Il segreto di Bianca

greta nespolo
La Bohème
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5 min readMar 19, 2021

All’arrivo della nave sbarcarono tantissimi giornalisti e TV media. La notizia era circolata in fretta e l’isola era diventata “famosa” in tutto l’entroterra.
“Eccoci arrivati nel luogo dove è successa la tragedia” iniziò a dire una giovane giornalista dai capelli corvini davanti ad una telecamera. Una sensazione di rabbia misto tristezza mi salì lungo il corpo. E poi continuò: “Dicono che si tratti di un tragico incidente, ma secondo me è più probabile che si tratti di un suicidio, la ragazza era sparita da dieci giorni e girano voci che la conoscesse bene l’isola”. Mi sentii morire dentro, fino a quel momento nessuno aveva preso in considerazione l’ipotesi del suicidio, cosa che effettivamente era successa, cosa di cui mi davo la colpa. Me ne aveva parlato, mi aveva dato un’unica possibilità e io l’avevo sprecata, mi sentivo un assassino. Iniziai a non distinguere più le voci, mi girava la testa, scoppiai a piangere e me ne andai. La mattina del ritrovamento il mare era cupo, nessuno era uscito, nessuno tranne Nino. Nino era un vecchio pescatore a cui piaceva pescare nella parte più selvaggia dell’isola, diceva che l’unica cosa che lo rendeva felice era la luce che si rifletteva sulle acque marine la mattina presto. Quella mattina sulle sue limpide acque trovò un cadavere, il cadavere di Bianca Grenovic. La riconobbe subito, a lei piaceva sedersi sul pontile a chiacchierare coi pescatori. Quando vide il cadavere, lo caricò in barca e lo riportò in porto. Diede una spiegazione a quei poliziotti che avevano fallito. Quella mattina, quando scesi al porto notai Nino, capii che era successo qualcosa. Il pescatore non mi aveva mai visto di buon occhio per le mie origini, avevo un passato poco definito. Quella mattina, invece, mi fermò e mi disse di aver trovato il cadavere di Bianca, mi irrigidii, non sapevo cosa fare, non sapevo cosa dire. Mi guardò e se ne andò. Rimasi lì immobile per una buona quindicina di minuti a fissare l’acqua del porto. Quando mi scese la prima lacrima mi alzai facendola scendere lungo il viso, mi incamminai verso la capitaneria di porto, c’erano buone possibilità che il cadavere fosse lì, il mare lo aveva restituito, anche se lei aveva cercato di evitare. Quando arrivai vidi un telo, probabilmente una vecchia tenda, sopra quello che sembrava essere proprio un cadavere. Vidi i genitori di Bianca, loro non mi conoscevano, Bianca non aveva mai parlato di me con loro. Erano distrutti. Tornai verso casa. Appena arrivato trovai mio fratello in cucina, probabilmente si era appena alzato, quando ero uscito dormiva. Non ero pronto a dargli quella notizia, per lui era ancora una giornata normale, ma pensai che se non glielo avessi detto io lo avrebbe sicuramente scoperto da chiunque altro. Mi sedetti di fronte a lui in quel piccolo tavolo sotto la finestra dalla quale si vedeva il mare, la adoravo, ma non quel giorno, quel giorno il mare era il mio nemico. Gli dissi: ”Bianca è morta”. Andai nella piccola stanzetta che condividevo con lui e mi stesi sul letto, a riflettere, a piangere, a cercare di convincermi che fosse un incubo notturno, quelli nei quali ti risvegliavi fradicio di sudore per poi scoprire che era stato solo un brutto sogno, quelli in cui andare nel letto di mamma e papà ti tranquillizzava facendoti poi ricadere nel sonno profondo dei bambini. Non avevo mai provato quella sensazione però. Mio fratello venne in camera rompendo quel silenzio interrotto solo dai miei singhiozzi, cercò di calmarmi, mi disse che non ci potevo fare niente, mi disse che se avevo sbagliato allora avevamo sbagliato insieme, lo abbracciai. Forse fu il primo momento di affetto dopo che ci allontanammo da casa sei anni prima, quando successe quel che è successo, quello che ha cambiato le nostre vite. Quella mattina non uscii a differenza di mio fratello che andò a lavorare, lavorava da quando aveva la mia età. Nel tardo pomeriggio scesi di nuovo al porto, c’erano alcuni turisti ignari di tutto ciò che tornavano tranquilli nelle loro abitazioni, chi in barca, chi in casa, chi in campeggio. C’erano dei ragazzi che facevano i tuffi dal molo, c’era sempre gente che faceva tuffi dal molo, a qualsiasi ora tranne quando era brutto brutto e quando c’era la nave. Mi incamminai verso il muro azzurro, presi la rincorsa e ci salii, qualche turista pescatore mi osservava con ammirazione, ma dopotutto era solo un muro, era facile salirci perché era inclinato di poco verso l’avanti, cosa che sembrava accorciare i suoi due metri di altezza. Quel muro divideva il molo, o meglio il piazzale dalla spiaggetta, che quel giorno doveva essere stata molto occupata dato che fuori non si poteva uscire. Da lì sopra osservai il mare, si era calmato parecchio e aveva assunto dei colori stupendi, quelli che piacevano tanto a Bianca. Ripensai alla sera in cui la conobbi, era stata lei a conoscere me. Quella sera gli altri ragazzi, quelli con cui stavo di solito, erano saliti in paese per una festa organizzata dalla pro-loco, non essendo un tipo da festa ero rimasto al porto a fissare il mare aspettando che mio fratello finisse di lavorare, in quel periodo faceva il cameriere in un ristorante che dava sul porto. Tornando a lei scese verso le dieci circa, era da sola. Si sedette su una panchina ad aspettare una persona che non arrivò, chiamò più volte senza ottenere nessuna risposta da qualcuno di cui ignoro e ignorerò per sempre l’identità. Fu grazie ad un amico di mio fratello che lei mi notò, quando mi vide mi salutò con una voce alta e possente che richiamò la sua forte attenzione, Bianca rimase per più di un quarto d’ora ad osservarmi e poi venne a sedersi affianco a me, era carina, aveva i capelli castani e gli occhi verde foglia quasi secca. Iniziò lei la conversazione mi chiese cosa ci facevo lì tutto solo, gli spiegai il motivo e raccontò di un suo amico che era ancorato in rada e che le aveva dato buca probabilmente perché non si fidava ad uscire con il piccolo tender, era una ragazza solare, trasmetteva positività, forse per nascondere, forse per dimenticare una sofferenza interna che avevo scoperto troppo tardi. La sera successiva la rividi, e anche quella dopo, e quella dopo ancora. Un giorno le chiesi se volesse venire con me al Belvedere, mi disse di sì e mi diede appuntamento davanti alla chiesa alle sei e mezzo, era intraprendente la ragazza. Alle sei quando mi presentai in versione sportiva la vidi in un candido vestitino azzurro cielo. Era bellissima. Mi sarebbe piaciuto dirglielo, forse l’avrebbe aiutata, ma sono stato zitto, non me lo perdonerò quel silenzio.

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