necessità di usare gli strumenti in tutti i contesti.

Portarsi a scuola il proprio computer, il proprio libro, il proprio cervello e la propria conoscenza sono il modo migliore per confrontarli e affinarli.

La produzione

L a produzione non è il risultato dei progetti o delle attività che si faranno o si fanno nella scuola. La produzione è l’inserimento nella filiera produttiva di un Paese.

La scorsa settimana al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano ho visto alcune sale dedicate alla produzione delle Industrie siderurgiche Falck.

Mi ha colpito leggere che nell’area industriale la famiglia Falck aveva di fatto costruito una città che comprendeva tutti i servizi. Tra questi una scuola con metodo Montessori. Stessa cosa fece Olivetti con la biblioteca aziendale (dal minuto 11:00)

Ovvero la produzione deve guardare alla scuola come ad un investimento… FINANZIANDO!

Il documento dice a pagina 84:

  • Colmare il divario digitale, sia in termini di competenze che occupazioni, che caratterizza particolarmente il nostro Paese
  • Promuovere carriere in ambito “STEAM” (Science, Technology, Engineering, Arts & Maths) Valorizzare il rapporto tra scuola e lavoro
  • Coinvolgere gli studenti come leva di digitalizzazione delle imprese e come traino per le vocazioni dei territori
  • Promuovere la creatività, l’imprenditorialità e il protagonismo degli studenti nel quadro della valorizzazione delle competenze chiave e per la vita all’interno dei curricola scolastici

Questo significa formare gli studenti ad essere realizzatori di attività e non più lavoratori.

Io mi fermerei qui, anche se ci sono tanti altri spunti come dati, competenze e accesso ai registri e valutazione. Ma in tutto questo appare evidente che lo sforzo non è più rimandabile.

Pensare allo Stato come un Ente a cui rivolgerci rischia di essere riduttivo. Con la Scuola Digitale lo Stato potremmo tornare ad essere noi.

Chiudo con una domanda:

Come può una azienda o una startup (anche minuscola) e con che incentivi aiutare questo modello di scuola?

Un po’ di tempo fa parlavo con Chiara Ciociola che segue il progetto A Scuola di Opencoesione. Mi chiedeva alcune cose relative al tutoraggio di una classe di una scuola nel Veneziano. Io le chiedevo se era prevista la possibilità che un’azienda potesse fare tutoraggio portando delle competenze in classe, aiutando gli studenti a districarsi negli ambiti di competenza dell’azienda.

Secondo il mio punto di vista — ovvero di un imprenditore povero e agli inizi — il miglior investimento è togliersi dalle iniziative promozionali inutili o convegni altrettanto inutili e portare quello che impara ogni giorno in qualche classe.

Per un’azienda sostenere progetti come Opencoesione e tanti altri progetti che potrebbero essere trasmessi alle scuole (penso ad Italia Sicura o ai tantissimi laboratori del CNR o a Musei, Archivi o Istituti di Conservazione) dovrebbe essere il miglior investimento.

Le startup innovative hanno l’obbligo di investire una percentuale del proprio bilancio in innovazione e ricerca. Io voglio investire anche nella scuola con tutto ciò che imparo ogni giorno.

Quindi: Come faccio a sostenere Scuola Digitale?

Il documento in versione integrale

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