IteR #10 | Clo

Laura Lalune Décroche
iteR - Reloaded
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5 min readSep 14, 2018

Ho quasi finito le scorte d’acqua. Trovato altri simboli del clan: siamo sulla strada per l’assemblea. Una fortuna. Formica è nervosa. Io sono nervosa. Adesso sì, ci vorrebbe un avvoltoio. E un fuoco per cuocerlo.

“Formica, mi dispiace. Dobbiamo provare. C’è questo rischio: se sbaglio mira sei cibo per avvoltoi. Fai le fusa? No, non hai capito.”

Invece ha capito che il suo nome è Formica, è già qualcosa. E mi sta appiccicata come un cane. Solo meno ingombrante e meno imbarazzante. Anche meno pericolosa.

“Facciamo così, in caso di emergenza.”

Illustrazione di Diego Gabriele

Sta’ buona per tutti gli spiriti della terra e del sole, fatti legare. Ecco: un’imbracatura, bella robusta. È la corda che uso per calarmi nei buchi, questa. È anche bella lunga, vedi?

“Allora, funziona così. Tu stai qui” occhi gialli, non più arancioni “io accendo un fuoco e faccio un po’ di fumo.”

Di solito arrivano. Credono di trovare carcasse, avanzi di pasto.

“Vado laggiù e sto ferma come una roccia. Quando ti chiamo tu corri verso di me senza fermarti. Nooo. Lì: stai ferma” ecco, due carezzine «brava, qui.”

Niente. Ti devo un po’ incastrare la corda, non capisci.

Mi allontano, il fumo sta salendo.

Ancora niente. Dovrò alimentare il fumo se passa altro tempo. Formica ha smesso di lottare con la fune e dorme lì vicino.

“Formica!” Non si muove.

“Formicaaaa” su il capino, brava.

Mi sa che non è stata una grande idea. Ormai non ci sono più le giuste condizioni. La luce del crepuscolo frega. Non vedi a fuoco, e vedi cose che non ci sono, a volte. Tipo quella macchia laggiù…

“Formica!” scatto avanti. La macchia inarca le ali e tira fuori gli artigli rapaci. Brutti, ma infallibili. La cordicella fissata alla mia cintura si solleva. Tiro: mira con la mente Clo. Tu sei il coltello.

Lascia la mia formica, schifosa crosta di piume. Senti come strilla, lo sta mettendo in difficoltà a forza di morsi e calci: il grumo stenta a risollevarsi in volo.

Lancio ancora, il grumo si sbriciola. Preso! Non sa se seguire formica o tenermi d’occhio.

Corro e lancio, l’ultimo coltello smussato, buono solo per spalmare. Non va a segno. Gli vado addosso.

Vuoi vendere cara la pelle, stronzo? Stacco il bastone dallo zaino, con tutte le forze falcio l’aria abbattendomi su quel collo secco. Porca miseria.

Stride per poco, il coso, e si sgonfia a terra. La testa e un pezzo del collo ciondolano dal ferro che avevo fissato al bastone per scavare, come incollati. Beccaci adesso, caccola.

“Formica stai bene?” il pelo ritto e la coda grossa di un orsetto di palude “dai, solo un orecchio rotto e qualche…” ti ha graffiato un occhio.

Scalcia e protesta, ha ragione. Se non avessi i guanti, mi scuoierebbe le mani. Posso solo pulirlo bene e sciacquarlo. Ecco: ti rimarrà un po’ così, mi sa. Con la cicatrice.

“Appena arriviamo all’assemblea te lo disinfetto con un po’ d’alcool, vedrai. Ora mangiamo.”

Di nuovo in cammino. Cibo a volontà. Acqua finita. Ormai buio.

Formica annaspa col muso in aria, si sporge dalla tasca della tuta.

“Un odore?” di là, a quanto sembra. Andiamo, non vedo grosse alternative.

Eccolo, sento anch’io. Carne arrostita!

“Sei una piccola esploratrice del clan rosso, adesso!” si merita una grattatina sulla testa.

Voci, molte. Ci siamo. Non ho la forza di correre, ma vedo le prime luci. Poche, per un’assemblea. Forse altri hanno avuto problemi come me.

Ecco il faro. Mi faccio riconoscere, tengo alto il simbolo del clan. Mi rispondono i lampeggi di benvenuto. Finalmente.

“Ce l’abbiamo fatta, formica” parlo col mento sul petto, la testa pesa. Cammino, gli ultimi passi.

“Senti i rumori?” Schiamazzi. Le solite scaramucce tra quelli già fatti o ubriachi “si danno daffare. Ma noi li lasciamo perdere e andiamo subito…”

Quattro mani mi afferrano, due per parte. Formica si eclissa nel tascone.

“È una ragazza! Visto? Ho vinto io!”

“Fanculo Garvin. Clan rosso?”

“Si” una sghignazzata fetida proviene da sinistra. Non vedo la faccia. Inutile chiedere alcunché, c’è qualcosa che non va. Prima di parlare, studiali.

“È pure un po’ suonata, mi sa. Prima parlava da sola e ora è ferma e muta.” quello a destra deve essere il commentatore arguto.

“Carina, gliela faccio tornare io la voce.”

Certo. Contaci, maiale. Avvicinami da solo e vedrai quante estremità ti rimarranno.

“Calma, portiamola dentro.” mi trascinano. Zero possibilità di liberarmi, con le forze che mi rimangono. Tentare la fuga servirebbe solo a strappare i vestiti e sembrare una selvaggia. Più di quanto lo sia. Mi tolgono zaino e armi.

“Che faccio, la lego?”

“Dove vuoi che vada, sola e senza armi?”

“Non lo so.”

“Se anche provasse a scappare ci sono duecento metri pieni di…noi.” Il saggio si volta aprendo il braccio, mano destra palmo in su come a raccogliere la pioggia. Si raccoglie un capannello di curiosi, tutti bruti da guardia, a giudicare dagli armamenti.

“Chi è, come si chiama.” dal buio esce una voce bassa, posata. Chiede senza domandare, dev’essere il capo. Si avvicina: un uomo senza capelli, numerose cicatrici, lineamenti squadrati. Il colore del viso sembra bruno o rossastro. Mai vista una faccia così in giro.

Lo fisso. Ignoro gli strattoni degli altri. Formica sta lì, non vista. La sento tremare un po’.

Il pelato si ferma a tre passi di distanza. Osserva, cerca di leggermi in faccia.

“E così, un’altra del clan rosso.”

Non commento.

“Si capo, è ritardata però, non parla.”

“Non parla, dici?”

Mi fissa, non commento.

“Se c’è una cosa chiara, Garvin, è che questa donna è più furba di te.”

Donna? Aspetta un attimo, cosa? Quando ho smesso di essere una ragazza? “Sta solo aspettando per capire con chi valga la pena parlare” incrocia le braccia guardando gli altri “possiamo forse deriderla se non ha voluto parlare con te?”

Garvin tace interdetto, mi guarda smascellando. È geloso. Il capo mi ha già messo nella difficile posizione di avere un arci-nemico. Non ci penserà due volte, quando avrà l’occasione di sgozzarmi.

Quello alla mia destra sghignazza asciugandosi il naso.

Nel silenzio sceso tra i bruti, il capo tira fuori un sigaro e un cerino. Con molta calma accende e aspira. Il rumore delle boccate scandisce quello delle botte e del chiacchiericcio proveniente da oltre una barriera di lamiere e pelli.

“Portatela da me.”

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Laura Lalune Décroche
iteR - Reloaded

Deals with Experiences and Design as a job. Archer with astonishing cooking skills, writer for fun, got a physical chemistry degree.