Digitale e resilienza

Alfonso Fuggetta
La bella terra
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4 min readOct 24, 2021

Testo del mio intervento a Digital Italy 2021 organizzato da TIG. Il tema di quest’anno era la resilienza del digitale.

Che vuol dire resilienza, la resilienza che troviamo nel titolo di questo evento?

Mi sono fatto una idea che forse distorce un po’ la definizione classica di resilienza. Ma provo a proporvela lo stesso.

Per partire, vorrei fare una premessa:

  • Un obiettivo non è un risultato.
  • Un annuncio non è un impatto.
  • Una sigla o un titolo di una struttura non sono un processo strutturato, non sono process enactment (che è a sua volta diverso dalla pura automazione perché ci sono le persone). Ne discutevo con i colleghi americani e inglesi negli anni ’90 quando facevo ricerca su questi temi.

La resilienza si manifesta attraverso processi, risultati, impatto. Con una aggiunta essenziale: processi, risultati, impatto resi continui e stabili nel tempo. Sperando di non distorcere il pensiero di Alberoni, mi verrebbe da dire che la resilienza è propria dell’istituzione, non del movimento.

Tra l’altro è bella questa doppia faccia della parola istituzione: da un lato istituzione ha un significato generale, in quanto funzionamento organico, strutturato, coerente di un sistema complesso; ma nel nostro caso istituzione vuol dire anche realtà a servizio della res pubblica.

Come si ottiene resilienza, istituzione?

È innanzi tutto necessaria una grande chiarezza di idee e di visione, basata su una convincente e intellettualmente onesta analisi dei problemi.

Prendiamo come esempio Gaia-X. Cominciamo dall’analisi:

  • Perché è stato creato questo progetto?
  • Quali sono le sue caratteristiche essenziali?
  • Quale deve essere il suo impatto sul mercato?
  • Quale l’impatto sulla regolazione?

Alcuni punti di partenza, l’analisi per l’appunto:

  1. Non siamo in grado di fare oggi concorrenza agli USA sul fronte infrastrutturale. Dobbiamo combattere sul fronte delle regole e innalzare il livello strategico del confronto.
  2. Il cloud in senso infrastrutturale è un tassello per l’innovazione della PA e delle imprese. Non è il più critico o quello decisivo. Oggi la sfida è applicativa, organizzativa e di mercato. E infatti Gaia-X sale di livello.
  3. Non possiamo continuare a stratificare nuove iniziative sugli errori del passato senza rimuoverli.
  4. Non possiamo continuare a contrapporre pubblico e privato in modo ideologico o a nascondere l’uno dietro l’altro.

Un white paper del Cefriel da poco pubblicato su Astrid Rassegna definisce Gaia-X come un innovativo modello di mercato per prodotti digitali Business-to-Business (B2B):

  • È un mercato in quanto definisce regole e architetture software di riferimento per distribuire e scambiare prodotti digitali B2B in ambito concorrenziale ed aperto.
  • È un modello in quanto può essere istanziato in contesti ed ambiti diversi, senza legami stretti con un unico operatore.
  • È innovativo perché ha come obiettivo la distribuzione di prodotti digitali attraverso moderni meccanismi di vendita, provisioning e gestione.

È un mercato con tre tipi di prodotti:

  • Asset informativi scaricabili. Per esempio, data set pubblici e ontologie.
  • Servizi applicativi richiamabili (in particolare, Application Programming Interface o API).
  • Asset infrastrutturali instanziabili (in particolare, servizi IaaS – Infrastructure as a service – e PaaS – Platform as a Service).

Alla fine questo è Gaia-X: un modello di mercato concorrenziale per prodotti B2B.

Il tutto deve basarsi anche su nuovi servizi che riconoscano e qualifichino il valore degli asset. Non basta più la certificazione amministrativa e finanziaria. Serve anche quella che qualifica il valore economico del digitale, come mi spiega sempre l’amico Carlo Alberto Carnevale Maffè.

Cosa stiamo facendo noi? Stiamo cercando di rendere concrete e stabili nel tempo le idee di Gaia-X? Oppure continuiamo a vedere la PA e le imprese con le lenti del passato?

Siamo sinceri con noi stessi, nel pubblico come nel privato. Diciamoci la verità. Credo infatti questo sia il secondo passaggio essenziale per divenire resilienti: dirci la verità. Anche perché i fatti ci metteranno prima o poi di fronte alla verità. Comunque. Volenti o nolenti.

Esempio: per anni ci siamo illusi che l’innovazione fosse sui front-end. Poi è arrivato covid e abbiamo vissuto il caos dei sistemi informatici a silos incapaci di dialogare e interoperare: le amministrazioni non si parlano. Non nascondiamoci dietro a banali scuse: la privacy così come la burocrazia sono fattori non irrilevanti, ma non certo la causa principale dei nostri problemi. Ancora, sappiamo bene che la sfida è sulle piattaforme, non sulle app. Diciamoci la verità: per anni, lustri, decenni, abbiamo pensato ad altro, magari perché non sapevamo che fare e come farlo.

Altro esempio: Oggi tutti parlano di sovranità tecnologica ed indipendenza. Anni fa noi tecnologici venivamo sbeffeggiati da quelli che dicevano che “i problemi sono altri” e “i treni sono passati”. Erano stupidaggini quelle che si dicevano anni fa e sono spesso banalità quelle che sento quotidianamente ripetere oggi. Questa è la verità.

In generale, quali sono i fatti? Quali sono le scelte concrete che ne conseguono? Dove mettiamo cuori, soldi, impegno, decisione politica forte? Dove?

La realtà può essere ignorata, mistificata, distorta. Ma la realtà non ha paura del tempo e alla fine vince su tutto e tutti. La realtà è la massima espressione di resilienza: nulla la può intaccare o distorcere o indebolire. La realtà è sempre coerente con se stessa, non esistono realtà alternative, per quel che si sa quanto meno. I fatti sono fatti, sono quelli, anche quando cercassimo di piegarli ai nostri desideri e alle nostre ambizioni. Al massimo, possiamo nasconderli e ignorarli, o mentire. Ma la verità dei fatti lì rimane, che ci piaccia o meno.

Per essere resilienti dobbiamo ripartire dalla verità dei fatti e operare per cambiarla se la sua struttura attuale non aiuta il nostro percorso di crescita sociale ed umana. Lo dobbiamo fare seriamente, nel tempo, in modo per l’appunto resiliente. È questo il nostro compito e, me lo si lasci dire, il nostro dovere.

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Alfonso Fuggetta
La bella terra

Insegno Informatica al Politecnico di Milano e lavoro al Cefriel. Condivido su queste pagine idee e opinioni personali.