Rugby Sei Nazioni 2019, Italia: da sfatare la maledizione “cucchiaio di legno”

Mario Bocchio
La leggenda del rugby
3 min readFeb 1, 2019

Sarebbe meglio non fare caso ai numeri. Delle Sei Nazioni, l’Italia è quella messa peggio: 15° posto nel ranking mondiale, mentre la Francia è al 9°, la Scozia al 7° e poi — molto più su -, Inghilterra 4°, Galles 3° e Irlanda 2°. Negli ultimi 2 anni, gli azzurri hanno giocato 22 incontri: solo 3 successi. Non vincono un match del torneo dal 2015 — Edimburgo, meta di punizione allo scadere — e all’Olimpico addirittura dal 2013 con l’Irlanda, c’erano ancora Lo Cicero, Masi, Orquera, Geldenhuys. In 95 sfide dal Duemila ad oggi: 82 sconfitte, un pari, 12 vittorie. “Anche se non sono mai stati dei seri avversari del Sei Nazioni, c’è sempre una qualche speranza che alla fine gli azzurri possano scampare al Cucchiaio di Legno”, pubblica in questi giorni con spietato — compassionevole — realismo l’inglese The Rugby Paper. Sarà un’altra edizione di pura sofferenza?

Parisse, un totem non basta
La Nazionale ancora una volta si affidata al totemico Sergio Parisse, il solo fuoriclasse a disposizione: a 35 anni, nella sua ultima stagione con la maglia dell’Italia, il capitano guida una squadra che — parole sue — “continua a progredire, però ci vogliono dei successi sul campo: perché altrimenti è tutto inutile”. In autunno purtroppo non sono arrivati segnali troppo incoraggianti: la Nazionale ha vinto con la Georgia, soffrendo più del dovuto nella ripresa; è stata brutalizzata da Irlanda e Nuova Zelanda; si è battuta con l’Australia ma ha comunque rimediato un netto passivo. La squadra ha perduto quella superiorità in mischia ordinata che anni fa ci aveva regalato tante soddisfazioni, e la mancanza non è stata compensata da un progresso significativo nella linea dei tre-quarti. I due giocatori che recentemente si sono fatti notare — Polledri, Negri — vengono entrambi dalla scuola inglese, e il primo sarà fuori per infortunio. Ma non tutto è perduto. Ad un patto.

La scuola veneta
Delle due franchigie che nutrono la Nazionale, quella della Federazione accumula una delusione dietro l’altra. Treviso, il club veneto, fa sostanzialmente da sé: e per ora ha collezionato belle prestazioni, tanto nella lega celtica quanto in Challenge Cup, mostrando attualmente una invidiabile forma fisica. E molto probabile, se non auspicabile, che il ct Conor O’Shea si affidi proprio al ‘bloccò trevigiano: inserendo poi quegli atleti che giocano all’estero (Parisse, Ghiraldini, Campagnaro) e non più di un paio delle Zebre (Lovotti, Castello, forse l’ultimo arrivato: un altro inglese, David Sisi). Se così sarà, allora l’Italrugby potrebbe provare a giocarsela nell’esordio di Edimburgo, facendo attenzione soprattutto ai minuti iniziali. Un buon risultato potrebbe finalmente permettere a O’Shea e i suoi di svoltare, dopo troppe stagioni in rosso.

Un calendario favorevole
Il calendario è tutto sommato favorevole. Quest’anno gli azzurri disputano 3 partite all’Olimpico (con l’incognita del pubblico: gli insuccessi delle ultime stagioni rischiano di scoraggiare gli appassionati), e solo il match di Twickenham con l’Inghilterra appare impossibile. Ma tra il coraggio di una buona prestazione e la vittoria c’è tanta strada da percorrere. Come Treviso, l’Italia dovrà puntare su di una difesa impeccabile per poi capitalizzare le poche occasioni a disposizione. Primo: placcare. Secondo: placcare. Terzo: placcare. E poi, molto passerà tra le mani della coppia mediana Tebaldi-Allan: la loro capacità di inventare e sorprendere degli avversari sulla carta superiori potrà forse tornare a regalarci quei sorrisi che mancano da troppo tempo.

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Mario Bocchio
La leggenda del rugby

Giornalista professionista, amo il calcio, soprattutto quello dei mitici anni Ottanta. Non disdegno la politica, anche per averla praticata attivamente