La mappa delle sorgenti di raggi gamma visibili nell’ultimo catalogo del telescopio spaziale Fermi, pubblicato a gennaio 2016. Le etichette indicano le dieci sorgenti galattiche più potenti. Le due bolle rossastre visibili a nord e a sud del centro galattico sono probabilmente i residui di un picco di attività del buco nero supermassiccio che si trova al centro della Via Lattea. Credit: NASA/DOE/Fermi LAT Collaboration

Il cielo alle altissime energie

La nuova mappa delle sorgenti di raggi gamma del telescopio spaziale Fermi identifica oggetti che emettono fotoni migliaia di miliardi di volte più energetici della luce visibile

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
8 min readFeb 4, 2016

--

Rilevare i raggi gamma

In astronomia i raggi gamma sono i messaggeri di eventi ed oggetti dotati di altissime energie. Nuclei galattici attivi, stelle di neutroni, esplosioni e resti di supernova sono tra le principali fonti di raggi gamma che raggiungono la Terra dallo spazio esterno, portandoci informazioni su alcuni dei fenomeni più energetici dell’Universo.

Tuttavia, rilevare i raggi gamma non è cosa semplice. Innanzitutto sono rari, molto più rari dei fotoni emessi nelle frequenze della luce visibile. In secondo luogo, sono filtrati dall’atmosfera terrestre, che li assorbe per buona parte prima che arrivino a terra. Ciò richiede che un osservatorio per raggi gamma debba trovarsi ai confini o, meglio ancora, al di fuori dell’atmosfera terrestre, se vuole ottenere dati meno parziali e contaminati.

In terzo luogo, anche un osservatorio spaziale non basta, se non è costruito secondo criteri molto particolari, differenti da quelli dei comuni telescopi e radiotelescopi. Specchi e antenne, infatti, non sono in grado di fermare i raggi gamma, che li attraversano senza formare alcuna immagine. Per rilevare questo tipo di radiazione occorrono strumenti specifici come il LAT (Large Area Telescope) del telescopio spaziale Fermi, basato su un sistema di sottili piastre metalliche impilate l’una sull’altra, in grado di convertire i fotoni gamma in coppie elettrone-positrone. Dal modo in cui le particelle cariche generate dall’impatto con le piastre si diffondono all’interno dell’apparecchiatura, è possibile ricostruire i livelli energetici e la provenienza dei fotoni gamma, il che permette poi di associare a essi, in molti casi, un oggetto già rilevato in altre frequenze dello spettro, per esempio resti di supernova, blazar o stelle di neutroni.

La struttura del Large Area Telescope (LAT) a bordo del telescopio spaziale Fermi. Credit: INAF

A complicare le cose, per ogni fotone gamma convertito in una coppia elettrone-positrone, ci sono migliaia di altre particelle cariche, come i raggi cosmici, che colpiscono i rilevatori di un osservatorio posto in bassa orbita terrestre. Sono perciò necessari software molto complessi per riuscire a districare dalla mole di eventi registrati quelli che sono realmente attribuibili a fotoni gamma provenienti da oggetti spaziali distanti. Con tutte queste limitazioni, non deve sorprendere che il campo di osservazione e la risoluzione di un telescopio spaziale per raggi gamma siano relativamente modesti, rispetto alle prestazioni che è in grado di raggiungere un telescopio tradizionale.

Nonostante queste difficoltà, negli ultimi decenni le tecnologie per mappare il cielo nei raggi gamma si sono notevolmente affinate. Con il lancio avvenuto nel 2008 del telescopio spaziale Fermi, si è avuta la possibilità di osservare con una precisione mai raggiunta prima — soprattutto dopo l’ultimo upgrade dei sistemi del telescopio — la distribuzione di sorgenti di fotoni gamma dotati di energie elevatissime: energie nell’ordine dei teraelettronvolt (TeV), cioè 12 ordini di grandezza maggiori di quelle dei fotoni della luce visibile, tipicamente comprese tra i 2 e i 3 elettronvolt (eV).

La cosa sorprendente è che l’upgrade in questione è stato realizzato senza intervenire fisicamente sul telescopio, che continua tranquillamente a orbitare a poco più di 500 km sulle nostre teste, puntando verso lo spazio esterno gli stessi due strumenti che aveva all’epoca del lancio: il Gamma-ray Burst Monitor (GBM) e il già citato LAT.

Le migliorie apportate hanno riguardato unicamente il software che gestisce i dati registrati dal Fermi. L’ultimo aggiornamento, chiamato Pass 8, è un lungo e complicatissimo programma che fa tesoro dei quasi otto anni di esperienza maturati dagli analisti su tutto ciò che riguarda gli eventi generati all’interno del telescopio dall’impatto di raggi gamma e raggi cosmici.

Il nuovo programma ha permesso di migliorare di circa il 40% le prestazioni del Fermi, aumentando la risoluzione angolare e la sensibilità del telescopio ai fotoni gamma più energetici nonché la capacità di discriminare tra raggi gamma e raggi cosmici. Ma Pass 8 non sarà utile solo per le osservazioni future; si è invece già rivelato prezioso nel riesame dei dati disponibili. Passando, infatti, al setaccio con il nuovo software tutti gli eventi registrati dal telescopio in 80 mesi di osservazioni, da agosto 2008 ad aprile 2015, un team internazionale di scienziati, del quale fanno parte molti studiosi italiani, ha ottenuto un nuovo e più aggiornato catalogo del cielo alle altissime energie, contenente numerose sorgenti di raggi gamma precedentemente sconosciute.

Il nuovo catalogo 2FHL

Il risultato di questo lavoro è stato pubblicato il 14 gennaio 2016 in un articolo scientifico intitolato 2FHL: The Second Catalog of Hard Fermi-LAT Sources. Il nuovo catalogo, frutto del riesame dei dati effettuato con Pass 8, si basa sul rilevamento di un totale di circa 61.000 fotoni gamma distribuiti su tutto il cielo. Questi fotoni corrispondono a 360 sorgenti, con emissioni di raggi gamma comprese 50 GeV e 2 TeV. Il riprocessamento degli stessi 80 mesi di dati, fatta per confronto con la versione precedente del software (Pass 7), ha portato all’identificazione di sole 230 sorgenti: circa il 35% in meno.

Delle 360 sorgenti nel catalogo 2FHL, 274 sono extragalattiche (il 75%), 38 sono galattiche (l’11%) e 48 (il 13%) non sono associate, almeno per ora, a oggetti noti. Di queste ultime, più della metà si trovano a una latitudine celeste tale da far presumere che si tratti di sorgenti extragalattiche.

La tabella che elenca i diversi tipi di oggetti che formano il catalogo delle 360 sorgenti di raggi gamma del 2FHL. Credit: arXiv:1508.04449 [astro-ph.HE]

Le sorgenti di raggi gamma extragalattiche di gran lunga più abbondanti sono i blazar, nelle loro varie sottospecie. Si tratta di oggetti luminosissimi, spesso fortemente variabili e compatti, associati di solito a galassie ellittiche giganti. Secondo il punto di vista corrente, ciò che dalla Terra appare come un blazar è la radiazione super-energetica prodotta da uno dei getti relativistici, casualmente orientato nella nostra direzione, emanante dal disco di accrescimento di un buco nero supermassiccio, posto al centro di un nucleo galattico attivo. Questa interpretazione spiega bene la variabilità, la compattezza di questi oggetti e i fenomeni di tipo relativistico che li accompagnano, come l’apparente moto a velocità superluminale di alcune loro caratteristiche.

Il blazar con la maggiore emissione di raggi gamma presente nel nuovo catalogo è Markarian 421, situato a circa 400 milioni di anni luce da noi, nella costellazione dell’Orsa Maggiore.

Il blazar Markarian 421, osservato con la WFPC2 di Hubble nel 1999. Credit: NASA/ESA Hubble Legacy Archive

Invece, delle 38 sorgenti di origine galattica presenti nel catalogo 2FHL, la maggior parte sono pulsar e resti di supernova. In particolare, 18 di queste sorgenti sono associate a pulsar wind nebulae, cioè nebulose prodotte dall’impatto col mezzo interstellare di un vento di particelle cariche espulse a velocità relativistica da pulsar in velocissima rotazione. Le pulsar wind nebulae, dette anche plerion (un termine che deriva dalla parola greca πλήρης, “pleres”, che significa “pieno”), sono regioni di spazio dominate da fenomeni energetici estremi, che hanno origine dalla stella di neutroni formatasi dopo l’esplosione di supernova di una stella massiccia.

Quando una stella termina la sua vita come supernova, i suoi strati esterni vengono dispersi nel mezzo interstellare, formando un’intricata trama di detriti — il resto di supernova — che si dissolve nel giro di alcune migliaia di anni. Se la supernova ha lasciato dietro di sé una pulsar, cioè una stella di neutroni in velocissima rotazione, altamente magnetica, allora il vento della pulsar, che è un plasma di particelle cariche emesso a velocità relativistiche, può interagire col resto di supernova producendo un plerion.

Il plerion formato dalla pulsar al centro della Nebulosa del Granchio, osservato nei raggi X dal telescopio spaziale Chandra ad aprile 2011. Credit: NASA/CXC/MSFC/M.Weisskopf et al.

Il plerion in assoluto più studiato è nel resto di supernova che forma la Nebulosa del Granchio (Crab Nebula), nella costellazione del Toro: una giovane pulsar interagisce con i detriti lasciati dalla famosa supernova esplosa nel 1054, formando un complesso oggetto che emette radiazioni praticamente in tutte le frequenze dello spettro.

La Nebulosa del Granchio è la sorgente di raggi gamma galattica più potente tra quelle rilevate dal Fermi. Si pensa che uno dei meccanismi che alimentano le sue super-energetiche emissioni sia il cosiddetto effetto Compton inverso: dei fotoni a bassa energia impattano contro gli elettroni superveloci emessi dal vento della pulsar; questi cedono ai fotoni parte della loro energia cinetica, trasformandoli nei fotoni gamma ad altissima energia che, a migliaia di anni luce di distanza, hanno colpito i rilevatori del telescopio Fermi.

Tra gli oggetti galattici presenti nel catalogo 2FHL, altre potenti sorgenti di raggi gamma sono il resto di supernova che si trova nei pressi di Gamma Cygni e quello, informalmente chiamato Vela Junior, che si trova nella costellazione della Vela. Emissioni di raggi gamma provengono anche da Eta Carinae: gli astronomi pensano che, nascosto dai gas e dalle polveri della Nebulosa Homunculus, vi sia un sistema binario formato da due stelle di grande massa, i cui venti stellari collidenti accelerano le particelle cariche intrappolate nelle regioni di confine, fino a produrre i fotoni gamma altamente energetici registrati dai sensori del Fermi.

Un’altra caratteristica rimarchevole, visibile nell’ultima mappa del cielo nei raggi gamma creata con i dati ottenuti dal LAT, sono le due grandi bolle di forma approssimativamente sferica che si protendono per migliaia di anni luce a nord e a sud del centro galattico. Secondo la teoria corrente, le bolle sono il residuo di un picco di frenetica attività di Sgr A*, il buco nero supermassiccio che si trova al centro della Via Lattea. Questo buco nero da circa 4 milioni di masse solari è oggi insolitamente calmo, ma le due grandi bolle visibili nei raggi gamma suggeriscono che in passato la situazione deve essere stata ben diversa. Quelle bolle testimoniano, infatti, un pasto del buco nero da decine o forse migliaia di masse solari, avvenuto probabilmente a spese di nubi di gas interstellare transitate nelle sue vicinanze.

Il cielo osservato nei raggi gamma è — se non fosse ancora chiaro — un’antologia dei fenomeni più violenti che segnano la vita e l’evoluzione delle galassie.

Il telescopio spaziale Fermi in orbita intorno alla Terra (rappresentazione artistica). Credit: NASA

--

--

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.