Immagine di Betelgeuse ripresa dal telescopio spaziale Hubble nel 1995. Credit: Andrea Dupree (Harvard-Smithsonian CfA), Ronald Gilliland (STScI), NASA eESA

Il disco di Betelgeuse

La supergigante rossa in Orione è la prima stella, a parte il Sole, di cui si sia riusciti a osservare direttamente la “superficie”

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
6 min readMar 6, 2009

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Giganteschi moti convettivi

In uno studio pubblicato nel 1990, gli autori D.F. Buscher, C.A. Haniff, J.E. Baldwin e P.J. Warner ragguagliarono la comunità scientifica sui risultati di osservazioni interferometriche eseguite con il telescopio William Herschel da 4,2 metri:

Presentiamo immagini ad alta risoluzione del febbraio 1989 della supergigante-M Betelgeuse alle lunghezze d’onda di 633, 700 e 710 nm, realizzate usando il metodo del mascheramento non ridondante. A tutte queste lunghezze d’onda, c’è l’inequivocabile evidenza di una caratteristica asimmetrica sulla superficie della stella, che contribuisce per il 10–15 per cento al flusso totale osservato. Ciò potrebbe essere dovuto al passaggio davanti al disco stellare di una vicina compagna o, più probabilmente, a una convezione su larga scala nell’atmosfera stellare.

Nelle conclusioni, riprendendo l’ipotesi dei moti convettivi, gli autori aggiungono:

È lecito attendersi che queste zone superficiali siano così grandi che solo poche di esse possano essere presenti sulla superficie allo stesso tempo […]. In effetti i nostri dati suggeriscono che stiamo osservando un’asimmetria che sorge molto vicina alla superficie stellare […].

Immagini di Betelgeuse ottenute con l’interferometria, alle lunghezze d’onda di 633, 700 e 710 nm, con risoluzioni angolari rispettivamente di 48, 38 e 39 millesimi di secondo d’arco. La presenza di forti asimmetrie è evidente. Credit: Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, vol. 245, 1990

La prima immagine diretta della superficie di una stella diversa dal Sole

A maggio 1996 uscì sul numero 436 di The Astrophisical Journal uno studio che presentava la prima immagine diretta della superficie di una stella, ottenuta grazie alle immaginifiche doti del telescopio spaziale Hubble. La stella prescelta per questa prima volta fu, manco a dirlo, proprio Betelgeuse. Gli autori, Ronald L. Gilliland e A.K. Dupree, spiegarono:

La prima immagine diretta della superficie di una stella diversa dal Sole nell’ultravioletto è stata ottenuta con l’Hubble Space Telescope (HST). La brillante supergigante Betelgeuse (= α Orionis = HD 39801) è da lungo tempo una delle migliori candidate per studi di interferometria […] perché possiede il più ampio diametro apparente rispetto a qualsiasi stella a parte il Sole.

La scelta di Betelgeuse, insomma, fu tutt’altro che casuale o sentimentale, ma fu dovuta al fatto che la supergigante rossa è, dopo il Sole, la stella con il maggiore diametro angolare visibile dalla Terra.

Grazie alla potenza di Hubble, fu possibile rilevare intorno a Betelgeuse la presenza di una cromosfera molto estesa, di cui era indizio il fatto che il diametro del disco della stella, misurato nell’ultravioletto, era circa il doppio del diametro osservato nella luce visibile. Poi i due autori concentrarono la loro attenzione sulla regione brillante (“the Bright Region”), chiaramente visibile nell’immagine di Hubble:

La presenza di un unico, brillante elemento dominante nell’atmosfera di Betelgeuse è qualcosa di radicalmente diverso dall’immagine UV del Sole (la sola altra stella con un disco direttamente visibile), la quale ha un tipico aspetto a chiazze con molte regioni attive presenti contemporaneamente. L’elemento osservato su Betelgeuse potrebbe essere composto da un insieme non risolto di regioni brillanti. Ma, al minimo solare, quando ci sono poche macchie sul disco del Sole, non è mai capitato finora di osservare una singola grande regione attiva (o gruppo) che copra circa il 10 per cento dell’area visibile e circa il 20 per cento del flusso. Pertanto, l’atmosfera di questa supergigante fornisce l’evidenza di un fenomeno fisico totalmente nuovo nelle atmosfere stellari luminose, il che è promettente per la comprensione della struttura e dell’equilibrio energetico nelle atmosfere a bassa gravità.

La prima immagine diretta del disco di una stella diversa dal Sole, Betelgeuse, fu acquisita con la Faint Object Camera del telescopio spaziale Hubble il 3 marzo 1995. La grandezza apparente di Betelgeuse è circa 20.000 volte minore di quella della Luna piena. Per fotografarne la superficie occorre una risoluzione equivalente a quella necessaria per scorgere i fari di un’automobile dalla distanza di 9.650 km. Credit: Andrea Dupree, Ronald Gilliland, NASA, ESA
L’immagine del disco di Betelgeuse catturata da Hubble nell’ultravioletto, mostrata attraverso differenti manipolazioni dei dati. Il cerchio nero sovrapposto all’immagine della stella, visibile nei riquadri F e L, rappresenta le dimensioni di Betelgeuse misurate nelle frequenze ottiche. Credit: The Astrophysical Journal, 463:L29L32, 1996

Ma come apparirebbe Betelgeuse se potessimo osservarla da vicino, con i suoi spaventosi moti convettivi e la superficie non ben definita? Le tre simulazioni al computer visibili di seguito, realizzate da Bernd Freytag, un astronomo del Centre de Recherche Astronomique di Lione, cercano di fornire una risposta scientificamente fondata.

Simulazione digitale di come potrebbe apparire all’occhio umano la superficie di Betelgeuse, agitata da incessanti moti convettivi. Credit: Dr. Bernd Freytag
I moti convettivi producono differenze di pressione che si traducono in onde d’urto che viaggiano alla velocità del suono e sconvolgono l’atmosfera della stella. Il cerchio tratteggiato bianco indica la regione centrale in cui l’energia viene prodotta e iniettata nel sistema. Credit: Dr. Bernd Freytag
La densità della materia decresce dal nucleo della stella verso l’esterno, per raggiungere un nuovo picco alla superficie, dove si scontrano le onde d’urto prodotte dalla pressione. La mappa dei colori indica con il bianco e il giallo le zone più dense e con l’arancio e il rosso quelle meno dense. Credit: Dr. Bernd Freytag

Un’atmosfera estesissima

In uno studio del 2002, J. Gethyn Timothy, Elliott Horch e Jeff Valenti presentarono le prime immagini di Betelgeuse ottenute nel lontano ultravioletto, grazie al sofisticato spettrografo montato sul telescopio spaziale Hubble. I dati registrati con lo STIS (Space Telescope Imaging Spectrograph) rivelavano la presenza di un’atmosfera stellare estesa più di tre volte il diametro di Betelgeuse nella luce visibile:

La dimensione e la struttura dell’atmosfera osservate alla lunghezza d’onda del lontano ultravioletto sono (…) significativamente più ampie e strutturate di quelle osservate finora nel vicino ultravioletto e nelle onde radio. Se Betelgeuse si trovasse al centro del sistema solare la sua atmosfera si estenderebbe oltre l’orbita di Saturno (…). Benché l’atmosfera di Betelgeuse sia così estesa, registrare quest’immagine ha spinto le capacità di Hubble e dello STIS fino al limite. La risoluzione angolare ottenuta avrebbe permesso di osservare una moneta da dieci centesimi dalla distanza di 60 miglia [= 96,5 km].

L’atmosfera di Betelgeuse ripresa nel lontano ultravioletto dal telescopio spaziale Hubble. Il disco bianco corrisponde al diametro della stella osservato nella luce visibile. Credit: The First Far Ultraviolet Image of Alpha Orionis (Betelgeuse, HD 39801)

Ridefinizione della distanza e delle dimensioni di Betelgeuse

Nell’agosto 1989, un razzo Ariane 4 portò in orbita intorno alla Terra il satellite Hipparcos dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Nel corso di una missione durata quattro anni, Hipparcos realizzò un’accuratissima mappatura del cielo, catalogando le 118.218 stelle più brillanti visibili dalla Terra. Tra i dati archiviati dal satellite, il più importante era la parallasse di ciascuna stella, calcolata con una precisione di 1 millesimo di secondo d’arco (mas). In questo catalogo, Betelgeuse è indicata come HIP 27989 e la sua parallasse è stimata in 7,63 mas. Da questo dato, per mezzo di una banale divisione (1/0,00763), è facile risalire alla distanza della stella, che corrisponde a 131 parsec, ovvero 427 anni luce.

Sembrava che Hipparcos avesse messo la parola fine all’annosa questione della distanza di Betelgeuse. Tuttavia, in uno studio pubblicato su The Astronomical Journal nell’aprile 2008, fu prodotta una nuova stima della distanza di Betelgeuse: circa duecento anni luce in più rispetto al valore misurato da Hipparcos. La nuova ricerca combinava i dati forniti dal satellite dell’ESA con quelli ottenuti nelle frequenze radio attraverso una serie di rilevazioni effettuate in varie epoche con il radiotelescopio VLA (Very Large Array) del National Radio Astronomy Observatory (NRAO). Le conclusioni furono le seguenti:

Posizioni di Betelgeuse ottenute da osservazioni VLA multi-lunghezza d’onda ad alta risoluzione spaziale hanno condotto a una riduzione nella parallasse e a un’accresciuta distanza, rispetto a quelle misurate da Hipparcos. I nostri nuovi moti propri sono appena coerenti con le ultime soluzioni di Hipparcos e il necessario “rumore cosmico” suggerisce che nella soluzione di Hipparcos rimangono degli errori sistematici. Combinando i dati posizionali di Hipparcos e del VLA, i differenti tipi di errori sistematici possono sfociare in un risultato più robusto. In un certo senso, la distanza derivata di 200 parsec è un compromesso tra la distanza di 131 parsec di Hipparcos e quella radio che tende verso i 250 parsec. Future nuove posizioni radio dovrebbero condurre a una migliore soluzione astrometrica.

I nuovi calcoli sulla distanza di Betelgeuse impongono di ridefinire anche altri parametri. A una distanza di circa 200 parsec, pari approssimativamente a 652 anni luce, il diametro della stella, dato il diametro angolare noto, diventa di 950 raggi solari, ovvero all’incirca 1 miliardo e 321 milioni di chilometri. In base al suo stadio evolutivo di supergigante rossa, la sua massa è valutabile in 18 masse solari, il che, data l’enorme estensione della stella, corrisponde a una gravità superficiale bassissima.

Posta la distanza pari a 200 pc, gli autori dello studio stimarono inoltre l’età di Betelgeuse in circa dieci milioni di anni: un’inezia rispetto all’età del Sole, ma tanto per una stella di grande massa, che ha già esaurito da tempo la sua scorta di idrogeno nucleare e si prepara, con ogni probabilità, a finire i suoi giorni con una poderosa esplosione di supernova.

In base al moto proprio e all’età presunta, lo studio propose infine un’ipotesi anche sul luogo di nascita di Betelgeuse, un ammasso aperto in Orione:

… lo scenario di formazione più probabile è che Betelgeuse sia un’altra stella in fuga da Ori OB1 e che fosse originariamente un membro di un sistema multiplo di grande massa all’interno di Ori OB1a.

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.