Diffondete l’esistenza di queste realtà

Intervista a Gaya Spolverato, chirurga, ricercatrice, fondatrice di Women In Surgery Italia

Elena Pagani
La Bohème
6 min readMar 15, 2021

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L’11 Febbraio è stata la giornata internazionale delle donne nella scienza, cosa ne pensa di questa ricorrenza?

Penso sia stato importante istituire una ricorrenza al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica su queste tematiche.

In cosa consiste il suo lavoro?

Faccio la chirurga alla clinica chirurgica I dell’ospedale di Padova. Sono docente di chirurgia all’Università di Padova, sia in medicina e chirurgia che in infermieristica. Oltre a fare la chirurga, mi occupo — sempre nell’ambito universitario — anche di ricerca chimica e molecolare. Prevalentemente, comunque, faccio la chirurga, mi occupo di chirurgia oncologica; la mia specializzazione principale è sui tumori del gastro-intestino, quindi prevalentemente stomaco e pancreas. Lavoro in un gruppo in cui si pratica molta chirurgia colorettale e mi sto occupando molto anche di chirurgia dei sarcomi, i tumori del muscolo.

Ci può parlare della sua associazione?

Ho fondato, insieme alla dottoressa Isabella Frigerio, il 15 ottobre del 2015, l’associazione Women In Surgery Italia. È un’associazione nata per promuovere l’unione e la rappresentanza delle chirurghe. Vuole essere un punto di riferimento per le donne, ma soprattutto per le ragazze più giovani che possono vedere in coloro che sono già chirurghe, o comunque in coloro che stanno già intraprendendo questa strada, un punto di riferimento e un aiuto per comprendere la professione e i suoi segreti. Nasce dalla necessità di modificare l’ambiente chirurgico in cui viviamo a fronte dell’aumento del numero delle chirurghe — chirurghe che fino a qualche anno fa erano “rare” e che invece oggi sono molto rappresentate soprattutto durante la scuola di specialità. Nell’avanzamento di carriera si incontrano ancora molte problematiche perché c’è ancora quel fenomeno che gli americani chiamano il glass ceiling, soffitto di cristallo, che rende molto complesso sia il raggiungimento della leadership nelle fasi medie della carriera, che il riconoscimento della figura di direttrice. Il problema è che esistono due grossi bias: un bias intrinseco, legato al fatto che ancora si fa fatica a riconoscere — a causa di stereotipi radicati — le donne come chirurghe; e un bias estrinseco: se le donne non vengono riconosciute in professioni come questa, si abbassano anche le effettive capacità delle donne di raggiungere questi ruoli. Per fare un semplice esempio: di tutte le chirurgie italiane, nelle unità complesse di chirurgia, le donne primarie, in questo momento, credo siano tre. Ci sono donne primarie nei settori della senologia — in chirurgia del melanoma — però nelle chirurgie complesse (le unità complesse) le donne diventano direttrici in maniera particolarmente sporadica. Questo è un altro degli obiettivi della nostra associazione, cioè far luce su questo aspetto e promuovere la leadership delle donne in chirurgia. Ospitiamo una serie di eventi di formazione — oltre al congresso annuale, che anche quest’anno si farà a settembre, e probabilmente sarà in occasione del congresso nazionale della Società Italiana di Chirurgia Oncologica (SICO). A prescindere dal congresso, organizziamo sempre eventi di formazione e offriamo borse di studio per alcuni corsi specifici. Formazione, educazione, roll modeling, mentorship — stiamo attivando un progetto di mentoring per le più giovani per affidarle a dei tutor — e ricerca.

Cosa ha imparato come persona dalla sua professione?

Ho imparato che, come dicono in America, You can’t take it all: non è possibile aver tutto. Ci sono delle fasi nella vita in cui riesci a eccellere, altre in cui devi un po’ fermarti. Essere chirurga in maniera esemplare, al meglio delle proprie capacità, essere riconosciuta come un ottimo clinico, fare la ricercatrice a livelli importanti, fare associazionismo, fare la docente in università, fare la moglie, la mamma…non è possibile fare tutto insieme e bene allo stesso modo. Quello che dico sempre alle ragazze è che alcune prima di noi ce l’hanno fatta, ce la stiamo facendo noi, e ce la faranno anche loro. Credo che ci sia spazio per migliorare il sistema, ma anche che il sistema si possa cambiare solo dall’interno.

Cosa è cambiato in lei da quando è entrata a medicina ad adesso?

Sono cambiati un po’ di capelli bianchi sicuramente [ride]. Insomma, è cambiato un po’ tutto. Io sono sempre stata estremamente combattiva, quando ero una ragazzina anche di più. Ero più sfrontata. Adesso ho maturato quel minimo di senso pratico che ti spinge a capire quando puoi parlare e quando non devi farlo, quando puntare i piedi e quando è meglio aspettare. Allora non l’avevo. Però il desiderio, la passione per questa professione, la spinta interiore a voler eccellere c’era a vent’anni e c’è ancora. Avere un riconoscimento solo personale però non sarebbe sufficiente; tutto quello che faccio, anche i momenti di difficoltà che devo affrontare, sono ripagati dalle persone mi stanno introno, le persone che hanno voglia di mettersi in gioco — studenti e studentesse per cui si è un punto di riferimento. Questo da ragazza non lo avrei mai immaginato.

A che punto siamo rispetto all’obiettivo di uguaglianza tra donna e uomo? (Sia nel contesto quotidiano sia in quello lavorativo)

Negli anni si sono sicuramente fatti dei progressi. Mi pare che le campagne di sensibilizzazione — donne nella scienza, 8 marzo, le campagne contro la violenza delle donne, la parità di diritti, la parità di salario, ecc — stiano avendo comunque un ruolo importante. Credo che qualcosa sia cambiato, ed in meglio. L’equilibrio e la parità nel lavoro non arriverà mai se non riconosciamo anche una parità nelle attività extra-professionali, nella gestione della casa, dei figli. Gli uomini, su questo fronte, devono essere sensibilizzati e, in alcuni casi, anche istruiti e stimolati. Siamo ancora lontani però. Ci sono realtà molto positive ed emancipate e realtà assolutamente arretrate. Ci sono luoghi nel mondo in cui sulle donne pesa ancora tutta l’attività familiare, e questo periodo — con i bambini a casa da scuola — certo non aiuta. Normalmente, tutto il peso grava sulla donna, e le conseguenze sulla loro carriera professionale sono innegabili.

Qual è la maggior differenza che nota nel contesto lavorativo tra chirurghe e chirurghi?

Non credo che esistano, ecco. Non esistono differenze in assoluto tra un uomo e una donna in chirurgia. Non credo a chi dice che le donne siano più meticolose e più sensibili — non è vero, ci sono persone e persone. Questa è la grande battaglia che sto combattendo: che la donna abbia un impatto migliore sul paziente è uno stereotipo tanto quanto l’idea che il chirurgo sia capace di migliori performance.

Quali sono le difficoltà in più che deve superare rispetto ad un suo collega?

Fondamentalmente sono difficoltà legate agli stereotipi. Capita che un paziente, soprattutto quando si è giovani, non riconosca il tuo ruolo. Poi le difficoltà di contingenza, quotidiane: gestire questioni extra-lavorative, ecc. Come ho già detto, questo dipende soprattutto dall’emancipazione della famiglia rispetto al modello arcaico.

Quale pensa sia l’ideale da raggiungere?

L’ideale da raggiungere è l’esaltazione delle differenze e la tolleranza delle diversità — senza voler in alcuna maniera imporre un’idea di uguaglianza astratta, che non tenga conto delle differenze. Ognuno è com’è, e il gender non dovrebbe influenzare in alcuna maniera la propria professione.

Cosa andrebbe cambiato?

Va cambiata la gestione della famiglia, della casa. Vanno combattuti i bias intrinseci ed estrinseci. Va esaltata la mentorship; vanno esaltati i role model, le figure di riferimento; va garantita, anche attraverso le associazioni, una maggiore rappresentanza delle donne nelle posizioni professionali che in passato erano a prerogativa maschile. Devono essere valutati con un atteggiamento diverso i curricula di uomo e donna — molto spesso se sono allo stesso livello, le donne hanno incontrano più difficoltà rispetto agli uomini. Al contrario, favorire un lavoro flessibile non credo potrà in qualche modo migliorare lo situazione. L’aiuto domestico, le agevolazioni per le famiglie, per le giovani ricercatrici che vogliono avere una famiglia: questi sono gli aiuti che possono migliorare la situazione.

Cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo?

Sensibilizzare, esaltare la diversità, combattere lo stereotipo. Diffondete l’esistenza di queste realtà: questo è quello che possono fare tutte le persone.

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