Io rifletto

Audiophonic Arts
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3 min readAug 1, 2017

L’importanza del riverbero.

Immagine da https://www.flickr.com/photos/bala_/3571658552

In natura il suono si propaga naturalmente partendo da una sola fonte distinta: da un oggetto che cade, da una persona che parla, dal vento che soffia tra le intercapedini (che poesia…).
Il suono avvolgente che percepiamo naturalmente grazie al nostro sistema uditivo non è facilmente riproducibile da una registrazione cd o mp3 perché fissare la propagazione sonora è un processo complesso.
Una band che suona dal vivo (possibilmente senza amplificazione) rende al meglio questa idea; il suono é naturale, possiamo percepire al meglio le varie sfumature. Il nostro cervello percepisce le varie distanze tra le fonti sonore, le loro posizioni e tutto ciò rende l’esperienza d’ascolto perfetta (diamo per scontato che la band in questione sia strepitosa nell’esecuzione dei brani…).

Chiaramente la nostra posizione di ascolto (e il silenzio circostante) è fondamentale.
I teatri antichi erano costruiti appositamente tenendo in considerazione la propagazione del suono per rendere il più possibile partecipi tutti gli spettatori. Una posizione univoca per tutta l’audience è però impossibile da ottenere, ed è qui che la registrazione su supporto ha rivoluzionato l’esperienza di ascolto.

Fissando i suoni si permette a chiunque di usufruire di una sonorità ottimale. La rappresentazione della giusta spazialità ed immersione del suono però non è semplice da ottenere dato che viene a mancare la “contemporaneità” dell’esecuzione.

In sostanza il nostro cervello capisce (beh, di solito è così…) che la fonte sonora non è una band dal vivo di fronte a noi ma semplicemente due casse (o cuffiette in-ear, o radiolina mono). I produttori e i fonici di mixaggio sono ben consci del problema e attuano una serie di espedienti per “fregare” il nostro cervello durante la riproduzione.

O meglio, con una serie di espedienti acustici rendono possibile l’impossibile, ossia rendere “tridimensionale” un suono stereo.

Dopo le prime registrazioni monofoniche si è creato lo stereo in modo da avere due fonti sonore distinte e distribuire meglio i suoni, anche se questo artificio ha le sue limitazioni. Solo il dolby surround si avvicina alla realtà portando ben 7 punti diversi di ascolto, simulando una spazialità più realistica grazie alla posizione fisica dei vari punti di ascolto la (le casse).

Ma come dare realismo ai suoni stereo?

Non basta registrare suoni a basso volume per percepirli lontani, ad esempio. Serve che il nostro cervello assimili altre informazioni per poter catalogare la spazialità. Ascoltate questo brano:

Ascoltando in cuffia sembra di essere immersi nel sound, circondati dalla band.

Oltre ovviamente ad altre tecniche di mixaggio, il riverbero è gestito singolarmente e artificialmente per ogni strumento e contribuisce a posizionare ciascun elemento sonoro in maniera ottimale.

Ma che cos’è esattamente il riverbero?

Un’onda sonora che parte da una fonte distinta colpirà uno o più materiali, compresa l’aria, e diminuirà man mano la propria intensità. Alcuni materiali assorbono il suono, altri lo riflettono: più oggetti contribuiranno a riflettere l’onda sonora e più elevato sarà il riverbero.
Le Chiese sono propriamente note per la loro capacità di generare riverbero, le sale degli studi di registrazione sono invece progettate per contenerlo e gestirlo.
L’orecchio umano percepisce un suono come distinto da un altro se i due sono generati a più di un decimo di secondo l’uno dall’altro.
Le riflessioni sonore che non superano questa distanza costituiscono il riverbero; se la distanza invece è superiore si parla di eco.
In un canyon avremmo buone probabilità di sentire una eco, non un riverbero, per via delle grandi distanze tra le pareti rocciose.

Il riverbero artificiale fa la sua prima comparsa in una incisione del 1947 (The Harmonicats: “Peg ‘o my heart”) grazie alla prima sala di riverberazione (che poi altro non era che il bagno dello studio). Queste stanze si sono naturalmente evolute negli anni 50 e 60.
Un salto di qualità notevole si ha alla fine degli anni 50 con la creazione dell’EMT 140, il primo Plate Reverb, basato sulla vibrazione di vari fogli di metallo catturata da appositi microfoni (pick-ups).
Lo Spring Reverb è invece introdotto dall’organo di Laurens Hammond (è un riverbero basato sulla vibrazione di alcune molle, per farla breve).
I riverberi digitali presenti a tutt’oggi rendono la riverberazione una pratica più abbordabile e di altissima efficacia per poter spazializzare al meglio i vari suoni e contribuire in modo decisivo per un buon mixaggio audio.

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