La nuova moneta del Movimento 5 Stelle
Dal blog di Peppe Grillo arriva un netto cambio di rotta sull’euro: non più addio, ma una “moneta” fiscale nazionale da affiancargli
In vista delle prossime elezioni e con la consapevolezza di essere tra i primi partiti in Italia (se non proprio il primo) il Movimento 5 Stelle ha iniziato la stesura del programma. Tra le proposte, su cui poi gli iscritti saranno chiamati a votare, si è visto un notevole cambio di rotta rispetto alle politiche di rottura e antieuropeiste che da sempre sono la caratteristica principe del movimento. La più emblematica tra queste è quella riguardante l’euro dove si è passati da un “vaffa” a un “parliamone”. L’idea, infatti, è quella di non uscire dai trattati riguardanti la moneta unica ma di aggirarli. Come? Semplice, creando una “moneta” fiscale, un qualcosa che possa ridare allo Stato lo stesso potere d’acquisto di quando aveva il potere di battere moneta.
Cos’è la “moneta” fiscale.
Il termine “moneta” è improprio, sarebbe più opportuno chiamarli “Certificati di credito fiscale”. In parole povere, sarebbero un mezzo con cui lo stato potrebbe spendere “senza spendere”, poiché al centro non ci sarebbe una valuta ma dei crediti sulle imposte future. Il loro utilizzo riguarderebbe principalmente i rapporti economici tra Stato e imprese e, in caso si decida di renderli cedibili, anche i privati, ma qui la cosa si fa più complessa. Per fare un esempio: se lo stato dovesse costruire un ponte, per pagare l’azienda costruttrice potrebbe utilizzare sia il classico pagamento in euro, sia uno sgravio fiscale per i due anni successivi. Insomma, lo Stato retribuirebbe l’azienda per il lavoro svolto non facendole pagare le tasse future.
Gli aspetti negativi.
Se gli aspetti positivi saltano subito all'occhio (una maggiore possibilità di spesa per lo Stato e più lavoro per le aziende, oltre all'arrivo di una certa flessibilità fiscale), gli aspetti negativi vanno ricercati un po’ più a fondo. Quello che potrebbe andare storto è l’insorgere di un enorme buco finanziario qualora non si verificasse una crescita economica. Sì, perché la macchina dei crediti fiscali potrebbe funzionare solo a patto che l’economia ritornasse a crescere, si creasse guadagno per le imprese, si generasse lavoro, nuovi contratti, fino ad arrivare all'aumento del fatturato delle imprese e quindi un maggiore afflusso di soldi derivante dalle normali tasse. Insomma, il sistema funzionerebbe solo in un circolo virtuoso dove lo Stato fosse in grado di coprire le “mancanze” di introiti generate dai crediti fiscali (è vero che otterrebbe del lavoro ma perderebbe anche degli introiti futuri) grazie a un aumento delle tasse sul fatturato delle aziende (aumento da non intendere sulla percentuale che lo Stato richiede ma, proprio perché le imposte sono principalmente una percentuale sul fatturato, aumentando quest’ultimo si aumenta la mole di denaro che entra nelle tasche dello Stato), un circolo, insomma, che non scontenterebbe nessuno, ma che se non si verificasse potrebbe portare a un disastroso buco di bilancio (le tasse sono il principale introito dello Stato, se le usa come pagamento per le imprese deve assicurarsi che i soldi rientrino in qualche modo, oppure tanto valeva indebitarsi con l’euro).
L’Europa e la Bce.
Se è vero che una moneta fiscale non violerebbe i trattati europei è anche vero che la politica, soprattutto quella dell’Unione Europea, vive di un universo di equilibri, alle volte tipici della finanza, fatti di messaggi e segnali più che di evidenze. L’approvazione di una “moneta” fiscale sarebbe vista, dal resto d’Europa e del mondo, come una sfiducia nei confronti dell’euro e come un primo passo da parte dell’Italia verso l’abbandono, una cosa che sarebbe del tutto inaccettabile per Bruxelles. A tutto questo bisognerebbe sicuramente aggiungere una possibile reazione negativa della Banca centrale europea che potrebbe rendere molto complicata la vita all’Italia se la cosa non dovesse piacergli.
Il cambio di rotta del M5S.
Ma perché improvvisamente il Movimento 5 Stelle si è lanciato in un cambio di rotta tanto drastico? Se è vero che l’uscita dall'euro non è presente nel programma del Movimento né nello statuto di fondazione, è anche vero che era parte del suo dna. Già nei giorni dei primi “V-Day” Grillo non si era dimenticato di elargire un “vaffa” per la moneta unica. Eppure, negli ultimi tempi di smussamenti e arrotondamenti ai tanti spigoli e alle tante prese di posizione forti il Movimento 5 Stelle ne ha fatti parecchi. Se si dovesse fare un’analisi al riguardo si potrebbe arrivare facilmente alla conclusione che il Movimento 5 Stelle non stia più cercando di fare un programma per essere un buon partito d’opposizione, ma stia iniziando a ragionare come partito di governo. Ecco allora che l’euro non è più un nemico assoluto, ma più qualcosa con cui confrontarsi ed ecco che gli avvisi di garanzia non sono più una condizione sufficiente a richiedere le dimissioni da un incarico politico. E in una situazione in cui il centrodestra ha serie difficoltà a trovare un’identità, il centrosinistra è sempre più frammentato (nonostante Renzi sia ancora il cavallo da battere), chissà che il prossimo passo verso questo ammorbidimento non possa riguardare quella regola non scritta che dice “non si fanno alleanze”. Molti storceranno il naso, ma uno dei partiti più papabili a un’allenaza con Grillo sembra proprio la Lega Nord di quel Salvini che tanto ha in comune col movimento, almeno sulla carta, in quanto a radicazione sul territorio e a comunicazione. E chissà che con la giusta alleanza domani non si possa avere un governo di coalizione M5S-Lega. Fantascienza? Lo era anche un Governo di larghe intese eppure è durato quasi 5 anni ormai.
Un’alleanza tra Lega e M5S non sarebbe troppo assurda se si prendono in considerazione tutti i vari attestati di stima portati da Beppe Grillo negli anni della fondazione del suo partito. Anche a livello comunicativo, i due partiti sono da sempre molto simili e la cosa non è secondaria: la comunicazione, infatti, viene scelta in base al tipo di elettori che si intende portare al voto, una comunicazione simile vuol dire un bacino elettorale simile. Tralasciando la politica antisistemica, tipica dei partiti di natura populista quali Lega e M5S, un altro grande punto di affinità è la mancanza di una chiara identità tra “destra e sinistra”. Per quanto la Lega venga comunemente identificata come un partito di centrodestra, questa concezione deriva più da equilibri di parlamento e di partiti italiani che da una vera e propria ideologia. Quest’ultima è una caratteristica molto affine a quella del M5S che si troverebbe snaturato se incasellato in una definizione di “destra” o “sinistra” appunto.
Dario Jovane