Erdogan, la sua Turchia e il suo referendum

La Bilancia
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4 min readApr 18, 2017

Erdogan ha vinto il referendum in Turchia che gli conferisce più poteri. Il voto è però macchiato dal dubbio del broglio e, prima, da misteri su un golpe mai risolti.

Recep Tayyip Erdoğan, Presidente in carica della Turchia.

Il golpe.

Quello che si sa, di certo (e non filtrato dal governo turco) sul colpo di stato in Turchia per deporre Erdogan, è che avvenne il 15 luglio 2016, che gli artefici furono l’Esercito, la Marina militare, l’Aeronautica militare e la Polizia militare. Si consumò in meno di 12 ore, costò la vita a circa 300 persone e finì con l’arresto di tutti i militari coinvolti da parte della Polizia turca. Erdogan pare fosse su un aereo di stato che girava in tondo su Instanbul nell’attesa che qualche nazione lo accogliesse in quanto rifugiato politico (pare che la Germania abbia negato tale autorizzazione). Quello su cui ci sono ancora molti dubbi riguarda proprio questi numeri ed alcune dinamiche. Non sono pochi i turchi stessi convinti che il colpo di stato non sia stato altro che una messa in scena dello stesso Erdogan per riunire gli animi nazionalisti, allora sempre più frammentati su diverse questioni, per assicurarsi un potere più forte e duraturo. I dubbi riguardano la troppa facilità con cui i militari, armati di tutto punto, si siano arresi a dei semplici poliziotti (un colpo di stato è considerato atto di alto tradimento e, nella maggior parte dei casi, punito con la morte. Chi lo attua è consapevole che la resa resta comunque una possibilità estrema); l’esiguo numero di morti, “appena” 300, a dispetto del grande dispiegamento di forze, su uno stato dalla popolazione di 74 milioni di abitanti. Tutte le altre notizie, i racconti e lo stesso colpevole del golpe, sono stati indicati dallo stesso Erdogan e dal governo turco successivamente, senza mai una verifica accurata.

Un manifesto a sostegno del “Sì”, in turco Evet, alla riforma costituzionale.

Il referendum costituzionale.

In una Turchia divisa in due tra i sostenitori di Erdogan e i suoi oppositori, ecco affiorare l’idea di una riforma costituzionale che ridistribuisca i poteri fondamentali dello stato nelle mani di una sola persona. Questo per creare una figura forte che eviti un nuovo tentativo di golpe e possa agire con più rapidità snellendo la macchina burocratica. I sostenitori del sì, in turco “Evet”, sostengono che la riforma sia necessaria per interrompere la lunga scia di instabilità politica, di governi di larghe intese e per alleggerire la macchina burocratica in modo da rendere più efficiente il governo. I detrattori del no, in turco “Hayir”, sostengono che l’accentrazione di tanti poteri in un solo uomo non sarebbe, già di per sé, la fine del regime democratico poiché si bypasserebbero troppi organi di controllo, a prescindere dal fatto che quella persona sia eletta o meno. Uno dei cavalli di battaglia degli oppositori della riforma è una frase pronunciata dallo stesso Erdogan in uno dei suoi comizi che recita: Ci sono già altri esempi nel mondo [riferito alla forma di governo promossa dalla riforma da lui presentata]. Si possono vedere quando si guarda alla Germania di Hitler”. (Fonte: The Guardian). Una frase che ha scatenato proteste da parte di tutta la Turchia e per la quale lo stesso Erdogan ha dovuto scusarsi con una nota ufficiale presentata dal suo governo.

Le modifiche apportate dalla riforma costituzionale voluta da Erdogan. (Fonte: ISPI)

Sospetti brogli.

Lo ha detto ufficialmente l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), ma era una cosa che si era già intuita prima: le elezioni in Turchia sono macchiate dal sospetto di brogli. Non un sospetto qualunque, un sospetto reale causato dal cambio delle regole elettorali quando ormai la macchina era in movimento. Sono state, infatti, ammesse molte schede non vidimate, ovvero non recanti il timbro ufficiale, e quindi falsificabili. Una falla nel sistema elettorale così palese da far calare un velo di sospetto più che legittimo vista anche la vittoria risicatissima, in termini di percentuale, con cui il fronte dell’Evet ha ottenuto la vittoria. Sospetti, perché prove non ce ne sono, che basterebbero a invalidare una qualunque elezione in uno stato democratico e a gettare un paese nel caos.

Cosa cambia ora.

Il cambiamento per l’Europa è minimo ma per la Turchia sarà eclatante. La riforma prevede infatti l’abolizione della figura del primo ministro e l’introduzione di un Presidente, eletto direttamente dal popolo, che resta in carica 5 anni e non necessita della fiducia del Parlamento. Per fare un raffronto con l’Italia, sarebbe come se si unissero la figura del Presidente del Consiglio e del Presidente della Repubblica in un’unica carica eletta dal popolo e che sia un organo indipendente dal parlamento, quasi superiore per certi aspetti visto che il dialogo non sarebbe bivalente.

Dario Jovane

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