Aldo Moro

La Boheme Redazione
La Bohème
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4 min readJun 7, 2023

di Pietro Wilhelm Malmsheimer

Fu così che il 9 maggio 1978 Aldo Moro morì e venne ritrovato in una Renault 4 rossa. Queste vicende, dal compromesso storico alla morte di Moro, il sequestro in via Montalcini, il mancato intervento della DC e le lettere scritte durante la prigionia, sono destinate a passare la storia; è per questo che reputo personalmente interessante la personale interpretazione della vicenda da parte del protagonista. In questa finzione narrativa provo a immaginare le opinioni e i pensieri seguenti alle vicende di Aldo Moro.

Questo testo non si pone al fine di essere letto come un saggio e non ha fine informativo, ma è invece un esperimento che si pone come fine l’intrattenimento. Come fonti sono state usate le lettere scritte da Aldo Moro durante la prigionia.

Aldo Moro

«E quindi sono morto. Ho tentato fino alla fine di salvare il salvabile; ho provato fino all’ultima lettera a provare a convincere i miei rapitori a liberarmi e, ancora di più, la maggioranza e il partito ad abbandonare la linea della fermezza. Non ci sono riuscito.

Stranamente sento una sensazione di leggerezza, non mi ero mai chiesto come mi sarei sentito dopo essere stato liberato da una prigionia durata 55 giorni, ma a quanto pare la sensazione è questa. Sono morto, ma ancora non riesco a comprendere la decisione del mio partito e del Partito Comunista: si è aperta una spirale (cfr. let. 3, f. 3) che nessun partito riuscirà a fronteggiare e contrastare, ne verranno tutti assorbiti e si concluderà con una rottura irrimarginabile nella politica che come primo sconfitto vedrà la Repubblica.

Ah, la Repubblica. Questa stessa, ora comandata da statisti con cui ho collaborato per metà della mia vita, adesso viene messa in pericolo da questi per superficialità e cecità. Ritengono il risultato politico e il partito più importanti dello Stato stesso; non capiscono, inoltre, che questo risultato è contingente e labile e che queste loro scelte, a lungo termine, porteranno a un peggioramento politico inevitabile.

Non capisco questa scelta. Non solo per questi motivi, ma soprattutto perché la linea della fermezza coincide con una mancanza di umanità e di assunzione di responsabilità. È preoccupante che nell’Italia democratica del 1978, nell’Italia del Beccaria (let.3, f. 6), io venga condannato a morte; ma ancora più preoccupante è che questa scelta venga presa anche dallo Stato, oltre che da un gruppo eversivo.

Lo Stato e la classe dirigente hanno deliberatamente scelto di condannarmi a morte. La scelta è dipesa da loro e non mi hanno concesso la grazia. Oltre a non comprendere la scelta, sia politicamente che umanamente, dei miei compagni di partito, non comprendo la scelta presa dalla dirigenza del Partito Comunista. Mi sono speso così tanto per giungere al compromesso e tutto il mio lavoro giunge al termine con la mia morte, la cui prossimità non è stata mai messa in discussione.

Un’altra accusa che muovo nei confronti dei miei colleghi di partito è il loro categorico rifiuto nei confronti dell’assunzione delle proprie responsabilità. Io ho risposto all’operato di tutto il gruppo dirigente della D.C. (let. 1, f. 2,3), e proprio per questo mi aspettavo un aiuto, che fosse di carattere umanitario o politico, ma non è arrivato.

La mia morte, oltre a causare un danno alla mia persona, ha causato un danno anche allo Stato e i miei colleghi di partito non hanno fatto nulla per evitare tutto ciò! Ho pagato io personalmente per tutte le nostre colpe unicamente perché. per problemi organizzativi, ero affiancato da una scorta del tutto insufficiente alle mie reali necessità e totalmente inadatta a fronteggiare i possibili pericoli. Di nuovo, questo delitto ritrova come perno la superficialità degli organi di potere.

Ritengo, inoltre, che la linea della fermezza sia anacronistica: i partiti sostenitori di questa si sono rifiutati di liberare dei carcerati in cambio della mia salvezza.

Questi partiti, nell’Italia del Beccaria, hanno deciso di privare un uomo della vita (un bene non riottenibile), per non mandarne un altro in esilio (un diritto negabile e riottenibile in qualsiasi momento). La liberazione e l’esilio di prigionieri per una maggiore stabilità politica in Italia erano già avvenuti (si pensi al caso dei palestinesi, a cui partecipai anch’io), eppure tutti, a parte i socialisti, hanno rifiutato l’ipotesi di contrattare con i terroristi senza un apparente motivo.

In ogni caso, alla fine non sono riuscito a salvarmi. Ho tentato in tutti i modi immaginabili di preservare l’integrità dello Stato e del mio partito, ma non sono stato ascoltato. Ho scritto a chiunque: al presidente della Camera dei deputati, al presidente del Senato, al presidente del Consiglio, al presidente della Repubblica, diverse volte al segretario della Democrazia Cristiana, al ministro dell’Interno e al partito stesso, chiamando in ogni lettera allo spirito di umanità, consigliando soluzioni, esprimendo supporto alla linea tenuta dal Partito Socialista e pregando per un ricongiungimento con la mia famiglia.

Purtroppo sono morto: tutto ciò che ho fatto, a quanto pare, non è stato abbastanza, neanche pregare Iddio».

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