Sono adulta e sono nello Spettro Autistico. Parte uno: la differenza tra essere e non essere madrelingua

Rossana de Michele
4 min readDec 16, 2015

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Io non sono madrelingua italiana, anche se sono nata e cresciuta in italia e se entrambi i miei genitori sono italiani. Se fossi nata a Liverpool da genitori inglesi non sarei mai diventata madrelingua inglese, e stessa cosa se fossi nata a Marsiglia, non mi sarei mai potuta dire madrelingua francese.

Io non sono madrelingua e basta.

Madrelingua è un aggettivo che si affianca al nome proprio di una persona che di una lingua conosce le sfumature, le frasi idiomatiche, i modi di dire, che in quella lingua sa leggere tra le righe cose che non sono state scritte ma che sono sottintese. Madrelingua si definisce chi pensa in quella lingua sin dal primo giorno in cui ha cominciato a distinguere la parole dai suoni e comprenderne il significato.

Io non solo non sono madrelingua, io non sarò MAI madrelingua.

Le persone comunicano tra di loro con un codice, che viene definito Codice Sociale, e che nelle diverse popolazioni si sviluppa seguendo criteri differenti coerentemente con le tradizioni culturali e gli usi e costumi del popolo che parla quella lingua. Quando si impara una lingua nuova ci si scontra con questo Codice perchè la grammatica, la sintassi e i vocaboli si possono imparare, mentre il Codice Sociale si apprende intuitivamente nascendo e crescendo tra le persone che comunicano utilizzando quella lingua.

Uno straniero non madrelingua è una persona che si esprime molto bene e fluentemente utilizzando una lingua che non è la propria, che è certamente in grado di affrontare argomenti complessi, di insegnare, di imparare, di negoziare, persino di fare politica e diventare rappresentante eletto di cittadini del paese in cui si trova. Ma tutti i madrelingua di quel paese riconosceranno che lui non è madrelingua, oppure che è di Boston invece che di Liverpool se si esprime in American English oppure che viene dai Caraibi se parla il francese delle colonie, intriso di profumi e colori. E non è una questione di inflessione o di accenti.

Io non riesco a comunicare con le persone anche se parlano la mia stessa lingua e quando comunico con gli altri lo faccio nello stesso modo in cui uno straniero comunica con persone di cui ha imparato la lingua in un paese che non è il suo. io non capisco in modo intuitivo il Codice Sociale che è alla base della comunicazione tra le persone.

Mia mamma gestiva una libreria a Firenze quando avevo due anni, e per questo mi aveva iscritta a un asilo nido. Lei mi accompagnava al mattino con la ‘500 e al pomeriggio il pulmino della scuola mi riconsegnava in libreria ancora intorpidita dal riposino. Io entravo da sola e se vedevo che stava parlando con una cliente mi arrampicavo in silenzio sulla scaletta che utilizzava per prendere e riporre i volumi dagli scaffali più alti, con un libro tra le mani preso dal reparto “Letture per l’Infanzia”. Un mese dopo l’altro. A volte si dimenticava di me perchè non la disturbavo mai, mi immergevo nelle figure e nei simboli di quei libri con un tale livello di concentrazione che non mi accorgevo dello scorrere del tempo e di quello che succedeva intorno a me. Non sentivo la fame e a volte mi capitava di farmi la pipì a dosso perchè non avevo ascoltato lo stimolo, sempre per non distogliere l’attenzione da quelle figure e da quei simboli. Prima che io compissi tre anni una babysitter avvertì mia mamma del fatto che io leggevo in modo completo, “come un adulto”, le disse lei.

IPERLESSIA, la problematica che mi ha reso diversa dagli altri bambini a partire dai tre anni aveva quel nome. Ho utilizzato i libri e la lettura come uno Stargate che mi facesse comprendere chi erano e cosa si dicevano le persone con cui entravo in contatto. Ma le cose sin da subito non hanno funzionato alla perfezione, perchè io imparavo la lingua scritta e non quella parlata, e mi esprimevo utilizzando vocaboli forbiti e la sintassi tipica della lingua dei libri senza apprendere i trucchi e le malizie della comunicazione parlata.

PICOOLI SCENZIATI, così vengono definiti i bambini asperger che si esprimono tipicamente con un linguaggio forbito e non adatto alla loro età, anche a causa degli INTERESSI SPECIALI che li assorbono in modo totalizzante astraendoli da quello che hanno intorno.

Io oggi ho 47 anni e mi so esprimere in maniera adeguata quando scrivo un racconto o un articolo, e alle persone spesso piace leggere quello che scrivo. Nel mio settore mi pagano bene, scrivo Format, Soggetti, Scalette e Sceneggiature di programmi e show televisivi. Mi dicono che ho un modo di raccontare che rende i personaggi e i fatti vividi come se li mostrassi più che se li descrivessi.

Io scrivo bene ma ugualmente non so comunicare, perchè mi esprimo in una lingua senza poterne comprendere le sfumature, le metafore, le frasi idiomatiche, i modi di dire e quello che “c’è tra le righe”, e non so utilizzare tutto questo se non in maniera “letterale”, e cioè nel modo in cui mi ha insegnato la letteratura attraverso le migliaia di libri he ho letto tra i 3 e i 33 anni della mia vita.

Io ho un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo. Io ho la sindrome di Asperger, e dunque, e quindi, io SONO Aspserger.

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