i cattivi, e le cose buone

Il libro di un filo-nazista, le canzoni di un presunto pedofilo, la morale pubblica nel tempo dell’esposizione mediatica.

Gabriele Rosso
John Doe
3 min readMar 6, 2019

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Knut Hamsun

Qualche giorno fa ho letto Fame di Knut Hamsun, coprendo una lacuna imperdonabile. Questo libro del 1890, che racconta la storia di un giovane scrittore spiantato, senza mezzi di sostentamento, affamato, mentre vaga per le vie di Oslo e impazzisce facendo i conti con la povertà più estrema, è un romanzo-monologo interiore folgorante, un testo che si porta dietro una scintilla in grado di illuminare la strada di tanta letteratura novecentesca, da Franz Kafka in giù. A riconoscimento del ruolo seminale e del valore della sua ampia produzione, il norvegese Hamsun nel 1920 ricevette il Nobel per la letteratura, pochi anni prima di rivelarsi al mondo come un entusiasta sostenitore del nazismo. Stiamo parlando di un personaggio che nel 1943 conobbe Joseph Goebbels e gli inviò in regalo la medaglia del premio Nobel, tanto per capirci. Uno che alla morte di Adolf Hitler scrisse in suo onore un necrologio, definendolo un “guerriero per l’umanità”. Ecco. Un “cattivo vero”, secondo i canoni della morale pubblica odierna, o perlomeno della sua maggioranza.

Lo spunto a parlarne in questi termini mi viene dalla recente uscita del documentario HBO su Michael Jackson dal titolo Leaving Neverland, di cui scrive Luca Sofri su Wittgenstein. Un documentario che racconta le storie di due bambini che — pare — finirono sotto le grinfie del cantante e subirono le sue attenzioni amorose e sessuali. Non mi interessa qui discettare di musica e pedofilia, né dare spazio alla solita gogna. Però secondo i canoni della morale pubblica odierna è indubbio che anche Michael Jackson sia da considerarsi un “cattivo vero”, se le accuse nei suoi confronti si dimostrassero fondate. Nonostante ciò Thriller rimane una delle canzoni che hanno scritto la storia della musica contemporanea. E il fatto che sia circolata, seppur prontamente smentita, la notizia che in seguito al documentario la BBC avrebbe bandito la musica di Michael Jackson, fa pensare che il mondo contemporaneo stia trattando in modo diverso, rispetto al passato anche recente, la questione della moralità pubblica. Perlomeno quando si parla di artisti.

La storia dell’umanità è piena zeppa di “cattivi” che hanno creato opere d’arte, che hanno scritto libri, che hanno composto e interpretato musiche e canzoni di straordinario valore: sul fronte antisemita basterebbe citare Richard Wagner e Louis-Ferdinand Céline. Ma dovrebbe farci riflettere il fatto che oggi, nell’epoca della totale esposizione mediatica dei personaggi pubblici, gli attori, i musicisti, gli scrittori siano sottoposti a un continuo giudizio morale, spesso riguardante la loro vita privata o le proprie (per quanto discutibili) posizioni politiche: un giudizio che tuttavia, molto più che in passato, ne pregiudica profondamente la stessa sopravvivenza artistica (dice niente il caso Kevin Spacey?).

Negli ultimi mesi di #MeToo, un movimento di cui personalmente difendo la ragion d’essere, in tanti hanno affrontato la questione, e non ho certo la pretesa di aggiungere qualcosa al dibattito. Mi basta sottolineare che non una virgola di quanto scritto da Hamsun è stato meno piacevole e arricchente anche se visto alla luce delle sue idee politiche. Così come non è stato meno piacevole e arricchente vedere Manchester by the Sea, film che mi ha incantato per la sua struggente potenza drammatica, dopo aver saputo che il protagonista Casey Affleck era stato denunciato per molestie sessuali da due donne.

Insomma, c’è una differenza di fondo tra il criticare un libro dal contenuto nazistoide, e criticare un libro perché scritto da un nazistoide.

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Gabriele Rosso
John Doe

Editor & copyeditor, mi interesso e scrivo di gastronomia, libri, politica e cultura. Ph.D. in Studi Politici.