Russia, campi di concentramento per gay. E il mondo, inerme, guarda

Detenuti, picchiati e in alcuni casi uccisi. Il tremendo destino di chi ha un orientamento sessuale diverso da quello “tradizionale”

La Bilancia
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4 min readApr 12, 2017

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Manifestanti a sostegno dei diritti della comunità LGBT in Russia.

In questi giorni numerose testate giornalistiche stanno riportando la notizia secondo la quale in Cecenia, una repubblica della Federazione Russa, sarebbero in atto persecuzioni nei confronti delle persone omosessuali. Stando alle testimonianze e ai racconti disponibili, più di 100 uomini sono stati arrestati, detenuti e sistematicamente torturati. A fornire per primo uno sconcertante quadro della situazione è stato il settimanale Novaya Gazeta, il quale si è occupato di raccogliere e riportare testimonianze rilasciate da coloro che sono riusciti a fuggire.

L’inizio delle persecuzioni.

Tutto avrebbe avuto origine a partire dal mese di febbraio, quando la polizia ha arrestato un uomo sotto effetto di stupefacenti. Da un controllo del suo telefono cellulare, sarebbe emersa la massiccia presenza di contenuti — principalmente foto, video e messaggi di testo — a sfondo omosessuale. Da qui le autorità sarebbero riuscite a risalire ad una serie di contatti della persona arrestata e a far partire la prima ondata di repressione nei confronti delle persone omosessuali coinvolte. A fine marzo invece un altro episodio ha fatto scattare la seconda ondata di violenza. Un gruppo di attivisti appartenenti all’organizzazione “Gayrussia.ru”, la quale si occupa di combattere per i diritti delle persone appartenenti alla comunità LGBT, ha richiesto una serie di permessi al fine di poter organizzare delle parate a sostegno dei diritti degli omosessuali. Una richiesta che, a quanto sembra, gli attivisti già sapevano sarebbe stata respinta, a cominciare da Nikolai Alekseev, giornalista che ha guidato l’azione dell’organizzazione. L’obiettivo di farsi respingere la domanda era, infatti, quello di poter successivamente ricorrere alla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo. Un atto questo che ha scatenato vari movimenti di protesta e che ha dato il via alla seconda ondata di repressione nei confronti delle persone omosessuali.

Detenuti ad Argun.

Una ricerca spasmodica degli individui da colpire da parte delle autorità e poi violenze e torture che, in casi estremi, hanno portato anche alla morte. Novaya Gazeta ha, dunque, deciso di occuparsi della questione. In seguito ad un primo articolo attraverso il quale si denunciava questa situazione, il settimanale russo ha iniziato a ricevere testimonianze sempre più numerose da parte di persone che hanno subito maltrattamenti e che sono riuscite successivamente a fuggire o che si trovavano ancora in Cecenia, nascoste. La testata giornalistica ha così deciso di collaborare alla creazione di una linea telefonica al fine di raccogliere ulteriori dichiarazioni da parte di persone che abbiano subito trattamenti di questo tipo nel periodo di detenzione. Detenzione che avviene principalmente in alcune ex caserme militari della regione. Una di queste è stata individuata nella città di Argun.

I segni delle violenze subite dai prigionieri.

Qui i prigionieri vengono sottoposti a torture, maltrattamenti e intimidazioni varie. “Ci hanno fatto l’elettroshock. Era molto doloroso. Ho resistito finché non ho perso i sensi e sono caduto a terra. Ci picchiavano con dei tubi. Sempre sotto la vita. Ci dicevano che siamo ‘cani che non meritano di vivere’”: questa è solo una delle tante testimonianze giunte da chi è riuscito a scappare e a sopravvivere. Al contrario di molti che, invece, non ce l’hanno fatta. Perché spesso chi si è rifiutato di collaborare, di fare i nomi di altre persone omosessuali — questa una delle principali richieste dei detentori — è stato torturato fino alla morte.

Uno sguardo generale sulla Russia.

Ma perché è così difficile denunciare casi come questi in Cecenia? Eloquente sotto questo punto di vista è stata la risposta alle accuse di Alvi Karimov, portavoce del leader ceceno Ramzan Kadyrov: “Non si possono detenere e perseguire persone che semplicemente non esistono nella Repubblica. Se ci fosse gente simile in Cecenia le forze dell’ordine non avrebbero bisogno di avere a che fare con loro, perché i loro parenti li manderebbero in un luogo da cui non si potrebbe più fare ritorno”.

Il leader ceceno Ramzan Kadyrov.

Parole che indicano chiaramente come l’odio e l’emarginazione nei confronti di persone che hanno un orientamento sessuale differente da quello così definito “tradizionale” siano profondamente radicati all’interno della società, al punto di dover temere addirittura la propria famiglia. Si tratta del cosiddetto “delitto d’onore”, dove non arriva il governo arrivano le persone più vicine a te. Un discorso questo che non riguarda solamente la Cecenia, bensì la Russia intera. Una società molto conservatrice all’interno della quale l’omosessualità è stata declassata a rango di malattia mentale. Sono state inoltre promulgate leggi che vietano qualsiasi tipo di propaganda, incluso parlare in difesa dei diritti degli omosessuali o distribuire materiale che promuova le richieste dei gay o ancora far passare l’idea che le relazioni tra persone dello stesso sesso siano uguali a quelle etero. Una legislazione che ha portato negli anni a numerosi arresti di persone che sostengono i diritti della comunità LGBT e che ha fatto crescere il numero di crimini dettati dall’omofobia.

Le organizzazioni internazionali dei diritti umani e le stesse istituzioni europee si sono più volte dichiarate contrarie a queste leggi e hanno chiesto, senza successo, che queste queste persone fossero protette e difese da attacchi d’odio ingiustificati. Una problema tremendo che, nonostante ci troviamo nel 2017, non lascia intravedere una soluzione.

Marco Sacchi

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