Tassa per i “paperoni”: tutto ciò che c’è da sapere
E’ chiamata in maniera errata “flat tax” e ha l’obiettivo di attrarre investitori. Il punto sul nuovo provvedimento fiscale appena approvato dal Senato — compreso un po’ di sano fact checking
Che cosa è la “flat tax”?
Pochi giorni fa è stato pubblicato il decreto attuativo di una norma approvata dal Governo Renzi nella legge di Bilancio 2017: la cosiddetta “flat tax” (termine scorretto, come vedremo più avanti). La “tassa per i paperoni”, come molti giornali sarcasticamente hanno definito, è rivolta a tutti coloro che, dotati di un reddito di un certo livello, intendono trasferire la propria residenza fiscale in Italia, beneficiando di un’ imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero (non per quelli prodotti in Italia, che saranno ancora soggetti a tassazione piena). Nello specifico, l’opzione introdotta nella LdB 2017 prevede la possibilità del pagamento tributario attraverso imposte forfettarie dal valore di 100mila euro l’anno; beneficio estendibile anche a familiari mediante il pagamento di un forfait da 25mila euro. La condizione per usufruire di questa agevolazione è l’aver trascorso fuori dall’Italia nove degli ultimi dieci periodi di imposta (lo spazio di tempo a cui si fa riferimento per imputare al contribuente un’ obbligazione tributaria, e che normalmente coincide con l’anno solare), quindi non possono usufruirne coloro che si sono trasferiti all’estero prima degli ultimi dieci anni.
— A che scopo?
La volontà di questa norma è quella di attirare nel nostro paese gli High Net Worth Individuals (HNWI), acronimo utilizzato nel mondo finanziario per indicare persone dotate di un alto patrimonio. In parole povere: possibili investitori. Questo modus operandi fa parte del sistema di tassazione di molti paesi europei (Irlanda, Olanda, Spagna, Portogallo e Malta per esempio), soprattutto dopo il referendum sulla Brexit. Infatti, secondo molti analisti, con l’uscita effettiva del Regno Unito dall’Unione Europea molti miliardari potrebbero decidere di lasciare il paese anglosassone. Paese che, proprio grazie ad un regime fiscale simile (il famoso “resident but not domiciled”), era stato precedentemente capace di attrarre a Londra nomi di investitori importanti quali quello del russo Roman Abramovich, patron del Chelsea, e quello del miliardario indiano Lakshmi Mittal, capo del colosso siderurgico Arcelor Mittal. Anche Valentino Rossi ai tempi si fece conquistare da questo regime.
Se così fosse dunque questi HNWI dovranno decidere un altro paese della Comunità Europea in cui fissare la propria residenza fiscale; ed è qui che entra in gioco il provvedimento, mettendo in pratica tentativo di far entrare in Italia possibili investitori attraverso un regime fiscale più morbido, con la speranza di portare capitali e sostanzialmente posti di lavoro.
— Flat tax? Non proprio
Il termine “flat tax” per descrivere questa imposta è tuttavia sbagliato. Esso infatti si riferisce ad un sistema fiscale proporzionale, che prevede un’unica aliquota valida per tutti. È il caso ad esempio della Russia, che ha un’imposta sul reddito di questo tipo: indipendentemente dal reddito, tutti pagano la stessa percentuale.
Quindi, più che di flat tax, sarebbe meglio parlare di tributo capitario, cioè di un’imposta a somma fissa stabilita in misura uguale per tutti i contribuenti.
— Art. 53 e “flat tax”: c’è un problema di progressività?
Da alcuni lati si è stato sollevato un possibile problema per questo tipo di provvedimento, ovvero la presunta e possibile incompatibilità con la nostra Costituzione. L’articolo 53 della Costituzione infatti recita testualmente che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» e che «il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Questo aspetto secondo alcuni potrebbe far risultare il tutto incostituzionale. D’altra parte invece chi si è occupato della norma ritiene che l’incostituzionalità non può esserci, in quanto il beneficio vale soltanto per i redditi prodotti all’estero, mentre su quelli italiani il sistema tributario rimane uguale a quello degli altri.
Al di là del dibattito in merito, è daauspicio che questo provvedimento possa aiutare il rilancio dell’economia italiana, soprattutto a partire dall’occupazione giovanile. Una norma di questo tipo, infatti, sarebbe utile solamente nel caso in cui le agevolazioni per la fetta di cittadini ricchi servissero davvero a quell’altra fetta, la più grande, di cittadini al di sotto della soglia della ricchezza. Diversamente, si rivelerebbe un inutile buco nell’acqua. Una cosa è certa: per poter funzionare, il regime fiscale che il Governo ha intenzione di costruire dovrà riuscire a sbaragliare la concorrenza dei sistemi fiscali degli altri paesi. Tutti alla ricerca di diventare la nuova City londinese.
Marco De Vincenzi