Il calcio è malato, la Superlega non è la cura
Nel giro degli ultimi giorni è nata e morta la più grande rivoluzione della storia del calcio. Le dodici squadre più blasonate del continente si sono riunite per creare una competizione infrasettimanale che avrebbe dovuto sostituire la Champions League tanto amata dai tifosi. La Superlega proponeva una partecipazione fissa per le dodici squadre fondatrici (indipendentemente dall’andamento nei campionati nazionali) e una restante parte dei posti disponibili assegnati in modo meritocratico. Il sistema oligarchico più che meritocratico ha causato una sollevazione popolare tale da far smantellare la competizione nel giro di tre giorni. Conosciamo bene i punti dei critici: il calcio non è dei ricchi, e la massima competizione per club dovesse essere basata sul merito sportivo e non sull’affluenza dei padroni delle squadre.
Sono d’accordo che una competizione in cui il demerito sportivo non costituisce un pericolo per le squadre sia contro le fondamenta dello sport (anche se probabilmente ero contento della Superlega per il fatto che fosse incluso il mio amato diavolo). Quello che non posso condividere è il buonismo e l’ipocrisia dell’UEFA che si è appellata al motto “il calcio è dei tifosi”. È inutile mentire: sono anni che il calcio non è dei tifosi, sono anni che il calcio è un business, una macchina che brucia soldi. Le favole che tanto ci piace raccontare, nel calcio, sono ormai inesistenti. Sarebbe bene ricordare che l’Atalanta — la “favola” italiana degli ultimi anni — non è un oratorio di Bergamo ma è posseduta da un miliardario nella top 30 di Forbes Italia. Milan, Inter e Juve hanno vinto tutti i campionati dal 2001 a questa parte, un’eternità calcisticamente parlando. Le competizioni oggi vengono vinte da chi spende di più, che sia in monte-ingaggi o in strutture. Chi pensa che il calcio sia “dei tifosi” vive con due fette di salame sugli occhi.
L’anno prossimo si giocheranno i mondiali in Qatar. A Natale. Se la Uefa ha così a cuore i tifosi e i diritti, come mai ha organizzato un mondiale in una nazione costosissima da raggiungere, con una cultura calcistica pressoché nulla e che, fra l’altro, non rispetta una quantità significativa di diritti umani? La risposta è chiara, per i soldi, per le tangenti accettate da UEFA e FIFA per l’assegnazione della massima competizione nazionale. Gli stessi soldi che la UEFA si è vista togliere dalla creazione della Superlega. Solo per questo la UEFA si è messa dalla parte dei tifosi, solo perché casualmente era la loro stessa posizione.
La Superlega ha semplicemente aperto il vaso di Pandora sul mondo del calcio odierno, che non è quello “romantico”, ipocritamente descritto a Klopp e Guardiola (che insieme guadagnano 45 milioni di euro annui). Come si può affermare che il calcio è “dei tifosi” se la Juventus prende 5 volte i diritti televisivi dell’Udinese? Come si può dire che il calcio è dei tifosi se il monte-ingaggi della Juventus è di 280 milioni mentre quello della Fiorentina o della Lazio si aggira intorno ai 60? Perché il calcio sia dei tifosi e a favore della competitività che la UEFA tanto dice di promuovere, perché non imporre un salary cap? Perché il calcio sia dei tifosi e a favore della competitività che la UEFA dice tanto di promuovere, perché non distribuire in modo più equo i diritti televisivi (come si fa già in Premier League)?
Il calcio tornerà ad essere davvero dei tifosi solo quando le risorse verranno distribuite in maniera più equa. Quando nello stesso campionato non ci sarà più una squadra con un monte-ingaggi dieci volte più alto rispetto a un’altra. Questo sport ha bisogno di cambiamenti. Bisogna assolutamente ridimensionare il ruolo degli agenti (che al momento costituiscono il 7% delle spese dei club) e porre un tetto massimo agli stipendi (come fanno già in NFL). Il calcio è una macchina malata che brucia soldi, la Superlega è stata un sintomo, ma ora c’è da trovare la cura.