LETTERATURA: Chimamanda Ngozi Adichie

La Boheme Redazione
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5 min readJun 2, 2023

di Alessio Sergio

Chimamanda Ngozi Adichie (1977) è una scrittrice femminista. Uno dei suoi più celebri libri è Dovremmo essere tutti femministi, tratto e riadattato da una conferenza TEDx del 2012, edito Einaudi nelle collane Vele (2015) e SUPER ET (2021, illustrato da Bianca Bagnarelli), che secondo molti ha segnato una svolta nella lotta per la parità di genere.

Nel saggio, Chimamanda non approfondisce nessuno dei tantissimi temi di solito trattati nel dibattito femminista (stupro, violenza domestica, grassofobia, incapacità degli uomini di ricevere un rifiuto, limitazioni della libertà degli uomini nella sfera emotiva, correlazione tra oppressione femminile e animale, stigmatizzazione delle sex workers, collegamento tra capitalismo e oppressione femminile, etc.), ma si limita a raccontare cosa subiscono le donne in quanto tali.

Racconta, per esempio, di quando, durante una promozione in Nigeria del suo libro L’ibisco viola un giornalista le consigliò di non definirsi mai femminista poiché le femministe non trovano marito e, per questo, sono infelici; Chimamanda decise allora di definirsi una “femminista felice”.

Ma c’è di più: a furia di ricevere consigli per quanto riguarda l’attribuirsi la parola “femminista”, arrivò a definirsi una “femminista felice africana che non odia gli uomini e che ama mettere il rossetto e i tacchi alti per sé e non per gli uomini”. Ciò dimostra che “la parola ‘femminista’ si porta dietro un bagaglio negativo notevole” (odi gli uomini, non ti trucchi, non ti depili, non usi il deodorante, …).

Procede raccontando di una volta in cui a Lagos diede la mancia a un “assistente al parcheggio” e questo ringraziò l’amico con cui era uscita e non lei, perché trovava logico che se lei avesse avuto dei soldi avrebbero dovuto per forza provenire dal suo amico perché lui era un uomo.

Non possiamo di certo biasimarlo: d’altronde si tratta dello stesso meccanismo a causa del quale se siamo abituati a vedere quasi solo uomini al potere, cominciamo a pensare che sia naturale che solo gli uomini riescano e possano governare. Nessuno può essere biasimato se ignora le donne, se le considera inferiori e per questo non capaci di guidare un’azienda o un paese: il suo pensiero non è suo ma il prodotto preconfezionato consegnatogli da una società patriarcale.

«Qualcuno dirà: “Oh, ma sono le donne ad avere il vero potere: il bottom power”. Ma il bottom power non è potere, perché la donna con quel potere non è affato potente: ho solo una via di accesso al potere di un altro».

Questo non toglie che alcune donne riescano ad arrivare al potere, ma quando lo fanno ogni pretesto è buono per demonizzarle: Ngozi Adichie racconta di una sua amica statunitense che ha preso il posto di un uomo a capo di un’azienda. Il predecessore era considerato tosto e ambizioso; dunque, questa sua amica lo imitò nell’esigenza della puntualità. Il risultato? Venne portato all’attenzione della dirigenza che era aggressiva. Il motivo di questi doppi standard è semplice: la rabbia non si addice a una donna.

A questo punto mi sento di fare una precisazione: a mio parere esiste una terza categoria, la donna al potere che non viene criticata. La ragione di questo trattamento di favore è che questo prototipo di donna si adegua perfettamente agli standard patriarcali, come per esempio la Presidente del Consiglio dei ministri Meloni.

Ovviamente, l’autrice parla anche delle discriminazioni perpetrate verso gli uomini a causa del patriarcato. Un esempio ne è la virilità, “una gabbia piccola e rigida dentro cui rinchiudiamo i maschi”. Arriviamo a questo punto a quella che, a mio parere, è una contraddizione di Ngozi Adichie: dice che ci vengono impartite sin da quando siamo piccoli delle “lezioni di genere” (la donna deve stare in cucina e gli uomini sono quelli che portano i soldi a casa, per esempio), il che è più che vero, se non fosse che dimostra che anche lei crede in queste lezioni di genere, affermando: «Ho gusti femminili. E sono felice di averli. Mi piacciono i tacchi alti e mi piace provare rossetti nuovi».

C’è da ammettere che, anche se l’utilizzo di pantaloni da parte delle donne, giustamente, non causa più stupore da più di cinquant’anni, l’utilizzo di trucchi e indumenti considerati femminili è tutt’ora mal visto, figurarsi nel 2012. Una seconda spiegazione potrebbe essere data dal fatto che Ngozi Adichie è stata accusata di essere una TERF (Trans-Exclusionary Radical Femminist/Femminista Radicale Trans-Escludente), per le quali le donne trans non sono donne, a causa di una sua risposta in un’intervista del 2019.

Le era stato chiesto se considerasse le donne trans “un po’ meno donne”, e lei rispose: «Le donne trans sono donne trans. Se hai prima vissuto come un uomo e con i privilegi che il mondo accorda agli uomini, e poi hai cambiato genere, è difficile che si possa equiparare la tua esperienza a quella di una donna che ha vissuto fin dal principio come donna, senza avere mai concessi quei privilegi che hanno gli uomini», facendo, in sostanza, una gara a chi ha meno diritti.

Lei ha rigettato le accuse in un saggio pubblicato online, It is obscene, in cui spiega che dovremmo essere in grado di riconoscere le differenze pur essendo pienamente inclusivi.

Per quanto mi riguarda sconsiglio l’acquisto ma incentivo alla lettura dei suoi saggi: in generale, non finanziate chi limita i diritti altrui; può sembrare poca cosa soprattutto considerando che il libro ha un costo irrisorio rispetto alla media (9 euro) dovuto al numero ristretto di pagine (41), ma ricordate che il personale è politico: a partire da piccoli cambiamenti è possibile generare cambiamenti più grandi. Questo non toglie che i suoi saggi siano punti cardini per la lotta femminista.

Ngozi Adichie spiega inoltre quanto rivendicare la parola “femminista” sia importante: «Scegliere di usare un’espressione vaga come “diritti umani” vuol dire negare la specificità del problema del genere. […] Sono un essere umano, certo, ma ci sono cose che mi succedono perché sono una donna».

L’autrice conclude parlando del bottom power, l’uso che certe donne fanno della propria sessualità per ottenere qualcosa da un uomo. Come spiega perfettamente Ngozi Adichie: questo NON è potere, in quanto dipende dalla bellezza esteriore e da ciò che un uomo considera attraente.

Se siete interessati ad approfondire questi e altri temi, consiglio il podcast di Annalisa Sirignano e Alessandra Fraissinet, Ti leggiamo una femminista (@tileggiamounafemminista su Instagram), dal quale ho preso spunto per alcune delle riflessioni in questo articolo; i libri di Michela Murgia Ave Mary, E la Chiesa diventò donna (Einaudi, 2011) e Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più (Einaudi, 2021); i saggi brevi della collana BookBlock edita Eris Edizioni e il libro della saggista e filosofa Maura Gancitano Specchio delle mie brame (Einaudi, 2022) con relativo podcast Oltre lo specchio. Ω

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