Accade talvolta qualcosa di blu.

Antonio Viesti
La civiltà delle macchine
3 min readMar 6, 2021

Allora, quando? Quando la nostra cultura scientifica ha smesso di capire il mondo? — chiede un enigmatico personaggio al professor Heisenberg, in un losco bar di Copenaghen.

Quando? Ci occorrerebbe comprenderlo, nello scenario tutto da costruire del next normal post-pandemico. Quando? Ci ragiona questo libro, di un altrettanto enigmatico Benjamín Labatut — scrittore di fiction distopica o filosofo della scienza? — pubblicato da Adelphi in questi giorni, attraverso una trama fitta di storie collegate l’una all’altra come una ragnatela che ti imprigiona fino alla fine.

Storie di scienza — anzi di scienziati — dal blu chimico di Diesbach fino alla fisica quantistica di Einstein, Schrödinger, Heisenberg — nel contesto dell’Europa, oppure del Novecento, oppure dell’orrore («il picco di civilizzazione che l’Europa ha raggiunto è coinciso con lo zenit dell’orrore»). La scienza moderna — e il suo motore matematico — hanno già assicurato la nostra distruzione? Come ha scritto Alexander Grothendieck, «gli atomi che lacerarono Hiroshima e Nagasaki non furono divisi dalle dita unte di un generale, ma da un gruppo di fisici armati di un pugno di equazioni».

Quella del blu chimico — che apre il libro — è quella più emblematica. Il blu è stato per secoli il tormento degli artisti, poiché procurarsi materiali per la pittura di questo colore ha sempre costituito un’impresa ardua, ma senza questo pigmento avrebbero dovuto rinunciare a dipingere il mare e il cielo. È il colore blu, il più difficile, raro e pregiato da procurarsi da sempre. Occorreva macerare i preziosissimi lapislazzuli afgani, più costosi dell’oro, frammenti di cielo caduti in terra, ed adoperarne le polveri come Giotto negli affreschi della cappella Sistina a Roma, Michelangelo in quelli della basilica di San Francesco ad Assisi, e — con il rosso porpora e l’oro — nell’iconografia delle madonne. Gli artisti europei le impiegavano con parsimonia, queste polveri d’oltremare, sostituendole quando possibile con pigmenti più poveri ma non così azzurri. Poi arrivò il blu chimico, all’inizio del XVIII secolo, quando il fabbricante di pigmenti Johann Jacob Diesbach ed il suo assistente Johann Konrad Dippel crearono il luminoso blu di Prussia, il colore originale del cielo, il blu leggendario con cui gli egizi dipingevano la pelle degli dèi, isolando nel 1704, a Berlino, il cianuro (cianuro, dal greco cyanos, blu). Dal cianuro poi — in qualche decennio — lo Zyklon A, impiegato come pesticida negli aranceti californiani e per disinfestare i treni in cui decine di migliaia di migranti messicani si nascondevano per entrare negli Stati Uniti, e poi — in ancora qualche decennio — lo Zyklon B, il gas sterminatore di Treblinka, Sobibor e Auschwitz: colorati di blu sono ancora oggi i mattoni di quelle camere a gas.

Nel blues melanconico dell’esistenza le cose che accadono non sono quasi mai quelle che si cercavano, il proprio agire non è quasi mai quello che avremmo voluto fare, ed anche i figli li vedi crescere meravigliosamente autonomi e diversi da come li avevi immaginati. Betty Blue è un film del 1986, bellissimo e tragico. Il titolo originale — 37°2 le matin — si riferisce alla temperatura corporea normale, al risveglio, di una donna in gravidanza. Parla di un figlio desiderato e non avuto, e di come anche la vita prenda talvolta pieghe terribili e disperate. Ma probabilmente il traguardo è proprio questo: smettere di capire il mondo come lo abbiamo capito fino ad adesso, ed avventurarsi verso una forma di comprensione nuova.

https://www.adelphi.it/libro/9788845935183

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Antonio Viesti
La civiltà delle macchine

Sono nato vicino ad un passaggio a livello. Conosco i percorsi delle autolinee urbane. Di solito dormo nel posto più vicino alla porta.