Nungwi: l’Arcipelago Umano.

L’arcipelago umano

Nungwi è un villaggio di pescatori situato all’estremità settentrionale di Unguja, la principale isola dell’arcipelago di Zanzibar

Giorgio M Bologna

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Come prima cosa si atterra su una pista corta, la stessa dalla quale si ripartirà. Una pista dissestata, battuta dal vento e da orde di turisti preda del fuso orario, delle infezioni all’apparato gastrico e spossati da un calore denso, da stagione delle piogge.

Come seconda cosa, ci si accorge degli orari di arrivi e partenze: scritti con pennarelli cancellabili su una lavagna di plastica.

Come terza cosa si viene tassati dall’Esercito regolare: 50 dollari americani piegati nel passaporto che pur essendo elettronico e fresco di Questura, funge solo da bustarella.

Poi ci sono i pullman importati dagli States, dalla Cina e da qualche posto nell’Est Europa.

Il gasolio mescolato all’odore della cucina di strada — che è anche l’unica disponibile — : curry, copertoni bruciati, sangue rappreso e profumi di piante tropicali tra il dolciastro e la mandorla amara.

Una forte, fortissima sensazione di Medioevo che può essere faticosa da accettare, ma trova terreno fertile in un retaggio che scopriamo non essere così lontano.

Il paesaggio è spietato, le rocce e i coralli sono ancora giovani, spigolosi e taglienti, ma colonizzati da divise da calcio e piedi che rimangono nudi. E da un governo del territorio che è tutt’altro che “buon” e non ammansisce la potenza dell’Isola e di quei sassi galleggianti coperti di verde esplosivo che la attorniano.

Il punto è questo. Domare o rimanere distaccati documentaristi. Ad ogni costo ci si sforza di trovare similitudini e assonanze in parallelismi con realtà conosciute, cercando l’uniformità.

Con molta meno volontà si archivia nella memoria, si registra e si ascolta, sospesi a pochi millimetri dalla terra rossa profumata di cardamomo e vaniglia.

Entrare in una forma ambientale sconosciuta, aliena, trovando la somma delle differenze strutturali della società nel solo rapporto economico, che porta a definire come “povera” una fertilità mimetizzata.

A certe latitudini la mimesi — il camouflage — è d’obbligo. Non stupisce che la ricchezza abbia scelto di rendersi visibile sotto forma di “montagnola di pelli di pesci palla essiccate”.

Le pelli di pesci palla essiccate sono raccolte tutte in un punto preciso al centro del villaggio. Le pelli sono dure, coperte di aculei color avorio, violacee all’apice. Hanno un suono sordo quando sfiorate.
Raccolte insieme, sono una forma di vita ancestrale, minacciosa, una divinità estinta.

Senza suole bisogna proteggersi. Per proteggersi si isola il pericolo.
Su una spiaggia di cenere, un’isola di aculei e squame.

Un ciclo aperto, che esiste a tutti i livelli. Dalle maree ai frigoriferi rotti che diventano armadi per carne.

Gli armadi per carne. È un bene che non abbiano abbastanza corrente per funzionare come frigoriferi.

Il brulicare della vita in uno scambio tra natura e civiltà. Uno spettacolo nel quale siamo coinvolti talmente profondamente da averci fatto l’abitudine.

Ma quando le coordinate cambiano, cambiano le prospettive.

Superando l’equatore la bellezza si è improvvisamente resa speculare a sé stessa, per proteggere la sua ricchezza più grande. Rivelandosi e facendosi rispettare con un cliché, immortale come tutti i cliché e altrettanto memorabile: la meraviglia, l’essere terra di conquista per l’immaginazione.

Esattamente come te lo aspetti, ma non come credevi che potesse essere.

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Giorgio M Bologna

Milano based creative director, blackworks scribbler and documentary enthusiast