“Memorie di Adriano” Marguerite Yourcenar

Elisabetta Moiana
La Bohème
Published in
3 min readMay 24, 2021

Butto giù due pensieri su uno dei più bei libri che abbia letto negli ultimi mesi.

“Memorie di Adriano”. Libro da leggere con la matita in mano.

Libro forse troppo grande per scrivere la mia opinione qui, ora.

Prendetelo e lasciatevi trasportare.

Evidentemente arriva un momento nella nostra vita in cui siamo in grado di giudicarla. La guardiamo da lontano, riusciamo a misurarla. A distanza. Come quando la fotocamera non riesce a mettere a fuoco una scritta troppo vicina e dobbiamo allontanarla. Pian piano mettiamo a fuoco.

Adriano fa questo.

Mette a fuoco.

E lo stupore sta nello scoprirlo umano. Come noi. Nonostante secoli di distanza.

Adriano ragazzo incerto, sente quel vuoto di chi non sa ancor chi è, si testa, sperimenta, poi capisce. Gli attori dentro di lui hanno trovano la loro parte. Inizia lo spettacolo.

Adriano imperatore, Adriano che crede fermamente nella pace e la promuove.

Adriano amante del greco, amante di Atene. Adriano che esce nella notte di Atene e trova pace: è buio, le strade sono invase dal cicaleccio leggero di voci greche. Chi non conosce questa pace?

Cos’è il sonno cos’è la morte cos’è la malattia? Chi non se l’è mai chiesto?

L’amore. Per un ragazzo greco, per la bellezza, per la purezza. Il dramma di non essere abbastanza, il dolore che distrugge. L’impotenza e il tormento.

Adriano siamo noi. L’uomo. Lui è l’uomo. Che davanti ai paesaggi sterminati del nord Europa sente quel brivido nato dal non sapere cosa sarà. Lo stesso dell’“Infinito” di leopardi. Lo stesso nostro.

Adriano malato, incurabile, scrive.

Arriva davvero un momento in cui riusciamo a prendere le distanze dalla nostra vita? In cui riusciamo a giudicarla?

Nessuna amarezza, nessun rammarico. Solo giudicarla. Guardarla e dire così è stato. Nel bene e nel male. In pace con noi stessi.

Adriano me l’ha mostrato. Si può.

È strano che io lo scriva. Perché ho passato tanto tanto tempo a preoccuparmi di quel giudizio. A preoccuparmi di quel momento in cui avrei guardato indietro alla mia vita e l’avrei giudicata.

Volevo che fosse perfetto. Non buttare niente, vivi ogni istante o un giorno te ne pentirai. Ma pentirsi di cosa?

Perché costringersi a vivere secondo un certo schema? Perché darsi un obiettivo così? La vita va come va. Credo.

Mi spaventano, ora, gli schemi. Allo stesso tempo mi sembrano inevitabili. Anche decidere di non darsi uno schema, non è essersi dati una linea guida?

Ma Adriano.

Quel che rapisce è la sua sicurezza. La sua profondità. Sì, è andata così. Sì, mi sono sentito così. Sì, ho amato Antinoo. Sì, il dolore mi ha rapito. Sì, sono stato confuso. Sì, sono malato.

Va bene.

Non c’è il minimo rimprovero per aver conosciuto il male. Per averlo affrontato in quel modo.

E perché dovrebbe?

Forse è un senso di colpa che ho provato solo io. Senso di colpa inutile. Perché la vita è così. Che senso ha fingere di no. Che senso ha volerla rendere perfetta, per poi fingere di esserci riusciti o di aver sempre dato il massimo? Non è così. A volte non hai voglia. Non ha importanza essere sempre perfetti.

E dico perfetti per sé stessi. Non ha importanza. Sì, non ho saputo arginare la rivota degli Ebrei a Gerusalemme. Sì. Mi perdono. La vita è già un casino senza essere duri con sé stessi. È già un casino senza alzare l’asticella al di sopra di noi (nel mio caso, 1 metro e 53).

Se un’asticella c’è, non c’è bisogno anche sia insaltabile. Credo.

Forse è per questo che non mi vanno giù quelli che deformano il mondo con la loro poesia, che trovano spiegazioni sempre belle, sempre liriche, sempre perfette.

“Memorie di Adriano” invece è vero, è sincero. Ma allo stesso tempo è pura poesia.

Questo è quello che mi ha toccato. Per esperienza, per vissuto personale, per età, non lo so. Ci sarebbero mille altre cose da dire.

Duemila anni di stagioni, di uomini, di guerre, di salto forse incolmabile. E Adriano vive dentro di me. Lasciatevi trasportare e vivrà anche dentro di voi.

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