Gomorra prima di Gomorra

Le lettere inedite di Roberto Saviano al suo editor: la genesi di un libro che ha cambiato l’Italia e reso difficilissima la vita del suo autore

Edoardo Brugnatelli
23 min readJun 18, 2016

Di Edoardo Brugnatelli

In occasione del Salone del libro di Torino, è stato festeggiato il decennale della pubblicazione di Gomorra. Per dare il mio contributo a questo evento ho pubblicato qua e là su diversi social dei brani delle prime email che Roberto Saviano ed io ci scambiammo e in seguito alle quali nacque poi il libro che ancor oggi accende discussioni, polarizza i dibattiti e soprattutto appassiona uno sterminato numero di lettori (e ora anche di spettatori di serie TV) in Italia e nel mondo.

Diversi amici e colleghi incuriositi dai frammenti che avevo reso pubblici sul web mi hanno chiesto di poter accedere in modo più esaustivo a quel materiale che — per certi versi — tuttora ritengo abbia un suo interesse per chi ha letto e amato quelle pagine piene di dolore, di rabbia e di verità.

Come introduzione a questi materiali pubblico qui un brano (cui ho dato un titolo piuttosto pretenzioso: “La genesi di Gomorra”) che è tratto da un saggio che, insieme a Chiara Faggiolani dell Università di Roma La Sapienza, stiamo scrivendo e che vuole studiare un aspetto inedito della ricezione di “Gomorra”, ovverossia le oltre duemila recensioni che la community di Anobii ha scritto nel corso di questi anni. Il saggio è contenuto nel volume “Leggere in rete. La lettura in ambiente digitale” a cura di Chiara Faggiolani, Maurizio Vivarelli, Milano, Editrice Bibliografica, in corso di pubblicazione.

A seguire potete leggere le mail di Roberto e del sottoscritto che risalgono a quel lontano 2004 e, per concludere, quello che probabilmente costituisce il documento più interessante: una lunga lettera del marzo 2005 nella quale Roberto passava in rassegna in modo approfondito le possibili versioni di quello che sarebbe diventato “Gomorra”. È un’occasione più unica che rara per entrare nell’officina di “Gomorra”, per vedere i dubbi, le scelte, le opzioni scartate che stanno dietro a un libro così importante.

Due sono le cose che penso sia giusto sottolineare, nel momento in cui metto a disposizione del pubblico questi materiali.

1) Nel 2004 Roberto parlava della sua solitudine (“abissale”). Ai tempi in molti, in tanti non ritenevano che le cose che voleva raccontare avessero un peso, una importanza, una dignità. Sono passati quasi 12 anni e ancor oggi Roberto è solo. Una solitudine forse diversa da quella di allora, ma di certo non meno gravosa. Mi piacerebbe che le persone che troppo spesso attaccano Roberto o ne sottovalutano il lavoro provassero a pensare cosa significhi trascorrere 10 anni della propria vita (e 10 anni, per giunta, della propria giovinezza) dentro a quella gabbia. Fareste a cambio? Mmmmm…..

2) La lucidità con cui dalla prima riga della prima mail Roberto ha portato avanti il suo progetto. Lucidità che diventa ancor più stupefacente se si leggono le righe nelle quali tratteggia le “Gomorre possibili” e a poco a poco si avvia verso quella “vera”.

Come dicevo, sono passati quasi 12 anni da quei giorni di novembre 2004 e tutti possiamo leggere dichiarazioni di Roberto nelle quali sostiene che oggi non lo rifarebbe. Visto quel che ha passato e che passa, ora dopo ora, giorno dopo giorno, anno dopo anno, lo capisco appieno. Ma penso di essere in buona e nutritissima compagnia se lo ringrazio di cuore per aver fatto quella scelta coraggiosa e così dolorosa per lui tanti anni fa, per aver aperto quella borsa di pelle piena di ferocia e di orrori, quel vaso di Pandora di storie che nessuno conosceva e — quel che è peggio — nessuno voleva conoscere.

Grazie Roberto.

La genesi di Gomorra

La genesi di Gomorra è abbastanza curiosa, caratterizzata da forti elementi di casualità, come spesso accade nell’editoria. L’idea che i mega successi editoriali siano frutto di abili strategie e di sofisticate pianificazioni è una idea ricca di fascino che di solito cercano di spacciare alcuni tra i tantissimi padri putativi di ogni successo (quelle stesse persone che misteriosamente si dissolvono nel nulla quando le cose vanno meno bene, per intenderci) ma che molto poco ha a che fare con quanto effettivamente succede nella realtà.

Era il tardo autunno del 2004 e ormai da sei anni dirigevo la collana Strade Blu Mondadori, che era nata nel 1998. Dopo un primo periodo nel quale avevo pubblicato solo narrativa italiana e straniera, si era deciso di aprire la collana anche alla saggistica.

La sera 29 novembre ricevetti una email che cominciava così:

Caro Edoardo Brugnatelli, Sono Roberto Saviano, la nostra comune amica Helena Janeczek mi ha segnalato la sua disponibilità a prendere in considerazione la possibilità di progettare un libro. Ne sono molto felice. Spero questa email non le sottragga troppo tempo.Io mi occupo di criminalità organizzata e credo fortemente che per affrontare queste strutture radicalmente mutate, la congettura ed il racconto siano le forme più adatte. Forme capaci di procedere oltre il dato giudiziario che per via della incredibile lentezza dei processi diviene inutilizzabile nel tempo presente, smarrendo quindi la possibilità di poter comprendere i meccanismi e le personalità.

Helena Janeczek è una amica, poetessa e scrittrice tedesca, che dal 1983 vive in Italia. Nel 2004 collaborava con la Mondadori leggendo, valutando e segnalando testi tedeschi e svolgendo lavori di editing per la narrativa italiana. Ma oltre a questo, Helena scriveva su diverse testate letterarie cartacee e online. In particolare scriveva su Nazione Indiana, un blog letterario, dove aveva conosciuto appunto Roberto Saviano.

La mail si concludeva così:

Vorrei quindi utilizzare la cinetica del racconto per sottrarre alle discariche della memoria queste vite, i volti, il momento finale, la vita trascorsa. Ovviamente qui non mi dilungo sul progetto ma ovviamente le posso inviare un piano maggiormente dettagliato del libro che ho in mente. Se lo riterrà utile posso inviarle quanto ho già scritto su Nazione Indiana e sulle altre testate. Mi piacerebbe a breve poterla incontrare e poterle parlare vis-à-vis dell’inferno che vivo e di questa parte dimenticata d’Europa.

Il giorno successivo — incuriosito dalla mail — scaricai dal web tutti i testi disponibili di Roberto Saviano (principalmente i suoi interventi su Nazione Indiana) e la mia curiosità crebbe. Confesso che subito da qualche parte nella mia testa un minuscolo ma assai combattivo tarlo del dubbio si era messo alacremente all’opera, per un motivo: la guerra di camorra era in corso da almeno un anno e quotidianamente i giornali ne riferivano senza che questo provocasse reazioni apprezzabili. Da un punto di vista editoriale questo naturalmente poteva costituire una debolezza. Immaginavo già le reazioni scettiche e le obiezioni che avrei incontrato la volta che avessi proposto quel testo nel Comitato Editoriale che si teneva ogni mese.

Comunque, una volta stampati i materiali che avevo scaricato dal web, mi allontanai dall’ufficio. L’interno del palazzo di Niemeyer che ospita la Mondadori a Segrate è tutto un open space, il che è bellissimo per alcuni versi ma non ti offre la tranquillità necessaria quando devi leggere qualcosa per bene, per cui uscii e finii per sedermi a leggere su una panchina di Milano San Felice, un quartiere satellite residenziale vicino.

Passai un paio d’ore a leggere e da quel quartiere residenziale fatto di aiuole curate, case e villette pulite, ricche e ordinate mi ritrovai scaraventato di forza nello schifo, nel sangue e nella disperazione di quella che sarebbe diventata Gomorra.

Ne rimasi affascinato: la potenza, la passione, l’onestà, la tensione morale di quelle pagine ebbero in un attimo la meglio sul malcapitato tarlo del dubbio, che immagino vaghi ancora adesso solitario e ramingo per i prati ben pettinati di Milano San Felice.

Le pagine di Roberto mi colpirono con la stessa veemenza con la quale mesi e mesi dopo avrebbero colpito milioni di lettori: ad essere fuori dall’ordinario era la potenza della voce con la quale quel fenomeno veniva raccontato. Roberto riusciva a rendere “nuovo, mai sentito prima” qualcosa che avevamo avuto davanti agli occhi e ascoltato più o meno pigramente per mesi, per anni.

La sua prosa era talmente forte da scuotere anche un “profano” come me.

Ai tempi, infatti, devo aggiungere che mi accostavo alle proposte di narrativa che mi arrivavano da aspiranti autori italiani con molta prudenza. Per anni mi ero occupato eminentemente di narrativa straniera o di saggistica e in più ritenevo che la narrativa italiana fosse il naturale terreno di “pascolo” per italianisti, studiosi di letteratura italiana etc. La mia laurea in filosofia e quelle che ritenevo le mie scarse attitudini in materia mi frenavano un po’.

Ma quella volta tale fu la scossa che ricevetti che lasciai perdere ogni freno inibitorio.

Tornai in ufficio e alle 15 di quel martedì risposi per mail a Roberto:

Caro Roberto,Mi permetto di darti del tu da subito, perché le tue cose (che ho letto su Nazione Indiana) e la forte tensione personale che traspare in ogni tua riga mi fanno sentire in te un “sodale”, un amico. (...)Mi interessano moltissimo i tuoi progetti e sarei felicissimo di poterti pubblicare. Vediamoci, incontriamoci e parliamone. Dimmi un po’ tu dove sei reperibile, quando puoi, etc. Nel frattempo se hai ulteriori materiali, idee, cose da mandarmi (oltre a quanto ho già pescato dalla Rete), sarò felicissimo di leggerli.Un abbraccio forte da un tuo ammiratore e, spero, a prestissimo.Edoardo

Il giorno dopo, 1 dicembre alle 8 del mattino Roberto mi rispose sempre per mail. Come mi scrisse, viveva da tempo in una situazione di “solitudine abissale” e le mie parole lo avevano toccato. Cominciammo subito a prendere i primi accordi per vederci.

E fu così che, incuranti di qualsiasi scaramanzia, ci incontrammo venerdì 17 dicembre 2004 nel primo pomeriggio.

Roberto arrivò dal Regno delle Due Sicilie — parole sue — nell’Austria Ungheria (ovverossia a Segrate) con una cartella di pelle piena di quei quotidiani locali che i boss utilizzavano per mandarsi segnali, avvertimenti etc e cominciò a raccontare. Era con me Francesco Anzelmo, un giovane e bravissimo editor che da qualche tempo aveva cominciato a lavorare con me sulle Strade Blu in Mondadori.

Roberto era un fiume in piena: raccontò e raccontò e poi ancora raccontò. Quando, esausto, si fermò era ormai sera.

Ero conquistato: era stato fluviale, disordinato, caotico ma ci aveva trasmesso un’urgenza e una passione pazzesche.

Da quell’incontro cominciammo a ipotizzare in che modo organizzare la massa enorme di materiale che Roberto aveva per le mani. Quello che più mi impressionava era la sensazione quasi affannosa che mi trasmetteva Roberto che voleva a tutti i costi che finalmente il resto dell’Italia aprisse gli occhi su qualcosa di così terribile e troppo a lungo ignorato.

Dopo diverse ipotesi di lavoro, con Roberto ci accordammo sulla struttura da dare al testo.

Presentai la proposta in un Comitato Editoriale dove — puntuali — ascoltai tutte le obiezioni che mi ero immaginato. Fortunatamente a quel tempo la collana di cui mi occupavo andava abbastanza bene per cui alla fine ottenni il via libera al progetto, circondato dall’indulgente scetticismo dei capi.
A quel punto — saggiamente — passai la mano ad Antonio Franchini che da anni presidiava la Narrativa Italiana in Mondadori e che aveva le competenze e le persone adatte (in primis Helena Janeczek) per seguire la parte delicata dell’editing “fine” del testo.

Dalla collaborazione tra Antonio, Helena e Roberto non solo nacque il testo come lo conosciamo adesso, ma nacque anche il titolo “Gomorra”.

Nell’aprile del 2006 Gomorra usciva per Strade Blu Mondadori.

Da: Roberto Saviano

Oggetto: Gomorra

Da: Roberto SavianoOggetto: da sudData: 29 novembre 2004 19:20:16 CETA: Edoardo Brugnatelli

Caro Edoardo Brugnatelli,

Sono Roberto Saviano, la nostra comune amica Helena Janeczek mi ha segnalato la sua disponibilità a prendere in considerazione la possibilità di progettare un libro. Ne sono molto felice. Spero questa email non le sottragga troppo tempo.

Io mi occupo di criminalità organizzata e credo fortemente che per affrontare queste strutture radicalmente mutate, la congettura ed il racconto siano le forme più adatte. Forme capaci di procedere oltre il dato giudiziario che per via della incredibile lentezza dei processi diviene inutilizzabile nel tempo presente, smarrendo quindi la possibilità di poter comprendere i meccanismi e le personalità.

I cartelli criminali sono un fenomeno di potere e non esclusivamente un fenomeno criminale. Pensi che soltanto il clan dei casalesi, potente sodalizio economico del casertano, che seguo da tempo subendo purtroppo anche diverse intimidazioni, fattura secondo i dati della DIA oltre trenta miliardi di euro l’anno. Economie che non possono non influire sull’economia “legale”. Ovviamente questi cartelli hanno nel narcotraffico e nel racket soltanto una parte del proprio potere economico e non sono come sovente si dichiara gli unici ambiti d’azione.

Il canovaccio del libro vorrebbe comporsi attraverso una narrazione della condizione del sud. Condizione falsata, smarrita, sospesa, camuffata dal folklore e da una inesistente rinascita. Vorrei infatti raccontare le vicende di decine e decine di persone innocenti (raccolte negli ultimi anni) ammazzate dalla camorra per caso o perchè individui scomodi, senza ricevere alcun tipo di attenzione, la benché minima indignazione, il più microscopico dei servizi giornalistici. I giornali non hanno tracciato inchieste, nessuno ha speso aggettivi.

Tutto è stato trasportato nel gorgo oscuro che caratterizza le informazioni su queste terre.

Come stesso i dirigenti ANSA affermano, in certe zone d’Italia quando viene ammazzato un incensurato meccanicamente viene considerato non “vittima” ma parte in causa poiché è dato per scontato che a breve si troverà la complicità del morto con i suoi assassini. “Perché ciò avviene sempre…”. E decine di vite così sono state infangate, sommate a coloro che magari avevano combattuto sino ad essere condannato a morte (come accaduto al sindacalista Federico Del Prete ammazzato nel 2001 ed a Don Diana, ammazzato nove anni fa).

Su Il Manifesto e Diario infatti cerco da tempo di mostrare la dimensione internazionale e legale delle economie dei clan e di mostrare come siano le uniche aziende in perenne attivo in Italia oltre che capaci di sbaragliare ogni concorrenza nei mercati stranieri.

Vorrei quindi utilizzare la cinetica del racconto per sottrarre alle discariche della memoria queste vite, i volti, il momento finale, la vita trascorsa. Ovviamente qui non mi dilungo sul progetto ma ovviamente le posso inviare un piano maggiormente dettagliato del libro che ho in mente. Se lo riterrà utile posso inviarle quanto ho già scritto su Nazione Indiana e sulle altre testate. Mi piacerebbe a breve poterla incontrare e poterle parlare vis-à-vis dell’inferno che vivo e di questa parte dimenticata d’Europa. Del resto il desiderio di questo libro nasce dalla rabbia foggiata nel tempo quotidiano fissando in volto questi nuovi e sconosciuti “Principi dell’imprenditoria” e ricordando chi è stato massacrato in modo spietato senza ricevere nessuna attenzione, come fossero vite minori.

Un caro ed affettuoso saluto.

Roberto Saviano

Da: Edoardo BrugnatelliOggetto: Re: da nordData: 30 novembre 2004 15:07:39 CETA: Roberto Saviano

Caro Roberto,

Mi permetto di darti del tu da subito, perché le tue cose (che ho letto su Nazione Indiana) e la forte tensione personale che traspare in ogni tua riga mi fanno sentire in te un “sodale”, un amico. Vivo in una situazione naturalmente molto meno (eufemismo) difficile della tua, nella postindustriale Sesto S.Giovanni, ma sento anch’io molto intensamente la rabbia, il senso di scandalo per una “normalità” così feroce, ingiusta, omicida come quella che racconti così bene.

Mi interessano moltissimo i tuoi progetti e sarei felicissimo di poterti pubblicare. Vediamoci, incontriamoci e parliamone. Dimmi un po’ tu dove sei reperibile, quando puoi, etc. Nel frattempo se hai ulteriori materiali, idee, cose da mandarmi (oltre a quanto ho già pescato dalla Rete), sarò felicissimo di leggerli.

Un abbraccio forte da un tuo ammiratore e, spero, a prestissimo.

Edoardo

Da: Roberto SavianoOggetto: grazieData: 01 dicembre 2004 8:44:26 CETA: Edoardo Brugnatelli

Caro Edoardo,

Mi è difficile descriverti la felicità e l’emozione che le tue parole mi hanno dato. La tua umanità mi ha avvolto sottraendomi dalla solitudine abissale in cui vivo.

Sono felice per il giudizio positivo che riservi al mio lavoro. Tengo alla tua valutazione fortemente. Io del resto ti conosco attraverso le tue rigorose traduzioni e per la direzione di “Strade Blu” che, come con Helena ci si siamo detti, è la collana che in Italia pubblica i libri più preziosi, quelli al fulmicotone che non vogliono concedere sonni tranquilli e sicurezze ai poteri costituiti. Puoi immaginare quindi la stima che ho per te.

La possibilità Edoardo, che mi dai di poter lavorare ad un progetto mi concede forze ed energia. E questo non mi capita spesso poiché qui tutto ciò che scrivo e tutto ciò per cui mi batto mi relega spesso alla più totale misantropica solitudine. La tua sensibilità intellettuale mi ha fatto comprendere che avevi sentito sino in fondo ciò che io ho scritto, e tale cosa mi ha commosso. Non sono abituato a tanta umanità, a tanta forza culturale, a tanta vita.

In ogni caso verrò io a Milano. Indicami se preferisci che io salga prima o dopo Natale. Per me è cosa medesima.

Vorrei presentarti a breve l’idea a cui lavoro per il libro. Magari, se non l’hai già raccolta in internet, ti invio anche l’inchiesta su Nassirya uscita il 3 e 4 settembre su Il Manifesto, inchiesta che mi ha reso davvero la vita difficile se era possibile complicarla ancor di più… ma poi ti racconterò.

Un abbraccio Edoardo, felice per la nostra amicizia, felice per averti incontrato.

Tuo.

Roberto

Da: Roberto SavianoOggetto: MilanoData: 07 dicembre 2004 22:55:54 CETA: Edoardo Brugnatelli

Edoardo confermo la mia venuta a Milano. Mi pareva di capire che per te il 17 era una data possibile dove trovare spiragli di tempo. Per me il 17 va bene, ma anche il 16 o il 15 così come il 18. Insomma mi prendo un tempo milanese dal 16 sino al 19. Segnalami l’orario così mi organizzo per giungere nella nebbiosa Segrate.

Ieri notte sono stato a Scampia, ho seguito il blitz della polizia che ha portato a 57 arresti. È stato un vero e proprio assedio, pareva Beirut durante la sua crisi più acuta. Non ti nascondo che in qualche momento ho temuto molto, pareva che qualcuno del clan volesse reagire militarmente. Qui la guerra è solo all’inizio.

Attendo un tuo cenno e spero che i giorni di riposo siano stati rilassanti.

Un abbraccio.

Roberto

Da: Roberto SavianoOggetto: partenzeData: 09 dicembre 2004 11:05:05 CETA: Edoardo Brugnatelli

Perfetto Edoardo prenderò il bus delle 14.05 che mi porterà a Segrate.

Ok allora parto dalle due Sicilie e ci vediamo il 17 in Austria-Ungheria.

Un abbraccio.

Roberto

Da: Roberto SavianoOggetto: da sudData: 11 marzo 2005 11:48:47 CETA: Edoardo Brugnatelli

Caro Edoardo,

Sono stato felicissimo di averti visto al convegno “Giornalismo e Verità” e ti ringrazio di esser venuto. Davvero. Quando ti ho visto entrare in Teatro quasi non ci credevo. Spero il mio intervento ti sia piaciuto. Purtroppo temo spesso d’esser confuso, non solo perchè ho una mole abnorme di fanghiglia intasante che devo raccontare ma perchè spesso il pubblico è completamente estraneo alle dinamiche che descrivo. Ricordo sovente la frase di Franz quando venni a Milano: “quello che mi racconti per me sembra fantascienza!”. Qui Edoardo, la mattanza continua ed io a dire il vero non ne posso più di mappare quello che accade…

Spero Edoardo di poterti incontrare presto, spero di poter presto a lungo discutere con te. Ti invio intanto in allegato alcune idee sul nostro libro. Attendo con ansia un tuo cenno.

Un abbraccio strettissimo.

Roberto

“Un paradiso abitato da diavoli”. La lettera di Roberto Saviano

Lo scrittore Roberto Saviano, autore di Gomorra, dal 2006 vive sotto scorta.
Napoli, Marzo 2005

Caro Edoardo,

Ho molte idee che mi frullano in mente. Il timore di non dar loro veste giusta mi pone in ansia. Dal nostro incontro ad oggi ho lavorato molto. Ho gettato giù molti lacerti, brani, parti. Ho accumulato scartafacci di sentenze e tracce di processo. Il problema maggiore è che molto non è ancora passato in giudicato e non so se per ogni vicenda posso usare i nomi veri. Personalmente però preferirei utilizzare i riferimenti reali per contenere il più possibile il rischio di un eccessivo sterrato di fiction che usato in larga misura sarebbe di peso per la mia narrazione. Ma a parte la questione leguleia ti sottopongo i miei dubbi strutturali.

L’organizzazione del libro in racconti potrebbe rischiare di divenire un almanacco di morte. Ogni racconto dedicato alle vittime di camorra mi è parso in corso d’opera troppo pesante. Ogni storia termina in tragedia, temo nella ridondanza o che ogni vicenda sia un calco della successiva. Ho pensato quindi ad una struttura maggiormente unitaria. Una voce narrante in prima persona che racconta del sud, del sistema camorra, delle guerra di clan ma anche e soprattutto un racconto che scandagli i salotti veneti, gli industriali lombardi che sono parte integrante di questo sistema. Raccontare che mezza Emilia Romagna è costruita da ditte dei clan, come la Toscana e la costa spagnola. Tracciare nel racconto dati e analisi, mostrare che i gruppi imprenditorial-criminali sono le vere forze economiche del nostro paese e tra le più potenti d’Europa, raccontare delle loro industrie tra Pechino e Los Angeles. Descrivere che il numero di soldati di mafia coinvolti nelle guerre è paragonabile spesso al numero dei soldati dell’esercito italiano impegnati nelle missioni all’estero. Vorrei estendermi all’intero meridione d’Italia non circoscrivendo la cosa alla camorra.

Tale scelta renderebbe troppo ampio lo schermo d’azione?

Vorrei passare per la Basilicata abbandonata da una emigrazione esponenziale e totalmente in mano al clan più sconosciuto della penisola “i basilischi”, sino ad arrovellarmi in Calabria di cui nessuno osa accennar nulla.

Una voce narrante in prima persona che racconta, descrive, riflette. Un io che parte dalla sua esperienza in terra di camorra ma che poi racconta anche di altro, dell’emigrazione al nord, dei libri dei boss, dell’abusivismo, delle fabbriche a nero, di altri individui, di altre vicende. Una prima persona insomma che non traccia un diario di se stesso ma una memoria del luogo. Ma credi che questa narrazione debba avere una giustificazione? Cioè se parto dal racconto delle mie zone e poi procedo in Calabria o Lucania devo avere un motivo preciso, un plot classico? Una sola vicenda narrativa per baricentro? L’ipotesi, maggiormente svincolata mi avvince di più, ma non so se è anche la più rischiosa.

Non so se conviene che abbia una storia precisa, un personaggio centrale su cui accanirmi. Ovviamente mi rivolgo al tuo giudizio Edoardo perché sarei felice se tu potessi foggiarmi una chiave di scrittura. Insomma vorrei tracciare in prima persona questo racconto non cercando la separazione della fiction né di rendere fruibile il tutto con il calco del thriller.

Avevo pensato ad una storia molteplice tracciata da un voce, che sappia raccogliere tutto, versandoci dentro tutto ciò di cui abbiamo parlato. Dalla storia di due ragazzi divisi dalle scelte dei clan, alla storia dolorosa e controversa di un giudice che dopo esser rimasto vittima di un agguato fu accusato di essere organico alla camorra…etc. etc. anche in queste vicende dovremo chiarire in che misura posso usare i nomi reali. Secondo te se li modifichiamo, il significato del lavoro viene artato?

Io sarò il più rigoroso possibile, ma questo problema credo di dovermelo porre alla fine del lavoro. Vorrei descrivere anche la geografia di questo meridione. Vorrei raccontare che i quintali di cemento usati per distruggere la costa casertana per edificare il famoso Villaggio Coppola (la costruzione abusiva tra le più grandi del mondo occidentale!!) furono usati anche per i palazzi edificati nella periferia fiorentina ed a Varese.

Pasolini passò per queste zone negli anni ’60 e scrisse i versi intitolati “Terra di Lavoro”. Io li ho impressi a fuoco tra le tempie: “se fuori è il paradiso qui dentro è il regno dei morti passati da dolore a dolore senza averne sospetto.” Vittime, morti ma anche storie di vita come quella di Daria, ragazza di Rosarno che guidava i bus in questo paesino di periferia della Calabria che dopo aver deciso di andare via, non potendone più del fatto che guidare i bus era come per il suo paese far la puttana o poco meno, si trasferì a Bruxelles dove cercò di vivere la sua vita. Daria trova casa in un quartiere centrale della città. Ebbene la ‘ndrangheta (proprio le cosche del suo paese) era proprietaria di ben dodici palazzi nella capitale europea!! Insomma utilizzare la storia di Daria per raccontare questa sconosciuta potenza economica calabrese ed al contempo la vita di una donna stritolata in queste dinamiche.

In tal senso credo che il lavoro possa raggiungere una valenza in qualche modo universale, una filigrana medesima alle dinamiche di potere che avvengono in qualsiasi parte del globo. Insomma seguendo il tracciato di Enzensberger: studiare il crimine organizzato per in realtà scandagliare nel suo aspetto più puro e scoperto l’anima del capitalismo contemporaneo.

Pensavo quindi Edoardo che dopo il tuo consiglio mi getterò a capofitto nella scrittura del libro, unendo e saldando anche ciò che ho già tracciato. Ti sottoporrò presto quindi, come d’accordo, due capitoli e l’indice di un libro che possa essere un racconto spurio, un romanzo-reportage, una mappatura letteraria che racconti senza avere il vincolo mortale dell’esattezza giudiziaria ma senza le difese della fiction. Oppure, Edoardo secondo te invece è più appropriato il piano che avevamo pensato? Ovvero i racconti di tutte le vittime? Insomma credo che pur non avendo uno scheletro d’acciaio, l’ossatura del libro dovrà essere determinata dalle storie medesime, veri piloni di cemento armato disseminati nella scrittura.

Nel nostro incontro a Segrate tu accennasti all’idea di un libro sperimentale che potesse essere una denuncia ed una narrazione. Che affronti il dato analitico ma anche lo spreco umano. Io credo si possa fare davvero. Si tratta di capire i calibri da usare, i perimetri da mantenere, gli equilibri a cui devo fare riferimento.

Secondo Goffredo Fofi io dovrei scrivere “un romanzo con bibliografia” che mi pare una definizione assai simpatica per comprendere il DNA ibrido di questo libro. E del resto inserirci una reale bibliografia non sarebbe idea malvagia, credo. Dovrò del resto confrontarmi anche con la dottrina, come non descrivere la capacità della camorra di realizzare le tesi di John Nash considerando l’economia della collaborazione superiore e maggiormente conveniente della teoria del libero accrescimento individuale di Adam Smith?

I gruppi criminali italiani hanno una lungimiranza imprenditoriale sterminata e sarà prioritario descriverlo.

Di Lauro, il boss artefice dell’ultima mattanza, ha investito in Cina dieci anni prima che Confindustria invitasse a spron battuto tutti gli imprenditori italiani sulla via del Catai.

Oltre a ciò volevo anche chiederti se poteva essere prezioso poter inserire il riferimento ai due fronti. O la camorra o l’Iraq. Sai, io ho in mano anche le interviste ai soldati andati in Iraq (uscite solo in parte il 3 e 4 settembre 2004 su Il manifesto). Ora, inserire quelle storie mutandole, immergendole nell’acido letterario, insomma spogliandole del loro carico di cronaca e d’inchiesta potrebbero essere utili o rischierebbero di spostare il baricentro del libro? Hai sentito la dichiarazione del ministro leghista Castelli a Ballarò qualche giorno fa? “Guardate che Napoli è molto peggio di Nassirya!” In tal caso si potrebbe tracciare la storia immaginaria (in realtà verissima) di un ragazzo delle mie zone Cipriano al quale dopo il liceo iscritto a giurisprudenza si è posta la possibilità di entrare nel clan o andar via scegliendo la Brigata Garibaldi. È finito così dalla guerra dell’agro-aversano alla guerra in Mesopotamia.

A volte mi fermo e penso che forse dovrei sbilanciarmi su di un unica storia. Esclusivamente, con un piano narrativo forte, magari proprio questa storia di Cipriano che avevo tentato di scrivere mesi fa. Insomma un organizzazione classica, unitaria, con un perno unico. Ma temo di perdere la visione d’insieme, temo di entrare nel ginepraio dell’esclusivamente romanzesco. Ma non so se questa in fondo sia la strada migliore da scegliere per raccontare di certi meccanismi oscuri eppur lampanti del nostro paese. In tal senso dovrei lavorare per rendere più efficace ciò che voglio dire? In queste zone davvero sono due le scelte. L’ultimo film del bravissimo Vincenzo Marra, “Vento di Terra” racconta proprio di un ragazzo di Secondigliano che deve scegliere tra le rapine ai camion o il Kosovo. Alla fine ne morirà, di guerra, quella legittima, ucciso dall’uranio impoverito.

Fuori dal Teatro I a Milano, Edoardo, mi hai accennato prima che ci salutassimo che avevi alcune idee in mente sul libro. Sono ansioso di conoscerle. Più d’ogni cosa. Nel senso che ho necessità di sapere come credi che io debba organizzare questi vettori di carne e rabbia, queste vicende al fulmicotone. Un giornalista francese vaticinando dalla tavolozza di un editoriale scriveva che se in Francia tre ragazzini in meno di una settimana fossero stati coinvolti come a Napoli in due omicidi di mafia ed uno fosse stato ammazzato dalla polizia, nessun governo avrebbe potuto sperare di resistere. Qui neanche si è saputo sul piano nazionale.

Ma queste non sono storie di frontiera, beghe di periferia, mondezza meridionale. Nei meccanismi in cui rimangono schiacciate queste vite si fatturano le ricchezze di un paese, l’opulenza esponenziale di imprese e gruppi politici che nulla sembrano avere a che fare col sud e con queste vite sprecate traggono la loro linfa vitale dai gruppi criminali.

Se scomparissero le economie criminali, di colpo imploderebbe gran parte dell’economia italiana.

Rimane a certa politica connivente l’obiettivo di assorbire la ferinità militare, l’impegno a rendere equilibrati i poteri ed evitare gli scontri, unico sintomo che infastidisce opinione pubblica e magistrati.

A volte la disperazione mi divora.

Vorrei raccontarti molte cose Edoardo, condividere con te il girone infernale di questi luoghi. Sabato sono stato reduce da un interrogatorio dei Carabinieri di Casale, continuano a volermi far testimoniare ai processi ed utilizzarmi come fonte di conoscenza. Il gioco è il medesimo, se ne parli devi pagarne scotto. Non comprendono che facendo così mi espongono e mi impediscono di continuare le mie ricerche. A volte penso proprio di non riuscire più a resistere. Sento che devo scrivere, tematizzare, tracciare, argomentare. Ma comprendo anche che sono troppo debole per combattere da solo, anche se è fatta d’inchiostro la mia battaglia, il veleno che assumo non è più dolce.

Quando a Milano ho elencato il numero dei morti da quando sono nato, avevo fatto anche un operazione delirante ovvero avevo contato quanti erano stati uccisi nella zona centrale, dove vivono avvocati, notai, insomma la classe bene. Circa 300 in vent’anni. Helena ascoltando l’elenco di morte ha pensato che i morti di camorra degli ultimi tempi sono di più di quelli della seconda intifada.

Spesso mi fermo a pensare. Penso al mio studio alla mia formazione a Spinoza e Giordano Bruno a Giacomino Leopardi e Tommaso Landolfi. E sorrido al pensiero che non sento contraddizione tra questo percorso e ciò che scrivo.

Anche mia madre, severa professoressa d’Università, si chiede come possa un appassionato di Mozart e Rachmaninov, un innamorato di Celine e Raimondo Lullo occuparsi di questa mondezza? Ancor più quando, come mi dicono i magistrati: “c’è soltanto da perdere”. Io non penso che ciò di cui scrivo e mi occupo sia in contraddizione con la mia formazione intellettuale, certo minacce, intimidazioni, pressioni e sospetti sono la risposta al mio impegno, ma tal cosa non deve infangare e lerciare il motivo della mia scrittura e della mia rabbia. Platone e Arturo Benedetti Michelangeli non sono stati strumenti lussuosi per accecarmi e non vedere cosa si irradia dal posto dove ho sempre vissuto. Piperno scandaglia la borghesia romana, le ricchezze e le contraddizioni degli ebrei capitolini, Montefoschi soppesa i salotti ed i fondi di caffè della nobiltà borghese, io vorrei riuscire a mostrare che origine ha gran parte dell’onesta borghesia del nord-est setacciando da segugio l’odore dei soldi ed il loro percorso d’estrazione.

Edoardo attendo con ansia davvero cosa ne pensi di questi piani di scrittura, ed attendo il tuo consiglio. Spero di riuscire a consegnarti il libro entro l’estate. Non so come dirti e descriverti che poter dialogare e lavorare con te per me è la cosa più vitale che possa essermi capitata. Grazie per la tua passione ed amicizia. Sarei felicissimo se quest’estate decidessi di venire un po’ in costiera amalfitana…terra che conosco benissimo ed amo molto.

Senza mare non so campare, sono riuscito dopo mille difficoltà ad essere preso per due settimane da un peschereccio di Pozzuoli per il prossimo mese di giugno per andare a pescare “fuori”.

Due settimane di mare, un buon modo per dimenticare e dimenticarsi.

Forse sarà vero ciò che scrive Nelson Moe ovvero che questo è un paradiso abitato da diavoli.

Nihil humani a ma alienum puto.

Tuo.

Roberto

Gomorra, di Roberto Saviano, 2006, Mondadori (Strade Blu),

Gomorra

Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra. (Mondadori, Strade Blu)

Di Roberto Saviano

Nell’aprile 2006 il mondo editoriale italiano è stato sconvolto da un bestseller clamoroso e inaspettato, trasformatosi in poco tempo in un terremoto culturale, sociale e civile: Gomorra. Un libro anomalo in cui Roberto Saviano racconta la camorra come nessuno aveva mai fatto prima, unendo il rigore del ricercatore, il coraggio del giornalista d’inchiesta, la passione dello scrittore e, soprattutto, l’amore doloroso per una città da parte di chi vi è nato e cresciuto. Per scriverlo si è immerso nel “Sistema” e ha così svelato come, tra racket di quartiere e finanza internazionale, un’organizzazione criminale possa tenere in pugno un’intera regione, legando firme del lusso, narcotraffico, smaltimento dei rifiuti e mercato delle armi. Gomorra è un libro potente, appassionato e brutale che afferra il lettore alla gola e lo trascina in un abisso dove nessuna immaginazione è in grado di arrivare.

Roberto Saviano è nato a Napoli nel 1979. Gomorra è il suo libro d’esordio ed è stato tradotto in più di cinquanta Paesi, divenendo un bestseller mondiale e un fenomeno sociale. Ha venduto oltre dieci milioni di copie in tutto il mondo. Dal 2006 Roberto Saviano vive sotto scorta.

Edoardo Brugnatelli lavora dal 1990 in Mondadori dove ha ricoperto diversi incarichi: da redattore, a editor, a direttore editoriale. È stato tra i creatori della collana Strade Blu che ha diretto dalla nascita fino a pochi anni fa. Ora è da qualche parte, disperso a esplorare quelle vaste lande desolate che stanno ai confini tra editoria e mondo digitale, infestate da bande di cialtroni e di venditori di olio di serpente e di coperte infettate dal vaiolo. Ama molte cose, tra le quali: i libri, il rugby, l’Inter, l’ukulele, il banjo, cantare in un coro, le montagne del Sudtirolo, l’Irlanda, i carboidrati praticamente in qualsiasi forma, Georges Perec, ma è meglio fermarsi qui. Vive tra Bergamo, Milano, Sesto San Giovanni e Segrate dove sono sparpagliati pezzi del suo cuore e del suo lavoro. A brevissimo — con l’aiuto di molti fantastici amici — darà vita al progetto che darà un senso agli anni del suo declino fisico e psichico finale: il Centro Formazione Supereroi.

(editing a cura di Martino Galliolo)

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