Essere, o non essere percepiti

L'asino vola
The Critic as Artist
17 min readAug 10, 2015

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(NOT)FILM

di Maria Letizia Gatti
[di Reading Bloom, casa di distribuzione di documentari, film-saggi e opere restaurate, nata dal felice incontro con Ross Lipman e Milestone Films]
con il prezioso contributo alla trad. it. di Chiara Giobergia

A cinquant’anni dalla première veneziana, FILM di Samuel Beckett (1965), con il magistrale Buster Keaton, esce nelle sale in versione restaurata. La sua affascinante vicenda produttiva è raccontata dal filmmaker e restauratore americano Ross Lipman in NOTFILM, un “cine-saggio” che intreccia interviste a materiali inediti straordinari. Lo abbiamo visto in anteprima a Los Angeles e ora ve lo raccontiamo in esclusiva.

Prologo

10 luglio 1964. Samuel Beckett vola da Londra a New York per girare Film. Ad attenderlo, nella sua villa estiva a Long Island, Barney Rosset, fondatore e editore della Grove Press, la casa editrice più sovversiva degli Stati Uniti. Un anno prima Rosset aveva accettato la proposta della società di produzione televisiva Four Star di commissionare ad alcuni dei suoi migliori drammaturghi la stesura di una sceneggiatura per la tv. Come ricorda il suo più stretto collaboratore Richard “Dick” Seaver, nella sua appassionata autobiografia La dolce luce del crepuscolo (Feltrinelli, 2015):

“La prima persona a cui lo proponemmo fu Jean Genet, che rifiutò con fermezza. Ma Beckett, Pinter, Ionesco, Marguerite Duras e Robbe-Grillet […] accettarono. Il primo fu proprio Beckett, che mandò un’opera breve, complessa, ma geniale che, come prevedibile, intitolò Film.”

Ispirato alla dottrina metafisica del filosofo irlandese George Berkeley (1685–1753), racchiusa nella massima esse est percipi” (l’essere è essere percepito), Film presenta il tentativo disperato di un Oggetto, O (Object), di sfuggire allo sguardo indagatore di un Occhio, E (Eye), che lo insegue e a “ogni percezione estranea, animale, umana, divina”.
Ma alla fine “Il tentativo di non essere”, scrive Beckett nella sceneggiatura, “si vanifica di fronte all’ineluttabilità della percezione di sé”. O sperimenta l’angoscia dell’essere percepito e lo spettatore, in ultimo, lo scopre essere percepito da se stesso.

O = E

Non è possibile esiliarsi dalla propria coscienza né sottrarsi all’essere-percepito “dal momento che si resta indissolubilmente legati al mondo con l’autopercezione”, osserva con penetrante acume Theodor W. Adorno in occasione di un dibattito televisivo trasmesso il 2 febbraio del 1968 dall’emittente tedesca Westdeutscher Rundfunk (Essere ottimisti è da criminali, l’ancora del mediterraneo, 2012). “Si tratta dunque, se vogliamo, di una parodia dell’enunciato berkeleyano”, precisa il filosofo, e “alla lettera della catastrofe, a proposito della quale resta da decidere se corrisponda direttamente alla morte oppure, cosa che a me pare rispecchiare maggiormente l’idea dell’autore, a ciò che lo stesso Beckett in un’altra opera, se non erro L’innominabile, definisce una «condanna a vita alla morte»”. È questo, infatti, un tema centrale della poetica beckettiana che trova, nella concezione adorniana dell’opera d’arte come verità negativa, una delle sue teorizzazioni più perspicaci.

Di grande suggestione è anche questo passo della rilettura lacaniana dell’ultimo Freud, il quale inscrive la pulsione di morte (Todestrieb) nella vita: “Soltanto all’uomo questa immagine rivela la sua significazione mortale e, ad un tempo, di morte; ch’egli esiste”.

Mettiamo però da parte le interpretazioni, e torniamo a Beckett: “Durante tutto il film O dovrebbe suscitare il riso col suo modo di muoversi” indossando, in piena estate, un lungo soprabito scuro e un cappello reclinato sugli occhi. Quale attore potrebbe interpretare una parte simile, in un film che tende all’astrazione più radicale? Beckett aggiunge un ulteriore elemento di antinaturalismo nella sceneggiatura: Film — girato in bianco e nero — è interamente muto, fatta eccezione per un “ssh!” pronunciato da una comparsa nella sequenza d’apertura.

Il compito di trasporre il copione in immagini viene affidato al regista teatrale Alan Schneider, amico e grande estimatore di Beckett, alla sua prima prova dietro alla macchina da presa. L’inesperienza, come vedremo, gli costerà cara.

Dopo il rifiuto di Charlie Chaplin, “assolutamente inavvicinabile”, di Zero Mostel, “non disponibile”, e dell’attore beckettiano Jack MacGowran, impegnato all’ultimo su un altro set, Beckett suggerisce a Schneider il nome di Buster Keaton, che nel 1956 aveva rifiutato di interpretare la parte di Lucky nella première americana di Aspettando Godot — un fiasco colossale, coincidenza vuole, diretto proprio dallo stesso Schneider. Questa volta Keaton accetterà la parte, ma soltanto per soldi. “La sua opinione era che eravamo tutti matti, Beckett incluso” (Schneider).

11–12 luglio 1964. Nella casa di Barney Rosset, a East Hampton (Long Island), Beckett e Schneider incontrano alcuni tecnici della troupe per discutere degli aspetti realizzativi del film. Tra i presenti, il direttore della fotografia Boris Kaufman, fratello minore di Dziga Vertov e premio Oscar per Fronte del porto di Elia Kazan (1955).

14 luglio 1964. Nell’appartamento di un albergo di Manhattan avviene l’atteso incontro tra Samuel Beckett e Buster Keaton. L’attore beve birra mentre guarda una partita di baseball in tv. Continuerà a farlo per tutta la durata dell’incontro che, ricorda Schneider, “Fu un disastro”. Tuttavia, sul set, Keaton dimostrerà di essere un vero professionista: infaticabile, imperturbabile, sempre disposto a collaborare — nonostante le perplessità e i non pochi lustri sulle spalle.

20 luglio — 30 luglio 1964. Si gira… Tre le scene previste nel copione: La strada (8’), Le scale (5’), La stanza (17’). Come prima location Beckett sceglie un muro in demolizione nei pressi del ponte di Brooklyn, dove Keaton deve correre in direzione contraria ad alcune comparse cercando di sfuggire all’Occhio indagatore della mdp.

Nonostante il traffico, la confusione, i reporter e altri intoppi, l’impressione generale è che il girato sia abbastanza buono. I giornalieri, però, emettono l’amaro verdetto: la scena è un disastro. Un effetto stroboscopico la rende assolutamente inguardabile. Impossibile rigirarla, non ci sono soldi. Nella disperazione generale, è Beckett a rompere gli indugi proponendo di eliminarla. Film inizia con il primo piano dell’occhio di Keaton che si apre, perturbante e rugoso come quello di un rettile.

6 agosto 1964. Dopo aver lavorato con Sidney Meyers a un primo montaggio del film, Beckett fa ritorno a Ussy, nella sua amata campagna francese.

Settembre 1965. Alla 26ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Film riceve il Diploma di Merito e Buster Keaton un’interminabile standing ovation. Tutt’altra accoglienza gli riserva il pubblico del New York Film Festival, dove viene mostrato all’interno di una retrospettiva dedicata a Buster Keaton. In sala piovono fischi e stroncature.

Proiettato in seguito a Londra, a Oberhausen e in altre città europee, Film conquisterà diversi riconoscimenti e l’attenzione della critica più attenta.
Nel 1969 a Samuel Beckett verrà conferito il Premio Nobel per la Letteratura. Dieci anni più tardi il British Film Institute produrrà un remake del film — mai approvato dallo scrittore — che continuerà a preferirgli, nonostante le imperfezioni, la versione del ’65.
Dopodiché Film circolerà sporadicamente in alcune sale cinematografiche senza trovare mai un’adeguata distribuzione, e a poco a poco verrà dimenticato.

A colloquio con

Ross Lipman

“La vita postuma delle opere, la lora ricezione in quanto aspetto della loro propria storia, si svolge tra il non-farsi-comprendere e il voler-essere-comprese; questa tensione è il clima dell’arte.” — Theodor W. Adorno, Teoria estetica.

Los Angeles, 17 maggio 2015.

Incontro Ross Lipman in un tipico bar californiano nel quartiere di Echo Park, una delle zone più amate dalla comunità artistica e intellettuale di L.A. Lipman è uno dei massimi esperti nel restauro del patrimonio cinematografico e un filmmaker indipendente. Negli ultimi sedici anni ha lavorato alla UCLA Film & Television Archive curando il restauro di pellicole di grande interesse artistico: da Ombre e Volti di John Cassavetes a Killer of Sheep di Charles Burnett a The Connection di Shirley Clarke — solo per citarne alcune. Al mestiere di archivista Lipman affianca da sempre quello di filmmaker. “Per me sono due cose correlate”, mi spiega. “Il restauro è un fine del mio lavoro creativo, non è solo un esercizio tecnico; e fare film non è solamente qualcosa di creativo, ma anche un’abilità”.

Il suo ultimo progetto, che ho avuto il piacere di guardare in anteprima in una sala dell’American Film Institute, è un film saggio di eccezionale rigore storico e accuratezza estetica. Notfilm — questo il titolo — è un
tentativo di capire
l’insopprimibile grandezza di Film di Samuel Beckett
riportando alla luce materiali inediti straordinari: registrazioni audio, scene tagliate, fotografie, appunti, lettere. Un film sul dietro le quinte di Film, che è al contempo uno scavo nell’archeologia del cinema e una riflessione sul valore della memoria, caduca e imperitura.

Notfilm è prodotto e distribuito dalla Milestone Films, che da venticinque anni recupera e promuove il miglior cinema d’autore, per la gioia di critici e appassionati di tutto il mondo. I suoi fondatori, Dennis Doros e Amy Heller, distribuiranno anche Film di Beckett in una versione restaurata digitalmente in 4k dallo stesso Ross Lipman in collaborazione con la UCLA Film & Television Archive e il British Film Institute.

Per completare il progetto hanno lanciato una campagna di crowdfunding su Kickstarter, con il sostegno di Fandor, servizio di film in streaming. Invitiamo i nostri lettori a promuovere l’iniziativa, attiva fino al 13 agosto.

Questo colloquio, durato il tempo di un caffè americano, conserverà l’aroma di un ristretto italiano.

Da un’opera restaurata…

Letizia Gatti — Mi puoi raccontare come nasce il tuo interesse per Film di Beckett?

Ross Lipman Film mi ha affascinato fin da quando ero uno studente all’Università del Michigan. Sono stato uno degli ultimi allievi di Rudolf Arnheim, il grande teorico tedesco che scrisse della percezione psicologica dell’arte. Ne parlo in Notfilm perché ha influenzato i pensieri di Beckett sul cinema. Arnheim naturalmente sapeva chi era Beckett, ma non conosceva Film, e così di mia iniziativa ho scritto un saggio per un suo seminario. Chi l’avrebbe mai immaginato che a distanza di anni gli studiosi di Beckett avrebbero trovato le sue lettere giovanili e si sarebbero resi conto che negli anni Trenta stava leggendo Arnheim…

L. G. E chi l’avrebbe mai immaginato che molti anni più tardi avresti restaurato Film… Com’è successo?

R. L. — Una decina di anni fa il mio collega Andrew Lampert mi ha messo in contatto con Barney Rosset e insieme abbiamo concordato di trasferire i materiali di laboratorio di Film alla UCLA. Poi, fortunatamente, abbiamo ottenuto dei finanziamenti per il restauro dalla Film Foundation di Martin Scorsese e dalla National Film Preservation Foundation.

L. G. Quanto tempo ha richiesto il restauro?

R. L. — Più di un anno, ma ovviamente non era l’unica cosa a cui stavo lavorando. A quel tempo avevo solitamente tra i 10 e i 30 progetti in piedi contemporaneamente e in diverse fasi di lavorazione…

L. G. Hai incontrato qualche difficoltà durante il processo di restauro? Avevi il negativo camera?

R. L. — Il negativo camera originale di Film è andato perduto. Abbiamo fatto moltissime ricerche per rintracciare cosa è successo, ma non siamo stati in grado di trovarlo. Il materiale di Barney non era quello di qualità migliore perciò ho contattato colleghi di vari istituti negli Stati Uniti, Inghilterra e Francia e mi sono fatto mandare delle copie. Poi le ho comparate, e ho usato i migliori estratti per fare dei nuovi negativi da sezioni differenti, che ho tagliato e combinato insieme per ottenere la versione qualitativamente migliore e più completa possibile. Contemporaneamente abbiamo fatto un restauro digitale in risoluzione 4k, con Shawn Jones alla NT Picture and Sound, rimuovendo digitalmente graffi e cose simili. In ultimo abbiamo fatto ciò che viene chiamato un film-out, o film recording, cioè un trasferimento del file digitale nuovamente su pellicola. Quindi, alla fine, abbiamo fatto un restauro sia fotochimico che digitale.

…a un cine-saggio

L. G. Veniamo a Notfilm. Quando hai iniziato a maturare l’idea di fare un documentario su Film di Beckett?

R. L. — Una volta che è stato completato il restauro di Film ho continuato a fare visita a Barney Rosset, quando ero a New York, e in una di quelle occasioni mi ha dato le registrazioni audio dell’incontro di preproduzione tra Beckett, Schneider e Kaufman, a East Hampton, e anche le scene tagliate. L’idea di Notfilm mi è venuta mentre le passavo in rassegna. In un viaggio successivo a New York ho portato una videocamera e ho intervistato Barney.

L. G. Potresti spiegarmi il significato di “Notfilm” e dell’espressione “kino-essay”, che usi per descrivere il tuo documentario?

R. L. — Kino-essay” (Cine-saggio) ovviamente si riferisce a Dziga Vertov — al suo concetto di Cineocchio e Cineorecchio — perché “kino”, in russo, significa “film” o “cinema”. Notfilm rientra nella tradizione degli essay film (film saggio), ma tecnicamente non è un film (pellicola), è un’opera digitale. La parola “film” è arcaica in questo contesto; non è più accurata per un’opera digitale. Sto perciò richiamando l’attenzione sull’uso del linguaggio e sulla lunga storia del documentario-saggio, che risale agli anni Venti del Novecento e a Vertov.

In quanto a Notfilm… originariamente pensavo di chiamarlo FilmFilm, un film su Film. Ma certamente c’era anche Not I di Beckett (Non Io), dove “I” (Io) può essere inteso in termini di coscienza, identità individuale, psiche ed ego. Quindi anche Not I è un’opera che uso molto per contestualizzare i temi di Film.

L. G. — Questo mi fa ripensare al titolo originale di Film, The Eye (L’Occhio), che in inglese evoca il pronome personale “I” (Io). Purtroppo questa omofonia, decisamente significativa, si perde nella traduzione italiana.

À la recherche du temps perdu.
Barney Rosset

L. G. — A Barney Rosset tu dedichi giustamente molto spazio in Notfilm, dal momento che è stato presumibilmente il più importante editore degli Stati Uniti negli anni Sessanta e inizio anni Settanta. Oltre a Beckett, la Grove Press ha dato voce all’avanguardia teatrale europea — penso soprattutto a Brecht, Genet, Pinter, Ionesco — alla controcultura americana — Miller, Kerouac, Ginsberg, Burroughs — , a intellettuali e politici rivoluzionari come Che Guevara e Malcolm X…

R. L. — Barney Rosset ha davvero giocato un ruolo straordinario nella formazione della cultura americana così come la conosciamo oggi. Amava sfidare l’autorità, e di conseguenza sarebbe gravitato immediatamente verso qualsiasi autore considerato scandaloso, provocatorio o controverso. Ha combattutto dozzine di battaglie contro la censura e il puritanesimo.

L. G. — In Italia, Feltrinelli ha appena dato alle stampe la traduzione italiana delle memorie di Richard Seaver, l’altra grande mente dietro alla Grove Press. Mi piacerebbe tornare a parlare con te di questo argomento, ma per ora restiamo su Notfilm.

R. L. — In Notfilm si vedono due interviste con Barney. In quella più vecchia stava abbastanza bene. Ma già lì la sua salute era peggiorata rispetto a quando ci siamo incontrati la prima volta. Al tempo della seconda intervista faticava a ricordarsi le cose, ed è già solo stato coraggioso a filmare con me e con Dennis Doros. Ci sono altre interviste che ha fatto, nelle quali discute di Film, e spesso mi viene chiesto “Ma perché non usi quelle?”
Ma io non sto soltanto cercando di presentare un semplice resoconto storico; sono interessato a certe questioni che riguardano Film in sé, e a questioni che Beckett solleva. Se Barney avesse goduto di una salute migliore, le nostre interviste avrebbero preso una piega diversa. Ma come dice Haskell Wexler in Notfilm: “È meglio non ottenere ciò che desideri, ma desiderare ciò che ottieni”.

“Da quando siamo un colloquio”
Interviste

L. G. — Poiché hai nominato Haskell Wexler, che è stato un direttore della fotografia molto importante nonché un amico di lunga data di Barney Rosset, vorrei soffermarmi un momento sulle altre persone che hai intervistato.
Le passerò velocemente in rassegna:

  • Jeanette Seaver: vedova dell’editor Richard “Dick” Seaver;
  • Jean Schneider: vedova del regista Alan Schneider;
  • Judith Douw-Schmidt: assistente personale di Barney Rosset, aiutò Beckett durante le riprese di Film;
  • Billie Whitelaw: memorabile interprete di molte pièces beckettiane;
  • James Karen: fugace comparsa di Film e affezionato amico di Buster Keaton;
  • Steve Schapiro: fotografo di fama internazionale, scattò molte fotografie sul set di Film;
  • James Knowlson: autore dell’unica biografia autorizzata su/da Samuel Beckett;
  • Mark Nixon: esperto beckettiano, è direttore della Beckett International Foundation;
  • Kevin Brownlow, Leonard Maltin, S. E. Gontarski: critici, studiosi, storici.

Potresti spiegarmi che funzione hanno le interviste in Notfilm?

R. L. — Per me le interviste sono un’opportunità di riuscire ad avere un resoconto di ciò che è accaduto, ma anche di ottenere un’opinione personale degli eventi attraverso le personalità di coloro che li hanno vissuti. Ritengo che le persone siano affascinanti tanto quanto una storia in sé. Per quanto mi riguarda, quindi, l’intervista è un’indagine intellettuale e spirituale.

L’ultimo nastro di Rosset

L. G. Passiamo ora al materiale inedito. Iniziamo dalla registrazione audio. Nel rammentare l’incontro di preproduzione che ebbe luogo nella casa di Rosset, a Long Island, Schneider a un certo punto scrive: “[…] io continuavo a pensare che avrei voluto avere vicino uno di quei registratori abbandonati di Mr Krapp”. Si potrebbe dire che è spuntato L’ultimo nastro di Beckett — o forse sarebbe meglio dire di Rosset. Fu lui, infatti, a registrare l’incontro all’insaputa di tutti i presenti. Perfino Beckett non ne era al corrente…

R. L. — Corretto. Ma poi lo venne a sapere.

L. G. — E si arrabbiò?

R. L. — No, almeno, non per quello che ne sappiamo. Di questa registrazione si sapeva in realtà già da molti anni. Esiste persino una trascrizione inglese di alcuni estratti, nel libro The intent of undoing in Samuel Beckett’s dramatic texts di Stan Gontarski. Ma ciò che la gente non ha mai ascoltato è la voce di Beckett. E le trascrizioni pubblicano solo le parole di Beckett, senza il contesto generale del dialogo in cui sono inserite.

L. G. Beckett acconsentì alla pubblicazione, ma per quanto riguarda l’audio?

R. L. — Da quel che ne sappiamo, non c’è stata alcuna discussione in merito. Ma il mito che Beckett fosse completamente rigido su questi argomenti non è vero. Certamente provava un malessere nei confronti della rappresentazione che i media davano di lui, ma quello che la gente dimentica è che faceva delle eccezioni piuttosto regolarmente, specialmente negli ultimi anni della sua vita. Quindi non sappiamo che cosa avrebbe detto. In definitiva, facciamo affidamento su ciò che Stan Gontarski dice, e cioè che sosteneva le persone che facevano un lavoro serio. Perciò, forse presuntuosamente, ci siamo considerati dei seri professionisti nel nostro lavoro, e speriamo che Beckett avrebbe approvato.

Ché la diritta strada era smarrita

L. G. A proposito delle scene tagliate, in Notfilm racconti di aver trovato le bobine, contenenti la scena della strada, letteralmente impilate sotto il lavandino della cucina di Barney Rosset… Mi interesserebbe sapere in che modo hai recuperato questa scena.

R. L. — In Notfilm se ne vede all’incirca un minuto ma ho ricostruito l’intera scena, per quanto fosse possibile. La ricostruzione più lunga dura 6 minuti; in origine, invece, ne durava circa 8. Perciò o non finirono di filmarla, o forse qualche metraggio di pellicola è andato perduto. La mia ipotesi personale è che non abbiano mai finito di girarla.

L. G. L’intera scena sarà inserita nell’edizione in dvd-blu ray che uscirà il prossimo anno per la Milestone Films. Perché hai deciso di non mostrarla integralmente in Notfilm?

R. L. — La ricostruzione completa della scena è un’operazione più accademica. Una ricostruzione non è un restauro — il prologo di Film non è mai stato completato in origine, perciò non si può propriamente “restaurare”. Ciò che ho fatto è stato usare le annotazioni di Beckett, le note di produzione, i copioni, il filmato e le fotografie per dare un’impressione di come la scena sarebbe dovuta sembrare nella sua interezza.

Tanto di Stetson!
Buster Keaton

L. G. Oggi Buster Keaton è considerato uno dei più grandi attori del Novecento. La sua carriera, però, conobbe molti alti e bassi. Proprio quest’anno
L’Immagine Ritrovata di Bologna, che è un’eccellenza internazionale nel campo del restauro e della conservazione del patrimonio cinematografico, ha avviato un progetto pluriennale di restauro di tutti i film di Keaton di proprietà della Cohen Film Collection. Quando però Beckett e Schneider pensarono a lui, per Film, Keaton era da poco statoriscoperto”…

R. L. — Un momento significativo del ritorno di fama di Keaton è stata proprio la première di Film alla Mostra del Cinema di Venezia, nel 1965. Non che la gente pensasse che fosse la sua miglior performance, ma il controverso Raymond Rohauer, che fece un gran numero di cose discutibili nella sua carriera, in questa occasione ne fece una importante aiutando a organizzare e coordinare il tributo veneziano. Questo, insieme ad altri avvenimenti di quel periodo, contribuirono a riportare Keaton all’attenzione del pubblico. Da quel momento la sua stella è solo salita più in alto.

1965
M(a)rte a Venezia

L. G. — Nel settembre di quello stesso anno, Film venne proiettato al New York Film Festival all’interno di una retrospettiva dedicata proprio a Buster Keaton. “Il film stava già diventando di Keaton, non di Beckett”, osservò in seguito Schneider. Venne però criticato duramente, e per un motivo preciso: il film era appunto di Beckett, non di Keaton. Ciononostante a Venezia ricevette il Diploma di Merito…

R. L. — A Venezia ricevette una standing ovation ma la proiezione fu in realtà un tributo a Keaton, e Beckett pensò che il film fosse superficiale. In sostanza roteava gli occhi insinuando “Tutto ciò è fantastico per Buster, ma per quanto riguarda Film?” Keaton morì non molto dopo la proiezione veneziana [1º febbraio 1966], quindi un aspetto positivo è che ha potuto godere di questo bel momento. Un momento che, ironicamente, Film ancora attende.

L. G. È ciò che constatava già Alan Schneider, con un misto di orgoglio e amarezza, nella pagina finale di Come è stato girato «Film»:

“Questa è la norma per le produzioni di Beckett, anche se è difficile per coloro che ne sono coinvolti tenerne conto ogni volta. Tutte le sue opere teatrali, produzioni per la radio o la TV, vengono prima rifiutate, derise, ignorate. Poi, cinque anni più tardi, vengono esaltate come classici. Sarebbe tempo che questo avvenisse anche per Film di Beckett.
Dopotutto, siamo nel 1969”

2015
“Il clima dell’arte”

L. G. Ancora oggi Film resta una delle opere meno conosciute di Buster Keaton, e probabilmente lo stesso discorso può essere fatto per Samuel Beckett. Quale tipo di ricezione ti aspetti, quindi, da parte del pubblico?

R. L. — È difficile dirlo. La speranza è che il nostro progetto porti Film e la sua storia a un pubblico più ampio. Ma forse è un’aspettativa troppo alta… più un artista “difficile” come Beckett si avvicina al mainstream, più arriva annacquato rispetto all’originale. L’opera di Beckett, così come mi auguro anche Notfilm, dovrebbe essere piacevole, ma anche emozionante e stimolante, e non andrebbe vissuta come una blando diversivo. Quindi, alla fin fine, potremmo solo contare su un piccolo gruppo di persone. Vedremo cosa succederà.

L. G. Dopotutto, siamo nel 2015.

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scritti molesti sullo spettacolo e la cultura nel tempo dell'emergenza