MUSICA: Baustelle

La Boheme Redazione
La Bohème
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9 min readJun 7, 2023

di Diego Crateri

1996. La scena musicale italiana negli ultimi anni è stata dominata da nuove uscite dei grandi artisti dei decenni precedenti, come Vasco, Battiato, Dalla e Ligabue, mentre esplodevano artisti più recenti come Jovanotti, Ramazzotti, gli 883 e la Pausini.

Invece, nella scena più “underground”, che emergerà a livello radiofonico proprio verso la fine degli anni Novanta, si sta sviluppando un alternative rock con un orientamento indie. Da questa corrente emergono, infatti, molte band, ciascuna con un orientamento diverso:

  • Bluvertigo e Subsonica sintetizzano il pop elettronico dei Duran Duran, dei Depeche Mode e dei Kraftwerk;
  • Afterhours, Timoria e Marlene Kuntz riprendono la scia dei CCCP negli anni Ottanta, di influenza punk rock inglese;
  • Frankie Hi-Nrg percorre la rivoluzione rap del periodo;
  • La Crus riprendono la new wave italiana del decennio precedente.

Non sono certo gli unici esempi, ma danno un’idea della varietà nelle diverse ramificazioni di questo movimento.

È in questo contesto che a Montepulciano (SI) nasce una nuova band: i Baustelle. La formazione originale vede Francesco Bianconi (voce, chitarra, tastiere), Rachele Bastreghi (voce, tastiere, percussioni), Claudio Brasini (chitarra) e Fabrizio Massara (tastiere), mentre la batteria vede numerosi musicisti nel tempo, principalmente turnisti.

I Baustelle nel 2008. Da sinistra verso destra: Claudio Brasini, Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi

A detta di Bianconi, il nome della band è stato scelto sfogliando un dizionario e questa parola tedesca, che significa “lavori in corso”, aveva un insieme di caratteristiche interessanti: contiene la parola “stelle” e l’ironica combinazione dell’onomatopea “bau” e del pronome “elle”, che in lingua francese significa “lei”; già si intravede lo spirito della band…

La loro proposta, a detta del loro stesso sito ufficiale, è «amalgamare la miglior canzone d’autore italiana e francese, la new wave, l’elettronica vintage, la bossa nova, le colonne sonore degli anni ’60 e ‘70»; tutto ciò dà vita a Sussidiario illustrato della giovinezza, l’album di debutto, uscito nel 2000.

L’accoglienza del disco è decisamente positiva: nei referendum dei mensili Mucchio Selvaggio e Musica & Dischi si impone come “debutto italiano dell’anno”. Ciò a causa dell’originalità della proposta stilistica e dei temi, infatti ne è venuto fuori involontariamente un concept album a tema “eterna adolescenza”: ogni brano racconta aspetti della vita adolescenziale e del suo protrarsi in età adulta in un clima che varia tra il malinconico e il sentimentale. Nei testi vi sono una frequente volgarità e rimandi alla pornografia, con un forte citazionismo al fine di fondere l’arte alta con l’arte bassa. L’aspetto più importante è la componente autobiografica perché, come Bianconi dice ancora oggi sul palco, «la musica ha lo scopo di rappresentare la nostra vita».

Bianconi e Bastreghi interpretano perfettamente la loro parte di ex-adolescenti degli ultimi anni della Generazione X, esprimendo tragicità, sensualità, dolore e, in particolare, il vuoto, molto diffuso tra gli adolescenti ancora oggi. Per tutta la loro carriera, il contrasto tra la crudezza a volte destabilizzante dei testi e l’inespressività nel tono vocale sarà fortemente presente.

Il brano di maggior successo è Gomma, che verrà ri-inciso come singolo nel 2010, iconico soprattutto per l’ottimo alternarsi e fondersi delle due voci, un aspetto che verrà sviluppato maggormente negli anni successivi e diventerà il grande punto di forza dei Baustelle.

Nei primi due dischi, infatti, Bastreghi e Bianconi in particolare sono ancora in fase di affinamento del loro stile vocale, questo infatti risulta inconsistente e addirittura stonato in certi punti. Sarà con l’avanzare degli anni, l’aumento e soprattutto lo sfruttamento della profondità delle loro voci che si creerà quella soluzione quasi magica e incantevole potenzialmente paragonabile alla coppia Lennon-McCartney. Starò bestemmiando? Forse, ma in questo i Baustelle sono veramente speciali.

Il brano migliore del disco, a mio parere, è l’unico singolo, nonché traccia d’apertura: Le vacanze dell’83, ancora oggi uno dei migliori brani della discografia intera. Estremamente suggestivo nelle due sezioni strumentali d’apertura e di coda, molto forte il ritornello e semplicemente affascinante il pre-ritornello bossa nova.

Nel 2003 esce La moda del lento, che amplia e perfeziona il discorso espressivo della band e raccoglie ulteriori consensi in particolare grazie al singolo Love Affair e, pubblicato come singolo successivamente, Arriva lo ye-ye (anche se Le vacanze dell’83 è ancora imbattuta, secondo me).

La particolarità del disco è il nuovo sound: le chitarre vengono messe in secondo piano per far spazio ai sintetizzatori, rendendo il disco molto più elettronico del debutto. Il livello compositivo progredisce, soprattutto grazie a brani come La canzone di Alain Delon, Arrivederci insieme alla relativa traccia fantasma Beethoven o Chopin? e La moda del lento.

I testi si fanno più ricercati e raffinati, seppur con la stessa volgarità nei contenuti e con gli stessi temi, ma aumenta la profondità, che si fa quasi filosofica nel brano Bouquet.

Grazie a La moda del lento, i Baustelle diventano oggetto d’interesse dei grandi del settore: la casa Warner firma un contratto discografico con la band.

Con un budget decisamente superiore ci si potè permettere l’aggiunta di un’orchestra sinfonica e migliori tecnologie per il mixing; nasce così La malavita, del 2005, che segna il successo commerciale della band: ottiene il disco d’oro, si classifica tra i finalisti della Targa Tenco come “miglior album” e i videoclip dei singoli La guerra è finita e Un romantico a Milano spopolano. Dopo l’incisione di questo disco, Massara lascia la band, la cui formazione ufficiale vedrà fino a oggi Bianconi, Bastreghi e Brasini.

Il disco è un concept album sulla malavita intesa come “il male di vivere”, di conseguenza si sposta il centro dei temi: depressione, suicidio, trauma e disagio sono protagonisti, senza tuttavia abbandonare l’adolescenza. Emerge anche la critica al consumismo. L’aspetto più pessimista e quasi nichilista dei Baustelle inizia a intravedersi. Eccezione è l’ultimo brano, Cuore di tenebra, che chiude il disco in una nota di speranza, da ricercare nell’amore.

Il sound è spettacolare: l’aggiunta dell’orchestra alla strumentazione originale è quanto di più brillante si potesse fare, il mixing è semplicemente perfetto e le voci hanno finalmente trovato il loro iconico stile definitivo.

I brani più di successo sono i due singoli, ma il vero capolavoro del disco — e mio brano preferito dei Baustelle — è la dimenticata A vita bassa. Il mio attuale innamoramento per questo brano mi impedisce di descriverne l’imponenza, posso solo invitarvi ad ascoltarlo.

Nel 2008 esce il singolo Charlie fa surf, una parodia di ribellione adolescenziale nonché brano in assoluto più di successo della band, seguito dal grande capolavoro dei Baustelle: Amen. Questa volta la Targa Tenco viene portata a casa e il disco è di platino.

Il sound segue la scia del disco precedente, a tratti più rock e aggressivo, con un’orchestra di archi e una di fiati che creano delle atmosfere semplicemente impagabili e con arrangiamenti molto più intricati, non lontani dallo stile barocco. Nonostante ciò, le canzoni non si “appesantiscono” dal punto di vista strumentale e anche le melodie più semplici non vengono invase: è un arrangiamento imponente con allo stesso tempo la giusta presenza e la giusta assenza sonora.

I temi trattati si evolvono ancora: ora è centrale la critica alla civiltà, di cui è emblematica Il liberismo ha i giorni contati e una ricerca di una fuga da essa nella religione e la filosofia, trattata in Andarsene così. L’amore rimane un tema fortemente trattato, in una visione ancora più negativa dei dischi precedenti in L’aeroplano, Dark Room e La vita va.

I singoli sono la già citata Charlie fa surf, Colombo, sulle vicende della serie statunitense sul luogotenente Colombo, e Baudelaire, “un inno al non suicidio” che prende in esame l’ononimo autore e molti altri. Non c’è altro da dire, questo disco per essere compreso va semplicemente ascoltato.

«La musica ha lo scopo di rappresentare la nostra vita».

Nel 2010 esce I mistici dell’occidente, titolo preso dall’omonimo saggio di Elémire Zolla, dal quale emergono temi trattati all’interno del disco: dall’esperienza pagana a San Francesco, secondo brano del disco.

Questo disco è un passo indietro sotto più aspetti: gli arrangiamenti e le orchestrazioni si semplificano molto; il citazionismo e la critica si riducono dando spazio a un’autobiografia più esplicita, dunque torna l’adolescenza, e il linguaggio si fa molto meno spinto.

Il sound è ancora buono, anche se, essendo comunque un disco d’oro e un secondo posto alla Targa Tenco, la composizione si abbassa molto di livello, lasciando solo alcuni episodi buoni, come L’indaco, il singolo Gli spietati e L’ultima notte felice del mondo. Si ha in molti altri brani la percezione che a renderli passabili sia solo la bellezza delle voci, Bianconi come una sorta di De André e Bastreghi… beh, come Bastreghi, un modello femminile difficilmente pareggiabile.

Nel 2013 esce Fantasma, anticipato dal singolo La morte (non esiste più), un disco molto diverso da tutti quelli pubblicati finora: il sound mette in primo piano l’orchestra sinfonica in uno stile molto più vicino alla musica classica del Novecento. Non mancano poi i riferimenti alla musica dei western di Morricone, già presente nel disco precedente, e un riferimento alla musica d’autore italiana grazie più che altro allo stile e al registro vocale di Bianconi.

È un concept album sul tema del tempo: «Il passato è un fantasma e così è il futuro incerto, ma il solo fantasma di cui avere paura è quello che sta dentro di noi» dice Bianconi. I riferimenti culturali e soprattutto letterali sono svariati: da Leopardi a Foscolo, da Montale a Schopenhauer.

Per la seconda volta consecutiva è un secondo posto alla Targa Tenco, ma è la vittoria del Premio Lunezia per il valore musical-letterario del disco. Inoltre, i Baustelle raggiungono il secondo posto, il più alto fino a quel momento, nella classifica FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana).

C’è solo un piccolo problema: per quanto il sound di stampo classico sia molto interessante e reso molto bene dai vari intermezzi strumentali, il livello compositivo si abbassa drasticamente: i brani non sono brutti, ma nessuno in particolare spicca in bellezza se non quelli strumentali; è la prima volta che questo accade in un disco dei Baustelle. I più memorabili sono probabilmente Monumentale, ancora riproposta dal vivo oggi, Radioattività e Cristina.

I Baustelle nel 2017

Ma l’ascesa al successo dei Baustelle non finisce qui: nel 2017 pubblicano L’amore e la violenza, anticipato dal singolo di grande successo Amanda Lear, che riceve un disco d’oro, un altro secondo posto nella classifica FIMI e viene seguito da un tour di quasi cinquanta date, tutte sold out.

Questo disco è un ritorno al vecchio approccio: si lascia da parte l’arte alta e si torna a parlare di adolescenza, ma con molta più maturità. Il tema centrale, stavolta, è l’ancestrale Eros vs Thanatos, già molto presente nei primi due dischi.

Il sound, invece, è molto più pop e orecchiabile di quanto sia stato prima, con un evidente dominio delle tastiere. Finalmente il livello compositivo si rialza e riappaiono brani davvero belli: i singoli Amanda Lear e Il vangelo di Giovanni e i brani Basso e batteria e L’era dell’acquario. Questi sono i miei preferiti, ma in generale quasi tutto il disco è buono.

A sorpresa, l’anno dopo esce L’amore e la violenza vol.2, la cui strumentale d’apertura, Violenza, si contrappone a Love, che apriva il disco precedente.

Seppur sia concepito come seguito, non vi è purtroppo paragone se non per il sound: il livello compositivo è molto più basso. Spiccano la già citata Violenza, la strumentale La musica elettronica, Lei malgrado te e Il minotauro di Borges, ma con un serio divario con il resto del disco. Sembra, inoltre, che la band si stia conformando a un indie più moderno e radiofonico.

Dopo svariati anni di dovuta pausa a causa del rischio dello scioglimento della band con pubblicazioni soliste di Bastreghi e Bianconi, nel 2023 i Baustelle rimpiazzano tutti i loro turnisti ed esce Elvis, un ulteriore rinnovamento della band: per la prima volta è la componente elettronica a essere tralasciata e le chitarre spiccano in un disco di stampo rock’n roll, blues e addirittura gospel, in certi momenti.

I temi? Indovinato, l’adolescenza! Insieme a quasi tutti i temi citati in precedenza, con l’aggiunta della guerra (in Ucraina) e con un particolare focus sulla decadenza. Elvis, infatti, non solo è il re del rock’n roll, ma ne è anche la figura decadente per eccellenza. Ogni brano, infatti, rappresenta un diverso Elvis nel suo stato di rovina.

Il livello compositivo è sicuramente più alto del disco precedente: i due singoli Contro il mondo e Milano è la metafora dell’amore e i brani Cuore, La nostra vita e Los Angeles sono sicuramente apprezzabili; peccato che nessuno tra loro competa con i picchi della produzione baustelliana.

Dunque, cosa ci lasciano i Baustelle oggi? A me personalmente hanno lasciato la bocca asciutta, visto che il loro attuale tour è andato sold out prima che potessi accorgermi della sua esistenza. Ci lasciano anche una collaborazione col neonato singolo di Tommaso Paradiso, Amore indiano. Importante citare che La malavita (e non Amen, ahimé, anzi, amen) è stato inserito al 21esimo posto nella classifica dei 100 migliori dischi italiani di Rolling Stone.

Da questa band si può apprezzare la facile immedesimazione nei temi, il valore della qualità compositiva, soprattutto per i patiti dell’armonia come me e per chi la studia, orecchiabilità, versatilità stilistica e un duo vocale semplicemente magnifico.

Che ne pensate, non vale la pena di dare un ascolto? Ω

Io (a sinistra) con un mio amico e i Baustelle a un ritrovo in Feltrinelli per l’uscita del disco Elvis

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