Come era il Leonardo negli anni ‘70?

Di Niccolò Rapetti, Francesco Pianaroli e Pietro Malmsheimer

La Bohème - Redazione
La Bohème
6 min readFeb 14, 2021

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Intervista ad Andrea Kerbaker, scrittore ed ex leonardiano

Volantino del Movimento Studentesco milanese distribuito ai ragazzi del Leonardo nel 1971

È ormai dalla caduta del muro di Berlino che si parla di generazioni post-ideologiche. Ma come era invece la generazione “ideologica”? Ne abbiamo parlato con Andrea Kerbaker, un leonardiano speciale che ha vissuto il nostro liceo negli anni del terrorismo — nero e rosso — , della contestazione, della militanza e di Bob Dylan.

ESSERE UN GIOVANE NEGLI ANNI DI PIOMBO

Kerbaker: Erano anni molto violenti, veramente conflittuali. Noi avevamo la fortuna di avere come preside un uomo particolarmente intelligente, Emilio Arlandi, detto Pipino per la sua bassa statura. Gestire quella situazione non era per niente facile. Le occupazioni per esempio erano occupazione vere, non concordate. Dovevi fare i conti con la destra che protesta — quando non mette le bombe — , la deriva violenta di una parte della sinistra, i genitori che fremono…

Rapetti: E in quel contesto la situazione politica del Leonardo come era? Uniforme?

K: Allora c’è da fare una premessa. L’Italia che ho visto io da giovane viveva una grande contraddizione. Da un lato gli italiani scoprono il benessere, c’è il famoso boom economico di cui avete sentito parlare. Dall’altre parte però l’Italia che ho vissuto alla vostra età era un paese socialmente molo arretrato, con una borghesia molto arroccata sui suoi valori e incapace di rispondere positivamente al cambiamento. Vi faccio un esempio: il divorzio in Italia arriva nel ’70…sembrava una grande conquista ma in realtà, per via dell’influenza cattolica, eravamo in ritardo di decenni! Ovviamente situazione complessa chiama reazione complessa, soprattutto nel mondo giovanile: il nostro ’68, tra i suoi due schieramenti ideologici, fu particolarmente violento.

Manifestazione di studenti milanesi, 1972

Pianaroli: Ma ha in mente episodi specifici di violenza anche nel nostro liceo?

K: Certo. Ve ne cito una per tutte. C’era una ragazza tra gli studenti del Leonardo, molto giovane tra l’altro, che si proclamava fascista. Alcuni studenti di sinistra le avevano intimato di andarsene dal liceo ma lei voleva continuare a frequentare il Leonardo. Iniziarono ad accompagnarla fino a scuola con la scorta!

P: Insomma, un clima molto teso…

K: Sì, molto teso, al Leonardo come in tutte le altre scuole di Milano. Per voi oggi — perfino per mio figlio che è della generazione precedente alla vostra — quel clima risulterebbe totalmente incomprensibile. Vi racconto un episodio esemplare. Stavo andando a casa di un mio amico. Arriviamo e vediamo sua madre che si sporge dalla finestra e ci urla: «rientrate subito a casa, hanno appena sparato!». Effettivamente c’era stata una manifestazione in Via De Amicis e alcuni ragazzi avevano sparato a dei poliziotti.

P: Ma è la sparatoria della foto famosissima?

K: Sì, proprio quella. Noi eravamo passati là 10 minuti dopo gli spari! E a ripensarci, la cosa ancora più strana è che sulle prime non eravamo neanche troppo sorpresi. Molte manifestazioni del sabato pomeriggio degeneravano in scontri di piazza.

Foto della sparatoria in Via De Amicis, “icona” degli anni di piombo

R: Però, nonostante a questo clima poco invidiabile contribuisse molto anche la sinistra…

K: …nonostante ciò, la normalità tra i ragazzi era comunque essere di sinistra. Probabilmente perché quella visione del mondo era la più adatta a incarnare il tipo di discorso che tutti i ragazzi, in fondo, portano avanti alla loro età: la volontà di cambiare, di muovere le cose. Certo, per uno come me, per niente ideologizzato, era comunque difficile accettare quella violenza…pensate che quando frequentavo la Statale le Brigate Rosse uccisero persino un mio professore!

R: Un professore di che posizioni?

K: Ma non era neanche di destra, se è questo che stai pensando. Alla fine guardate che i terroristi di sinistra raramente ammazzavano i fascisti. Generalmente colpivano e uccidevano le persone più di dialogo, perché ideologicamente le consideravano molto più pericolose. E il terrorismo non era una cosa astratta, lontana da noi. Era un fenomeno trasversale; a quel clima anzi partecipavano anche alcuni giovani borghesi, come e più di altre classi sociali.

R: E poi invece cos’è successo secondo lei? Già con la generazione immediatamente successiva, quella tensione, quella conflittualità, sembra sgonfiarsi. Dagli anni ’80 l’impegno politico comincia a sparire, anche piuttosto repentinamente, dall’orizzonte dei ragazzi. Forse a partire dalla strage di Bologna?

K: Anche, ma principalmente da Moro. È dopo l’uccisione di Aldo Moro che il clima è cominciato a cambiare.

Aldo moro, ritrovato morto nel bagagliaio di una Renault 4

LA VITA DEGLI STUDENTI

R: Però, oltre alla tensione e alla violenza politica, quegli anni vengono sempre ricordati come anni di grande vivacità intellettuale…

K: È vero, erano anni di grande vivacità, nella cultura come nella musica. Questo in effetti me lo sono chiesto spesso…perché ci possa essere la vivacità intellettuale che tuti ricordiamo di quegli anni è necessaria una società conflittuale, che susciti il pensiero, reazioni forti? Ovviamente non ho una risposta definitiva. La storia però sembra decisamente confermarlo. Dove c’è conflitto c’è vita, dove c’è vita c’è la vera cultura. Come dicevi tu, negli anni ’80 la tensione politica comincia a sparire…ma insieme ad essa spariscono anche gran parte delle espressioni culturali più interessanti di quegli anni. Persino le guerre del resto, catalizzando reazioni e risposte emotive, di solito, producono grandi stagioni artistiche e culturali.

R: Lei come viveva quel fermento? Si considerava già un intellettuale?

K: Io in realtà sono entrato al Leonardo che neanche leggevo la targhetta dell’ascensore. Un non-lettore convinto. Mi sono interessato alla cultura, e quindi anche ai libri, proprio grazie ad una professoressa del Leonardo. Ricordo che lei riuscì a restituirmi, nell’approccio alla cultura, una grande idea di libertà. D’altronde, in fondo, noi giovani del Leonardo, noi giovani di quegli anni, eravamo soprattutto alla ricerca di quello: la libertà. Ma non della libertà astratta di Foscolo e Dante. Cercavamo la libertà vera — di fare, dire, di essere sé stessi. Fu quella professoressa, concedendomi la libertà di scrivere e di essere ironico, ad avvicinarmi agli interessi che coltivo tutt’ora.

Foto di classe della Quinta E, maturità 1976

P: Ma culturalmente, tra professori e studenti, come era il Leonardo?

K: Il Leonardo era molto laico, perché in generale la borghesia milanese era molto laica. Per farvi capire: quei tre che tra gli studenti andavano a messa li hanno presi tutti per il culo per cinque anni. Praticamente nessuno di noi faceva religione. E anche le ore di religione in realtà, per chi le faceva, erano molto particolari. Una volta, forse per adeguarsi a questi giovani non certo “casa e chiesa”, assunsero per l’ora di religione uno studente della Cattolica, decisamente anti-convenzionale. Organizzava delle proiezioni di film sulla religione fatti dai grandi registi di sinistra — quindi Pasolini, ecc. Pensa che è grazie a lui che mi sono innamorato del cinema!

Insomma, personalmente, ho il ricordo di un liceo trasgressivo e libertario, un clima veramente divertente. Noi ci siamo concentrati all’inizio sugli aspetti negativi di quegli anni…depurato dalla violenza e dalla tensione però, del Leonardo che ho vissuto io, ho un ricordo eccezionale. Ci dava molte possibilità. Di un anno scolastico standard noi, tra scioperi e occupazioni, facevamo al massimo il 60%. Se sapevi sfruttare bene il tempo di quell’altro 40%…avevi l’occasione di divertirti nel migliore dei modi possibili. La cultura era veramente viva, non ammuffita! Questa cosa mi pare si sia persa. All’epoca, sui manuali di letteratura, potevi leggere di Sciascia — uno che scriveva sui quotidiani e a cui potevi stringere la mano. Oggi in letteratura il vostro programma si ferma, in modo agghiacciante secondo me, a Pirandello, un signore morto quasi cento anni fa. I professori che ho avuto io invece se ne fregavano dei programmi: ciò che volevano dai proprio studenti era dare degli spunti, delle basi, da cui la mente dei ragazzi poteva tracciare il proprio percorso e guadagnare un’autonomia critica e culturale.

R: Pazzesco, il Leonardo che ci ha raccontato sembra uscito dal sogno di un anarchico!

K: Quella scuola era il frutto di quello che aveva ottenuto la generazione prima della nostra, che l’aveva avuta nell’unico modo possibile con cui i ragazzi possono cambiare le cose: lottando per averla.

Foto d’epoca del nostro liceo

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Giornalino studentesco presso Milano, Liceo scientifico Leonardo da Vinci