iteR #11 — Fëdor

Laura Lalune Décroche
iteR - Reloaded
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4 min readAug 8, 2018

“Elsa, cara, dov’è la mia D?” Ah, sì. Nel cassetto, come sempre.

E quindi, chi l’avrebbe mai detto: quella ragazza la vedi così, con quei capellini corti bicolore come l’antico gatto siamese, il visino fresco della gioventù e della speranza… ma che maturità, che intelletto eccezionale! Lo so non dovrei sorprendermi solo per come appare, è solo che mi sembrava così vulnerabile all’inizio… solo pregiudizi, Fëdor. Non sei abituato ad avere a che fare con le giovani.

Huxley, come dimenticarne il nome… il nome di un grande. La ragazza ha le idee chiare su tante cose, magari vede anche lontano come vedeva il suo omonimo. Come lui di sicuro ha avuto a che fare con qualche droga, come tutti qua sotto. Chissà cosa direbbero i puritani del ventesimo secolo, di noi.

E sì, le ho dato il libro, che diamine. Anche quello di meccanica quantistica. Le ho detto scegli, non ti limitare a un solo libro. È stata qui quattro ore, ne ha presi dodici, e altrettanti ne ha messi da parte per tornare a prenderli. Là, su quello scaffale. Lo abbiamo liberato apposta per lei.

C’è poco da recriminare: se non accetto di passare la conoscenza a persone che dimostrano tante capacità e sensibilità allo stesso tempo, a chi dovrei concordarlo? Non si pretenderà che Fëdor porti con sé tutto quel fardello, che i libri vengano usati al posto della legna per pressare i miei resti e farli trasformare dai batteri in soffice concime per l’idroponica… qualcuno dovrà prendere il mio posto, dico io.

Se la ragazza facesse buon uso e si dimostrasse all’altezza, potrei darle questa insignificante fascia e passare finalmente qualche giorno nella leggerezza: andare al mercato con la mia Elsa, comprarle un frutto, portarla a un concerto al teatro della Meridiana. Posto magnifico: misi da parte i guadagni di molti anni per poterci entrare almeno una volta. Quel gioco di riflessi provenienti da una qualche spaccatura nel terreno varrebbe già di per sé l’intero biglietto. È straordinario vedere un fascio di luce naturale nutrire le nostre profondità e segnare perfino l’ora. È qualcosa di indescrivibile.

Lo spettacolo, allora, veniva messo in scena quando la meridiana segnava le dodici. La mattina presto ero a piantonare l’ingresso del teatro e convinsi l’usciere a farmi entrare quattro ore prima.

La sala era fredda, vuota, il palco una bocca spalancata e muta, senza ugola. Il fascio di luce la tagliava educato, giungendo sulla meridiana a segnare le otto. Stavo lì a fissarlo senza fare niente. Non scrivevo né leggevo, non pensavo. Seguivo la luce che lentamente diveniva arrogante, salendo sulla parete.

Alle dodici, o poco prima, arrivarono gli altri spettatori.

Non ricordo altro, per me lo spettacolo c’era già stato. Non saprei dire se avessero inscenato una tragedia o una commedia, un’opera lirica o una performance elettronica. La mia memoria si ferma alle dodici, a quel concentrato di energia e vita proiettato su una parete di roccia.

Potrei tornarci, fermarmi lì, mentre qualche brava ragazza prende il mio posto.

“Elsa, dobbiamo ricomprarla, abbiamo finito la scorta!”

“Cosa?”

“Ricomprare la D.”

Dovrei preoccuparmi del fatto che Huxley passerà un libro a qualche amico. Chiaramente non manterrà la promessa di tenerli solo per sé, come successe a mio tempo. D’altra parte come si fa a non voler condividere il sapere? E sarebbe da stolti pensare che qualcuno, vedendo un libro di quelli, non volesse almeno aprirlo, leggerne qualche passaggio.

Ricordo quando il precedente bibliotecario mi concesse pieno accesso ai libri, designandomi come suo successore. All’epoca ero ancora giovane e pieno di idee rivoluzionarie, e lui… come si chiamava? Mi viene George, forse Eric, ma non ne sono sicuro. Non era mica morbido come me, erano altri tempi. Il cibo scarseggiava davvero, eravamo costretti a fare conto su tante di quelle sostanze. E la stabilità mentale si spappolava molto prima di come succede oggi. L’idroponica era in fase sperimentale, e c’erano quegli invasati estremisti che rifiutavano qualsiasi forma di cibo e si nutrivano con cocktail sintetici: un sottoculto derivato da Sinthology. La loro Chiesa e gli adepti finirono per dividersi, le città ad aria condizionata lassù furono sigillate definitivamente nelle bolle. I loro aggettivi epici e maestosi, il prosperoso buonismo demagogico, le loro chiese a sette piani di profondità, i trionfi e le ondate di espansione e per tutte le luci quanti aggettivi pomposi e scoppi di coriandoli, luci lampeggianti e melodie esaltanti… non hanno fatto altro che attirare cattivi interessi su di loro. I primi membri del Consiglio hanno praticamente acquistato l’intera Chiesa e tutti i seguaci che erano rimasti in superficie, prima di distruggerla dall’interno e usarla come humus dei consumatori.

Insomma George — o Eric — era sempre impaurito da tutti e tutto, vedeva minacce di repressione in ogni cosa, poteva diventare molto cattivo. Per questo quando parlai di comunicare con la superficie si infuriò come un Wurm sotto un collasso geologico. Ma era vecchio, e per la rabbia gli prese un infarto. Non era mica colpa mia, ma per un po’ non me la sentii di sponsorizzare in giro le mie idee sovversive; le misi da parte per svolgere tutto il lavoro che era stato di competenza del mio predecessore.

Chissà cos’avrei fatto, altrimenti. Probabilmente niente di diverso da quello che ho fatto. Come dicevano una volta “tra il dire e il fare…” però, non mi sarebbe dispiaciuto, un giorno, vedere il mare.

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Laura Lalune Décroche
iteR - Reloaded

Deals with Experiences and Design as a job. Archer with astonishing cooking skills, writer for fun, got a physical chemistry degree.