L‘importanza della divulgazione del diritto
L’obiettivo di questo articolo è di fungere da introduzione a una serie di scritti che vorrebbero avere la pretesa di iniziare una sorta di “divulgazione scientifica” a tema giuridico, ovviamente.
Premetto di non avere né le qualifiche né la superbia per potermi definire cultore della materia. Allo stesso tempo però la divulgazione scientifica permette di spaziare lungo diversi gradi di specializzazione, riferendosi principalmente alla diffusione del patrimonio culturale delle scienze nel grande pubblico. In questo caso perciò si può accettare una prima infarinatura di quei concetti di diritto che sfuggono alla conoscenza dei più, anche da parte di chi ne è modestissimo conoscitore.
Credo che l’importanza del diritto, o meglio l’importanza di una sua divulgazione più ampia e meno circoscritta ai tecnicismi, risieda nella domanda: “cosa è il diritto?”.
Questione che ha impegnato intere di generazioni di studiosi e nei campi più disparati. Un concetto ovviamente che può essere facilmente piegato a generalizzazioni o torsioni concettuali non indifferenti. Tecnicamente parlando inoltre la strada risulta spesso scivolosa e complicata da numerose terminologie.
Ricordando la premessa, cioè la necessità di offrire una visione non esclusivamente teorica ma al contrario divulgativa della scienza giuridica, possiamo affermare che il diritto è lo strumento sociale fondamentale dell’essere umano.
Storicamente e quindi etimologicamente bisogna ricordare che il termine diritto subentra successivamente allo ius romano, che ritroviamo come radice o meglio come parte del termine “giurisprudenza” → “iurisprudentia” → “studio del diritto”.
Ma sulla storia del termine, nonché sulla natura dei diversi significati assunti dallo stesso c’è il rischio di perdersi in un groviglio troppo complicato. Nella sua più generica formalizzazione il diritto, la “regola” in una estrema semplificazione, rimane il nucleo essenziale di ogni agglomerato umano. L’esordio del Manuale di Diritto Privato del prof. Alpa cita, come esempio chiarificatore del concetto, il cosidetto “apologo di Robinson Crusoe” (sintetizzabile nella formula latina “ubi societas, ibi ius” → “dove c’è una società lì c’è il diritto”). Il famoso naufrago infatti, se prima vincolato alle sole regole dell’ingegno nella solitudine della propria situazione, necessita invece di regole di comportamento in presenza di un altro essere umano. Un ragionamento in realtà che potrebbe essere dibattuto, elenco giusto due spunti:
- La contrastante teoria della necessità antropologica del diritto, che nasce come fenomeno insito dell’uomo e non solo del gruppo sociale.
- La critica al pensiero illuminista di Defoe, il quale ponendo la ragione come facoltà innata e universale non inserisce i comportamenti del Robinson solitario nell’alveo delle regole di comportamento.
Rimane comunque assodato il fatto che, a prescindere da eventuali impulsi precedenti, la società quale insieme di più individui si basa su regole. Queste ultime non sono altro che frutto, in buona parte, di una autoproduzione, di una creazione umana. La formazione di regole complesse e il loro complessivo rispetto rappresenta uno dei punti più alti del pensiero scientifico e sociologico dell’essere umano. Così come la degenerazione delle stesse rappresenta un classico esempio di quanto il medesimo essere umano sia capace di toccare simultaneamente anche i punti più bassi.
Se non bastasse il binomio diritto-società per rendere la conoscenza di questa materia fondamentale, si potrebbero aggiungere numerosi altri fattori di necessità. Sebbene le regole comportamentali permeino qualsiasi attività umana, senza bisogno di una sovrastruttura legislativa, quest’ultima è divenuta col tempo una componente massiccia degli ordinamenti contemporanei. Il mondo del lavoro, la cronaca, lo sport, il commercio, il web: il diritto tocca in un modo o nell’altro tutti gli aspetti anche di vita quotidiana dell’uomo comune.
Sono pochi i periodi storici in cui si può parlare di una presenza così forte del diritto nella percezione della maggioranza dei componenti di una società. Non che non esistessero le leggi e la loro applicazione: ma indubbiamente entrambe venivano a contatto frequentemente con una fetta minoritaria della popolazione, riguardo a più specifici argomenti. Oggi invece, con il progressivo aumento della qualità della vita e con le più complesse modalità di accesso a servizi e tutele, il diritto è componente tanto frequente quanto ancora incompresa. Risulta incredibile constatare che nella maggioranza dei “non addetti ai lavori” il mondo delle leggi sia rimasto alla bella ma preoccupante immagine manzoniana del dottor Azzecca-garbugli. Una responsabilità che pesa tanto sulla oggettiva mancanza di chiarezza della nostra produzione legislativa, quanto sulla scarsa volontà di informare ed essere informati.
Ed ecco perché la risposta alla nostra originale domanda rende l’argomento così importante e la sua divulgazione fondamentale. Se infatti il diritto è componente sociale primaria e fondamentale, se il diritto è al giorno d’oggi elemento imprescindibile di regolazione e controllo, se qualsiasi discussione politica, ideologica e comunitaria è sostanzialmente una discussione di diritto, allora il cittadino deve informarsi in materia. Non si può peraltro pretendere di essere davvero informati quando il politico di turno afferma di voler “eliminare la prescrizione” e poi non si è consapevoli di cosa stia parlando o quando l’incostituzionalità della manovra “x” risulti essere una cosa semplicemente “che non si fa”.
Conoscere il diritto e riconoscerne il valore fondativo della propria società era uno dei tanti pregi dell’ antica Roma. I cittadini romani infatti imparavano a leggere e scrivere a partire dallo studio mnemonico ( ut carmen necessarium diceva Cicerone) delle 12 tavole, ovvero delle prime leggi scritte della città. Le comparazioni in questa sede sono fuori luogo, ma indubbiamente il buon esempio può essere preso anche dai nostri più antichi antenati.