“Coffee and Cigarettes” di J. Jarmusch

francesca pinto
La Bohème
Published in
4 min readFeb 9, 2021

In questi giorni mi sono sempre di più avvicinata ad un regista che in pochi conoscono ma che, con i suoi film, riesce sempre a essere moderno e contemporaneo, a non stancare mai: Jim Jarmusch. Avendo visto come suo primo film “i morti non muoiono” del 2019, ho deciso di ripercorrere la sua carriera cinematografica a ritroso e, finalmente dopo giorni di rimandi, mi sono messa e ho visto uno dei suoi film miglior realizzati: “ Coffee and Cigarettes” del lontano 2003. Emblema di un cinema nosense, undici cronometraggi che si susseguono intervallati da semplici titoli scritti in caratteri cubitali e collegati tra di loro da un fil roug: il magnetico caffè accoppiato a una ottima sigaretta Camel o Marlboro.

Basato sulla leggerezza dialogica, scene strutturate come semplici sketch tra personaggi e in più coronati da una palette di colori unicamente bianca e nera, quasi fossimo in un vecchio film anni 60, “ Coffee and Cigarettes” è un film leggero come l’ultima boccata di fumo di una sigaretta appena finita.

Film in cui la massima espressione di esso viene catalizzata in una surrealtà dove non vi è da impegnarsi, dove non vi è necessita di spremere le meningi per andare a capire il significato remoto dietro la pellicola, perché semplicemente, non c’è. Il regista americano dimostra tutta la sua destrezza nel dirigere e montare un film “senza senso” che si alimenta di evanescente, che possiede una sceneggiatura meno corposa del liquido scuro versato nelle tazzine sparse su ripiani quadrettati, e proprio per questo impregnata di una irrealtà che collega idealmente tutti gli sketch dell’operazione cinematografica.

Caffè e sigarette sono una combinazione anche in virtù di quello slancio che ha portato l’autore del soggetto a sviluppare, attraverso il tempo, un lavoro di incastro e espansione che “ Coffee and Cigarettes” vede cominciare nel 1986, per poi concludersi con la sua forma più compatta e uniforme nei primi anni Duemila. Non solo il lavoro perfettamente eseguito di Jim Jarmusch rendono questo film scorrevole e mai ripetitivo ma anche il poderoso cast presente in esso: abbiamo un Bill Murray colpevole ( ovviamente) del vizio del fumo e intrappolato nella sua ossessione per le sigarette, che è semplicemente Bill Murray, attore conosciuto e in grado di far creare stupore nel viso degli attori sulla scena; una Cate Blanchett giovanissima che interpreta ego ed alter ego di due cugine separate dalla concezione bigotta di classe e da due caratteri totalmente diversi; mentre Alfred Molina e Steve Coogan si tramutano in due veritieri cugini lontani che scoprono appena di esserlo. Ma l’essenza di questo film di può notare fin da subito, fin dal primo cronometraggio che si presenta davanti ai nostri occhi: infatti proprio la prima scena che si apre con Roberto Benigni e Steve Wright, ci fa comprendere che, probabilmente, non ci sarà niente da dover capire in questo “ Coffee and Cigarettes” . Abbacinati dalla visionaria comicità palpabile di un film che si illumina all’ombra della scintilla di un fiammifero, con un’improvvisazione costruita e una spontaneità nelle interazioni da rendere quegli sketch insieme bizzarri e colloquiali, possibili al di fuori dello schermo e dunque adattissimi per essere trasformati e diventare materia-cinema. Non mancano i riferimenti culturali che, in questo film, sono indirizzati tutti al grande inventore e fisico Nikola Tesla ( vi è addirittura un cronometraggio dove uno degli attori in scena riproduce la grande bobina di Tesla, cosi innovativa e allo stesso cosi indispensabile per i nostri giorni).“Perceived the earth as a conductor of acoustical resonance” , citano gli attori in scena, è una frase cardine che ripercorre l’ultimo cronometraggio del film. Due vecchietti si ritrovano a coronare la loro pausa con un caffè terribile e dei ricordi inaspettati di un tempo passato che affiorano alla mente cercando di sfuggire alla monotonia del presente: ripetono quella frase , accostando la mano all’orecchio, mentre in lontananza si ode una melodia dolce e affasciante che rende quasi idilliaca la stanza putrida e disilluminata dove si svolge il cronometraggio.

Affascinante è l’incontrarsi di Iggy Pop e Tom Waits in un tavolo di un bar “ somewhere in California”dove i due artisti colloquiano animosamente, fumando sigarette e sorseggiando caldo caffè per poi accorgersi di essere seduti al fianco di un jukebox, in cui non ci sono né i brani dell’uno, né i brani dell’altro.

Nel ripetersi di schemi collaudati in una ciclicità che lega i momenti del film, l’irrealtà ha il sapore del reale, ma lascia che sia l’immaginario ad entrare nei singoli istanti ripresi dalla camera di Jarmusch, dove i dialoghi assumono i connotati dell’insensatezza e le tazze non sono mai prive del “nettare degli dei” offerto agli umani. Pur non essendo caffè e sigarette un pranzo salutare ( concetto ripetuto più volte in tutto il film) per l’organismo, questi lo diventano ma per il sostentamento di un intrattenimento cinefilo di cui si fanno nutrimento ideale una soluzione buffa, blandamente poetica e assurda che nel suo scivolare di sequenza in sequenza dà quella giusta energia che una tazza di caffè può donare.

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