Nel limbo del Libano

La città portuale di Tripoli in Libano era uno dei punti di ingresso sulla rotta dei profughi verso l’Europa. Oggi, con la chiusura delle frontiere e con i nuovi requisiti per i visti, i profughi siriani si ritrovano sempre più bloccati dove sono, costretti ad affrontare violenze, difficoltà economiche e un futuro incerto.

Monica Cainarca
9 min readMay 5, 2016

di Eric Reidy

Questa è la prima puntata della serie per Refugees Deeply:

Sulla rotta del Mediterraneo 1 : 2 : 3 : 4 : 5

TRIPOLI, Libano - L’unico traghetto che porta da Tripoli in Libano verso la città di Mersin nel sud della Turchia si allontana dal porto con un carico di autocarri. Non ci sono passeggeri questo sabato sera. Il molo di Tripoli è quasi deserto a parte una dozzina di pescatori sparsi qua e là, impegnati a districare le reti mentre il sole cala all’orizzonte. Ogni tanto si vede una famiglia che passeggia sgranocchiando mais cotto o fave bollite prese da uno dei carretti colorati dei venditori ambulanti.

Il porto di Tripoli è insolitamente tranquillo di questi tempi. Dalla metà della scorsa estate fino ai primi di gennaio, il ritmo sonnolento della vita in questa città levantina era stato interrotto dalle migliaia di siriani che affollavano il porto, diventato il loro unico punto di fuga dalla guerra civile in patria e dalle disastrose condizioni di vita in Libano.

“Passo per il porto tutti i giorni per andare al lavoro”, mi racconta Khouloud al-Ali, una residente di Tripoli. “Se passavi di qui di sera, di giorno, di pomeriggio... non saprei dire un numero, ma c’erano moltissime famiglie di siriani che stavano cercando di raggiungere la Turchia e l’Europa”.

Nell’agosto dello scorso anno, il numero di siriani che passavano per il Libano alla volta della Turchia aveva avuto un’impennata. “Ce n’erano tra i 3.000 e i 5.000 che partivano ogni settimana”, dice Lisa Abou Khaled, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Oltre a un certo numero di libanesi che lasciavano il Paese, era un vero e proprio esodo tra i profughi siriani che vivono in Libano (1,5 milioni in tutto), spinti a partire dal peggioramento della situazione locale e dalla mancanza di speranze realistiche di tornare a casa dopo cinque anni di guerra.

La destinazione finale per la maggior parte di queste persone era l’Europa, da raggiungere in viaggi pericolosi attraverso il Mar Egeo verso le isole greche, dove lo scorso anno sono sbarcati 850.000 richiedenti asilo. Con 3.771 morti registrate, il 2015 è stato l’anno più letale per i migranti e i profughi che attraversano il Mediterraneo alla volta dell’Europa, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Il porto di Tripoli e l’aeroporto di Beirut erano le prime tappe di questo percorso rischioso.

Ma l’8 gennaio di quest’anno, la Turchia, che ospita quasi 3 milioni di profughi siriani, ha adottato nuove leggi che richiedono ai siriani in arrivo da un Paese terzo di avere un visto. Prima, potevano entrare in Turchia da qualsiasi Paese solo con il passaporto.

Questa mossa che ha ridotto il flusso di persone attraverso il Libano è stata seguita dalla chiusura del confine greco-macedone ai primi di marzo e dall’accordo tra Unione Europea e Turchia, che prevede il rientro in Turchia dei profughi che hanno raggiunto la Grecia dopo il 20 marzo.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha espresso preoccupazione per questi sviluppi recenti, sostenendo che rendono ancora più difficile per le persone in fuga dal conflitto armato raggiungere la sicurezza. In Libano, le crescenti restrizioni ai movimenti hanno lasciato i siriani in condizioni terribili con ben poche speranze di fuga.

Bab al-Tabaneh, uno dei quartieri più difficili e segnati da conflitti e violenze in tutto il Libano, a soli 15 minuti di auto dal porto di Tripoli, è diventato l’approdo di profughi disperati con pochi mezzi e poche opzioni. È in uno dei cortili di cemento di questo quartiere che ho incontrato Sihem Nadaf, una quarantenne siriana, la calma del suo viso e del suo portamento tradita dal tremolio delle mani. Dietro di lei, una porta di legno scolorito nasconde la stanza buia e stantia che divide con il marito, la cognata e la sua famiglia. Suo fratello è morto.

Nadaf ha lasciato la sua casa a Homs in Siria tre anni fa, dopo essere stata colpita a una gamba. L’area in cui abitava era sotto assedio. Alla disperata ricerca di cibo, stava cercando di raggiungere una zona sotto il controllo del regime siriano, per comprare il pane; mentre si avvicinava a un posto di blocco, le truppe del regime hanno aperto il fuoco ferendola alla gamba. “Ho lasciato la Siria per fuggire dalla guerra e mi sono ritrovata in un altro posto dove si combatte”, dice Nadaf.

Per Nadaf, non esiste alcuna sicurezza in Libano. La storia recente di Tabaneh, dove vive, è stata scandita da periodi di alta tensione e scontri periodici con il quartiere vicino di Jabal Mohsen. Separati da una via principale chiamata Syria Street, i quartieri sono profondamente divisi dalle rispettive lealtà alle parti coinvolte nel conflitto siriano.

Nel quartiere a maggioranza sunnita di Tabaneh dominano i simpatizzanti armati delle milizie islamiste che combattono contro il regime in Siria, tra cui Jabhat al-Nusra, affiliata ad al-Qaeda. Dall’altra parte, le milizie nella comunità a maggioranza alawita di Jabal Mohsen sostengono il regime siriano di Bashar al-Assad, che è membro della loro stessa setta.

Nell’ottobre 2014, una serie di scontri e bombardamenti erano sfociati in una lotta a tutto campo, fino ad oggi la ricaduta più intensa di violenza dalla Siria in Libano. Per tre giorni, l’esercito libanese aveva combattuto contro i miliziani affiliati agli islamisti per ottenere il controllo di Bab al-Tabaneh, lasciando gran parte del quartiere in rovina, prima di riuscire a sconfiggerli. Nelle zone in cui i combattimenti erano stati più intensi, le facciate ridipinte dei palazzi ricostruiti spiccano tra i tanti edifici ridotti in rovine e crivellati di colpi. Tripoli, a soli 80 km dalla città gemellata di Homs in Siria e 50 km da Tartus via mare, è troppo vicina per garantire sicurezza a questi profughi.

(a sinistra) Un uomo mostra orgoglioso la bandiera nazionale siriana nel quartiere di Jabal Mohsen. (Preethi Nallu)
(a destra) Un dimostrante sventola la bandiera dell’Esercito Siriano Libero nel quartiere di Bab al-Tabaneh. (Preethi Nallu)

Per arrivare alla casa di Nadaf si passa per i vicoli stretti e tortuosi che formano il vecchio suk nel cuore del quartiere di Bab al-Tabaneh. Quando gli scontri a fuoco infuriavano dall’altro lato del muro, i combattenti usavano gli ingressi su entrambi i lati del cortile per muoversi senza essere rilevati dall’esercito. “Questa casa non è sicura... i miliziani passeranno di nuovo di qui”, dice Nadaf. “Tutti dicono che ci saranno altri scontri”.

La sicurezza è solo una delle numerose difficoltà che Nadaf si trova ad affrontare. L’affitto è troppo alto. È difficile trovare lavoro. Ha paura di muoversi per Tripoli senza i documenti giusti. Il costoso e complicato sistema di residenza del Libano richiede ai siriani di avere uno sponsor libanese. “La situazione è pessima... È difficile vivere così”, dice Nadaf.

In un’altra parte di Tabaneh, Manahel Awaj, 32 anni, originaria di Idlib, è seduta su un tappeto logoro sul pavimento di cemento di un negozio convertito che ora è diventato la sua casa. Quattro dei suoi undici figli sono riuniti intorno a lei, altri girano dentro e fuori facendo lavoretti e giocando in strada. Il bambino più piccolo, cinque mesi e mezzo, dorme avvolto in una coperta, in un passeggino dietro di lei.

Riceve aiuti dall’UNHCR per cinque dei bambini, niente per gli altri. Solo due dei figli vanno a scuola e le ragazze più grandi, 13 e 14 anni, lavorano 16 ore al giorno pulendo scarpe vecchie da rivendere al mercato. “Hanno dolori alle mani e alle gambe. Sono tutti magri e malnutriti”, dice indicando i bambini, che sono visibilmente scarni. Il marito cerca di guadagnare qualcosa come bracciante a giornata, ma i lavori sono difficili da trovare, instabili e sottopagati.

A peggiorare le cose, il figlio più piccolo è nato con condizioni mediche che hanno richiesto frequenti visite in ospedale. Per permettersi le cure mediche il marito ha preso un prestito di circa 1.300 dollari, ma la famiglia non può permettersi di ripagarli. “Viviamo in condizioni pessime qui”, dice Awaj.

“Queste non sono solo le nostre condizioni, sono le condizioni di tutti i profughi siriani in Libano”, dice Nadaf.

Pur tenendo conto del fatto che Tabaneh è un contesto particolarmente instabile, è vero che le condizioni sono pessime per la maggior parte dei profughi siriani in Libano. Più del 70 per cento vive al di sotto della soglia di povertà locale, secondo Leila Khaled Abou, portavoce dell’UNHCR in Libano. Nel 2014, la percentuale era il 50 per cento. Come la famiglia di Awaj, il 90 per cento è indebitato.

Khouloud al-Ali, la donna di Tripoli che ho incontrato al porto, dirige un centro giovanile a Tabaneh, gestito da una ONG libanese chiamata Rene Moawad Foundation. Molti dei bambini del centro sono siriani fuggiti dal conflitto. Attraverso il suo lavoro, al-Ali ha potuto constatare spesso le difficoltà economiche e sociali dei profughi che vivono nel quartiere e in altre parti del Libano.

“Vediamo più bambini che lavorano per strada, donne che chiedono l’elemosina, bambini che non vanno più a scuola”, dice.

Bambini siriani giocano tra le baraccopoli della città di Tripoli in Libano. (Preethi Nallu)

I bambini siriani che vendono pacchetti di fazzolettini, gomme da masticare o fiori per pochi soldi e le madri che tengono in braccio neonati e tendono le mani per chiedere soldi sono diventati elementi onnipresenti sulle strade delle città in tutto il Libano.

Molte famiglie siriane vivono in piccoli appartamenti o spazi convertiti in tutto il Paese, ma soprattutto a Tabaneh. Chi non può permettersi di affittare vive in edifici abbandonati, spesso in condizioni estremamente malsane che creano problemi di salute e favoriscono la diffusione di malattie contagiose. Senza una vera separazione tra gli spazi in cui vivono adulti e bambini, ragazzi e ragazze, estranei e membri della stessa famiglia, le molestie e le aggressioni sessuali sono diventate prevalenti, dice Khouloud al-Ali.

È anche difficile per i profughi siriani avere accesso alle cure mediche, aggiunge, a causa dei costi. Ricorda di aver visitato una donna incinta di sette mesi che non aveva ancora visto un medico e non sapeva dove e come avrebbe partorito.

Le difficoltà di sostentamento in Libano sono state il motivo principale dell’esodo da Tripoli verso l’Europa lo scorso anno – ma la maggioranza dei profughi siriani, come Awaj e Nadaf, è troppo povera per intraprendere il viaggio. “La maggior parte delle famiglie che sono partite erano famiglie a reddito medio”, persone con passaporti e soldi o beni come case che hanno venduto per potersi permettere il costo del viaggio, spiega Abou Khaled.

Ora, con le nuove restrizioni sui visti, lasciare il Libano è quasi impossibile per chiunque. Bisogna attendere che la guerra finisca o sperare nel reinsediamento attraverso uno dei programmi dell’UNHCR.

Il reinsediamento è una procedura lenta e non ci sono abbastanza posti disponibili nei Paesi ospitanti per soddisfare le crescenti esigenze. Con solo 6.285 persone reinsediate dal Libano nel 2014, raggiungere legalmente un Paese terzo è una possibilità remota per i profughi siriani in Libano. “Non conosco una sola famiglia che sia stata reinsediata”, dice al-Ali.

Senza soldi a sufficienza e con la chiusura delle frontiere, persone come Nadaf, Awaj e le loro famiglie sono bloccate in un limbo crudele, con ben poche speranze di intravederne la fine.

La versione originale in inglese di questo articolo è stata scritta da Eric Reidy e sviluppata in collaborazione con Refugees Deeply. Per ricevere notizie e aggiornamenti importanti sulla crisi migratoria globale, puoi iscriverti alla mailing list di Refugees Deeply (in inglese).

Immagine in alto:
(a sinistra)
Fori di proiettile sulle pareti di una casa a Bab al-Tabaneh con gli edifici del quartiere rivale di Jabal Mohsen visibili sullo sfondo. (Preethi Nallu)
(a destra)
L’altro lato della stessa casa a Tabaneh si trova di fronte un edificio fatiscente che ospita profughi siriani. (Preethi Nallu)

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Monica Cainarca

Translator, editor, dreamer • formerly translator and editor for Medium Italia