L’intimità pubblica della quotidiana liquidità

Antonio Gallo
Bibliomania su GoodReads & Librarything
6 min readApr 7, 2021

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Il Libro

Un originale ossimoro come titolo per un ennesimo libro sui social. Ormai sono quasi venti anni che sono “social” pur non essendo mai stato il contrario. La mia “quotidiana liquidità” la alimento ogni giorno e non saprei vivere senza.

Quando ero giovane, anzi un infante, non mi stancavo mai di stare nella piccola tipografia di mio padre tra carte, inchiostri, lettere di piombo per comporre, tra tagliacarte e stampatrice, era una continua sfida per conoscere come si creava quella che veniva chiamata la comunicazione.

La sala della composizione era una sorta di “intimità pubblica” proprio come il titolo di questo libro. C’erano i testi scritti a mano, l’originale che poi doveva essere composto, lettera dopo lettera, sul compositore. Si mettevano insieme le righe, si creava la forma, ci si passava sopra il rullo del cilindro, si faceva la bozza, la si correggera e si passava alla stampa.

Oggi faccio tutto comodamente da casa, a modo mio, penso, scrivo, compongo, non solo stampo ma trasmetto tutto quello che ho pensato al mondo che sta là fuori. Non lo vedo, ma so che c’è. Se mi risponde qualcuno si crea quella intimità di cui parla l’autore del libro. Tutto diventa pubblico.

Carlo Bordoni pensa che questa comunità sia andata perduta. Io penso il contrario. L’ho ritrovata, la confermo, l’alimento e la condivido ogni giorno, con me stesso e con il mondo. Questo è quello che penso. Leggetevi anche la recensione che ho letto sul “Sole 24 Ore” e che riporto qui di seguito.

“Frammenti di vita, volti, sorrisi, emozioni, invettive e dichiarazioni d’amore…ogni giorno milioni di post sui social network alzano il velo sulla nostra quotidianità e travolgono ogni barriera tra pubblico e privato. Perché lo facciamo? Per stringere legami più profondi con amici reali e virtuali, contrastando quel processo di inarrestabile «desocializzazione» che dall’inizio del secolo sembra aver esacerbato, per dirla con Zygmunt Bauman, la solitudine del cittadino globale? Oppure, al contrario, condividiamo solo i pezzi migliori delle nostre giornate, del nostro corpo e della nostra vita professionale o sentimentale, filtrando i lati meno attraenti e scintillanti, perché negli altri collegati via social cerchiamo non affetto, vicinanza o solidarietà bensì, al contrario, ammirazione, plauso e talvolta persino invidia? I social network ormai egemoni, in altre parole, ci offrono la possibilità di costruire nuovi ponti e di recuperare o consolidare il contatto con gli altri? O invece, come prefigurava già agli albori dell’era social lo psicanalista Luigi Zoja, ci condannano all’inesorabile «morte del prossimo»?

Sono domande aperte, una risposta definitiva è forse impossibile. Tuttavia sono domande urgenti, che non possiamo non porci. Da oltre un anno, infatti, la pandemia costringe gran parte della nostra socialità dentro il perimetro rettangolare di uno schermo: smartphone, tablet e pc si sono imposti come mediatori indispensabili per lavorare, informarci (spingendoci pericolosamente a non dare più peso alle fonti e a far circolare innumerevoli fake news), comunicare con i nostri cari, discutere temi di rilevanza pubblica, partecipare a presentazioni di libri o altri eventi culturali transitati sul web per non sparire del tutto, divertirsi con gli amici, allacciare amicizie nuove o trovare nuovi partner grazie alle app di dating online (che hanno rimpiazzato le serate in discoteca, le feste, le cene da amici e così via). Come ci cambierà questa esperienza di immersione totale nella rete? Quando il vaccino consentirà di allentare (o addirittura eliminare) le restrizioni ai nostri comportamenti, ci scopriremo diversi?

Una mappa per orientarci in questo scenario difficile da decifrare ce la offre il sociologo Carlo Bordoni nel suo bel libro Intimità pubblica. La socialità digitale che in questo periodo ha consolidato la propria egemonia, ci avvisa Bordoni, non ha fatto che radicalizzare tendenze già in atto: l’individualismo estremo da tempo aveva trovato nei social network l’habitat ideale per trasformare in modo irreversibile il prossimo nell’avversario di una competizione senza fine o, ipotesi meno «aggressiva», nello spettatore al quale esporre della nostra vita solo the best of. Il Covid-19, con buona pace dell’ottimismo dei primi mesi all’insegna di «andrà tutto bene» e «ne usciremo migliori», ci ha allontanati gli uni dagli altri accelerando un processo che negli anni ha fatto piazza pulita di categorie chiave della convivenza civile quali «responsabilità» e «solidarietà». Ma non è una novità assoluta: oggi manteniamo il distanziamento (scegliete voi se definirlo sociale o fisico) per ragioni sanitarie, ce lo impongono i decreti governativi. Ma già nel 2002, per descrivere l’emancipazione dai vincoli e dalle gerarchie premoderne, il filosofo Roberto Esposito nel suo Immunitas. Protezione e negazione della vita, scriveva che «solo dissociandosi gli individui possono sfuggire ad ogni contatto mortale». «Ed è esattamente ciò che prevede il vivere nella società attuale — commenta Bordoni — mantenere le distanze, pensare per sé, isolarsi, non farsi coinvolgere».

Si radicalizza oggi un processo che nasce con la modernità. Ma c’è anche un salto, una soluzione di continuità in corso sotto i nostri occhi, dentro le nostre vite. «Iorestoacasa — scrive Bordoni — non è solo l’hashtag che ha imperversato durante il lockdown, coniugato in ogni lingua e dialetto conosciuto: è anche l’inizio di una nuova condizione esistenziale, verso la quale ci dirigiamo a ranghi serrati. La società che conoscevamo, con le sue regole e le sue abitudini, è sconvolta».

L’affermazione dell’individuo come soggetto titolare di diritti inviolabili e libero di scegliersi la propria vita, architrave dell’età moderna, l’ha nel contempo gettato in una condizione inedita di sradicamento, solitudine, volatilità e costante incertezza. L’immagine più celebre, usata e abusata per descrivere questa condizione di precarietà ontologica al volgere del nuovo millennio la offrì Zygmunt Bauman: la liquidità della vita, dell’amore, della società. Bordoni il pensiero di Bauman l’ha seguito da vicino nel suo evolversi, con Bauman ha lavorato e scritto, e dalla sua idea di modernità liquida si è anche allontanato proponendone il superamento in favore della nozione gramsciana di «interregno», la più adatta per un tempo come il nostro in cui «il vecchio non muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno — scrive Gramsci — si verificano i fenomeni morbosi più svariati». Tramontata la vecchia, rassicurante ma oppressiva idea di comunità basata sul sangue e sul suolo, ma insieme ad essa anche il suo contraltare, cioè la società composta da individui liberi e sciolti da ogni vincolo, oggi consegniamo alla rete i nostri bisogni contrastanti. Abbiamo di nuovo voglia di comunità, di sentire intorno a noi quella rete calda di affetti e affinità che offre riparo dall’incertezza in un mondo che è come un mare in tempesta. Ma non vogliamo rinunciare alla libertà assoluta del desiderio individuale reso egemone dal consumismo sfrenato che ha portato il principio di piacere, per dirla con Freud, in netto vantaggio sul principio di realtà. E così apriamo allo sguardo degli altri le porte della nostra intimità, radicalizziamo la violazione della nostra privacy che è del resto la ragion d’essere dei giganti del web. Ma non è chiaro se così facendo stiamo davvero rinunciando al privato in favore del pubblico perché vogliamo vivere «al plurale», o se al contrario stiamo estendendo il privato oltre ogni limite, fino alla dissoluzione di ogni spazio pubblico. Bordoni teme che questa incessante esposizione di sé finisca nello smartphone che teniamo in mano, l’unico vero interlocutore con cui dialogare, divertirsi e addirittura costruire la propria identità personale. Nessun interesse reale per l’altro ma solo tanto narcisismo in grado di reificare le emozioni e il corpo ormai «trasformato in cosa da immettere nel mercato dell’apparire al fine di ottenere un riconoscimento sociale in forma di like».

E tuttavia, a mio avviso, è pur vero che in quell’ansia di riconoscimento narcisistico, superficiale e quantificabile, si nasconde, distorta e quasi irriconoscibile, la traccia di una disposizione al noi e alla condivisione profonda, a quella «messa in pratica della felicità» che Aristotele identificava con la philia, l’amicizia «cemento della polis». Chinarsi su quella traccia esigua, sottrarla all’ombra fitta che l’avvolge e poi prendersene cura è il compito che attende ciascuno di noi. È l’opportunità che ci resta per provare malgrado tutto, pur immersi nella selva oscura di selfie e post, a riconoscere noi stessi specchiati negli occhi degli altri.”

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Antonio Gallo
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Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.