Donne nella scienza: Henrietta Lacks

Alice Musatti
La Bohème
Published in
4 min readNov 28, 2020

“La vita immortale”

Questa rubrica fu creata allo scopo di celebrare il contributo troppo spesso sminuito o dimenticato delle donne alla scienza, missione nobilmente portata avanti raccontando le vite spesso travagliate di grandi scienziate. Ebbene, io oggi vorrei portarvi una storia un po’ diversa, quella di Henrietta Lacks, una donna la cui influenza sul mondo della scienza io stessa ho toccato con mano (quasi letteralmente).

Henrietta Lacks era una donna afroamericana nata l’1 agosto 1920 a Roanoke, in Virginia. Quando aveva quattro anni sua madre morì di parto e il padre, non potendo occuparsi da solo dei dieci figli, fece trasferire la famiglia e spartì i figli fra i diversi parenti; Henrietta si ritrovò affidata al nonno, Tommy Lacks. Come la maggior parte della sua famiglia, fin da giovane lavorò in una piantagione di tabacco e a quattordici anni ebbe il primo figlio, Lawrence, dal cugino David che poi sposò nel 1941. Poco dopo il matrimonio la famiglia si trasferì nel Maryland per il lavoro del marito. Il 29 gennaio 1951 Henrietta si recò al John Hopkins Hospital (l’unico nella zona che curasse pazienti di colore) a causa di un “nodo” che sentiva al ventre. Ne aveva già parlato ai cugini che l’avevano attribuito ad una gravidanza; ella era effettivamente incinta, solo che quando partorì ebbe una grave emorragia. Il suo medico la testò per la sifilide ma i risultati si rivelarono negativi, quindi la reindirizzò al John Hopkins. Lì un dottore fece una biopsia di una massa che si trovava sulla sua cervice e che si rivelò essere un tumore maligno. Ella fu sottoposta a un trattamento a raggi X e durante la terapia le furono prelevati a sua insaputa due campioni di tessuto, uno sano e uno cancerogeno. L’8 agosto 1951 chiese di essere ammessa all’ospedale a causa di un forte dolore addominale e vi rimase fino alla sua morte, il 4 ottobre; la sua autopsia rivelò che il cancro aveva sviluppato metastasi in tutto il corpo.

Fin qui questa è la triste storia di una donna morta a soli trentun anni di tumore. Torniamo però a quei due campioni di tessuto prelevati a sua insaputa: questi furono dati a George Otto Gey, medico e ricercatore sul cancro dell’ospedale, che notò quanto fossero particolari le cellule del tessuto tumorale. Più che particolari queste erano uniche, in quanto si riproducevano a un ritmo molto elevato, restavano in vita abbastanza da poter eseguire esami approfonditi e potevano essere divise più volte senza morire, proprietà per la quale divennero note come “immortali”. A partire da queste cellule Gey fu in grado di creare una linea cellulare immortale, nota con il nome di cellule HeLa, che tutt’ora è una delle più importanti nella ricerca medica.A partire dagli anni ’50 le cellule HeLa furono utilizzate nella ricerca per il vaccino della poliomelite, per il cancro, l’AIDS, gli effetti di radiazioni e di sostanze tossiche, la sensibilità umana a varie sostanze fra cui colla e cosmetici. Nel 1955 furono le prime cellule a essere clonate. Sono state le prime cellule ad essere prodotte in massa per essere spedite a scienziati di tutto il mondo. L’anno scorso ci ho lavorato io stessa per degli esperimenti sulla miosi.

“La vita immortale di Henrietta Lacks” di Rebecca Skloot racconta questa storia in modo più approfondito

Di tutto questo i suoi familiari non sapevano niente; non avevano idea che i campioni fossero stati prelevati, non sapevano dell’esistenza delle cellule HeLa e non si spiegavano tutte le telefonate che li sollecitavano a donare cellule sanguigne. Fu solo durante una cena nel ’75 che l’argomento saltò fuori in una conversazione ed essi vennero a conoscenza di ciò che il materiale tratto da Henrietta aveva potuto originare. Né lei né i suoi familiari avevano mai dato il loro consenso alla prelevazione delle cellule, ma all’epoca il consenso non era richiesto; non diedero nemmeno il loro consenso alla pubblicazione dei certificati medici negli anni ’80 o alla pubblicazioni riguardanti informazioni tratte dal codice genetico delle cellule (e quindi riguardanti anche i discendenti di Henrietta) nel 2013. Solo in quell’anno fu stabilito un accordo con l’NIH, in modo che la famiglia potesse avere un qualche controllo sulle pubblicazioni e riconoscimento all’interno degli articoli. Ovviamente di compenso economico nemmeno l’ombra: il caso Moore contro l’università della California aveva stabilito negli anni ’90 che i tessuti e le cellule di scarto non erano considerati di proprietà del paziente e potevano essere messi in commercio.

Se solo avessi saputo tutto questo quando cercavo di osservare quella metafase al microscopio.

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