Per promuovere la digitalizzazione serve “la spinta gentile”

Pubblicato su AgendaDigitale.eu il 2 Maggio 2019

Alfonso Fuggetta
La bella terra

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L’Italia si trova in fondo a tutte le classifiche sulla digitalizzazione. È anche un paese dove tante sono le paure, le resistenze, le lobby che operano per frenare, limitare o comunque complicare ogni tentativo di innovazione. Inoltre, abbiamo una macchina pubblica che è spesso cronicamente incapace di promuovere innovazione. Come venirne fuori? Non servono mega azioni pubbliche o faraonici progetti top-down, quanto rimuovere gli ostacoli all’innovazione e introdurre elementi abilitanti affinché essa risulti conveniente a chi la adotta e disincentivi gli altri, promuovendo una distribuzione dei benefici tra tutti gli “stakeholders” a partire da quelle imprese che più soffrono i traumi di questa fase di progressiva digitalizzazione.

Come fare? Vediamo un esempio alquanto paradigmatico: la promozione dei pagamenti digitali e l’evoluzione verso un’economia dove l’uso del contante sia marginale.

L’Italia ha una diffusione dei mezzi di pagamento cashless tra le più basse in Europa: solo il 14% delle transazioni, quasi la metà rispetto alla media UE del 26%. Anche il numero di transazioni pro capite è molto ridotto: 43,1 volte all’anno, contro una media UE quasi tripla: 116,6 volte/anno (Fonte: Ambrosetti, 2018). Una maggiore diffusione degli strumenti di pagamento cashless porterebbe molti benefici: minori costi sociali per custodia, erogazione e trasporto dei contanti, più efficaci strumenti per l’erogazione mirata di sussidi di welfare, disincentivazione dell’evasione al dettaglio, ponendo le basi per una fiscalità più efficiente ed equa.

La promozione dei pagamenti digitali è tuttora combattuta per una serie di motivi che, a seconda di come sono proposti e interpretati, variano dal comprensibile al pretestuoso.

Una delle obiezioni più comuni è che i pagamenti digitali sarebbero difficilmente utilizzabili dalle persone anziane. Si tratta di un problema in parte infondato (oggi tantissimi anziani usano strumenti digitali e ci sono applicazioni molto semplici da usare anche per persone non esperte) e in parte legato ad un ricambio generazionale che sta avvenendo.

Oltre a un infondato timore per la sicurezza e per la privacy, un altro tra gli argomenti utilizzato dai detrattori degli strumenti di pagamento cashless è che i costi legati alle transazioni digitali sarebbero troppo alti e fuori dalla portata di piccoli commercianti e imprenditori. In realtà, con la recente attuazione del regolamento UE n. 751/2015 — c.d. IFR Interchange Fee Regulation — relativo alle commissioni interbancarie sui pagamenti, i costi delle transazioni sono vincolati a non superare limiti alquanto bassi (0,2%–0,3% a seconda dei casi). Banca d’Italia, con il provvedimento dell’11 ottobre 2018, ha inoltre previsto che per le operazioni nazionali tramite carte di debito o prepagate i prestatori di servizi di pagamento possano applicare una commissione interbancaria non superiore a 0,05 euro per transazione, a patto che la somma delle commissioni interbancarie dello schema di carte di pagamento non superi mai lo 0,2 % del valore totale annuo delle operazioni nazionali effettuate tramite detti prodotti all’interno di ciascuno schema di carte di pagamento.

Ciò nonostante, i dubbi e le resistenze persistono. Come fare a superarle e, in particolare, cosa può fare lo Stato e cosa possono fare i privati?

Lo Stato ha una leva principale sulla quale agire: la soglia di uso del contante. Abbassandola forza l’uso del digitale. Al contrario, alzandola promuove o comunque consente un utilizzo molto diffuso del contante. Lo Stato dovrebbe abbassare (magari a tappe) la soglia di uso del contante e al tempo stesso fare un patto con le imprese secondo uno schema simile alle clausole di salvaguardia: diminuire la pressione fiscale in modo automatico e proporzionale all’aumento del gettito corrispondente all’incremento dell’uso del digitale. Inoltre dovrebbe diminuire i controlli e gli adempimenti fiscali in capo alle aziende e agli imprenditori che adottino una piena trasparenza grazie al digitale. Analogamente, le banche e i gestori delle carte di credito potrebbero adottare un principio simile per quanto riguarda i costi delle transazioni: all’aumentare del loro numero, si diminuisce ulteriormente il loro costo unitario. In questo modo, tutti avrebbero convenienza a essere “della partita”.

Ovviamente, il tema è complesso e non ho l’ambizione di esaurirlo in poche righe. Molti colleghi e studiosi lo stanno studiando da tempo e servono approfondimenti e valutazioni di fattibilità non banali. Ma quanto qui accennato è un spunto di carattere metodologico per riflettere su come sia possibile affrontare e aggirare i problemi che ci stanno bloccando. La strada è quella di passare da un verticismo sterile ad un “incentivo gentile” – nudging come spiega il Nobel Richard Thaler–che renda conveniente essere virtuosi e disincentivi il non esserlo. È una forma di distribuzione del vantaggio che deve incentivare tutti a ricercarlo e promuoverlo.

Passando dal caso particolare al tema generale della promozione dell’innovazione, i processi di cambiamento dovrebbero essere affrontati applicando su ampia scala quanto visto nell’esempio dei pagamenti digitali e dovrebbero quindi basarsi su due passaggi chiave:

  • Distribuire il vantaggio tra tutti gli stakeholder, attraverso meccanismi e regole che definiscano in modo concreto come tale vantaggio si manifesti per ciascuno di essi.
  • Nell’ambito di tali meccanismi e regole, lasciare campo all’iniziativa privata senza dover aspettare necessariamente l’intervento pubblico.

In generale, o troviamo nuovi modelli che risolvano in modo non convenzionale i problemi, oppure continueremo ad esserne vittime.

Vogliamo provarci?

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Alfonso Fuggetta
La bella terra

Insegno Informatica al Politecnico di Milano e lavoro al Cefriel. Condivido su queste pagine idee e opinioni personali.