Le condanne del processo Mafia Capitale
La prima evidenza che emerge dalla sentenza di primo grado del processo su Mafia Capitale è che quest’ultimo è un nome improprio. L’associazione a delinquere era l’ipotesi di reato principale ma nessuno dei 19 imputati — su un totale di 46 — sulla quale pendeva quest’ipotesi è stato, infine, condannato. Per lo meno, non per associazione mafiosa. E non è un fatto di poco conto: era la prima volta che si provava ad estendere quest’ipotesi di reato ad imputati non appartenenti alle mafie “canoniche”.
Le pene comminate sono state lo stesso molto severe. È stato confermato il reato di associazione a delinquere di tipo “semplice” — dedita all'estorsione, turbativa d’asta e corruzione — per tutti gli imputati, ad eccezione delle cinque persone assolte. Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, i due candidati principali, hanno ricevuto, rispettivamente, 20 e 19 anni di carcere (la pubblica accusa ne aveva chiesti 28 per Carminati e 26 per Buzzi).
Bisognerà aspettare i successivi gradi di giudizio per i giudizi più netti, ma da questa sentenza sembra emergere la volontà di non estendere l’applicazione del 416bis oltre i soliti ambiti di applicazione , come vorrebbe una parte dell’opinione pubblica e dei media. Roberto Saviano, ad esempio, è convinto che “è ora di rivedere un reato applicabile solo a gruppi capeggiati da meridionali”. È anche vero che per Saviano questo processo “è solo l’inizio perché manca ancora il lato che riguarda sanità e cemento. Questo era il lato che riguardava burocrazia, politica e gestione dell’immigrazione, mancano tutti gli altri passaggi. Questo sistema mostra che senza la corruzione non parte niente, nessun affare”. (Huffington Post)
Dobbiamo però tenere una cosa bene in mente: non era un processo sulla presenza o meno delle mafie a Roma, come ha cercato di fare intendere anche l’avvocato di Buzzi, Alessandro Diddi:
“Abbiamo vinto, abbiamo sempre detto che la mafia a Roma non esiste e così oggi è stato dimostrato. Abbiamo liberato questa città da una mafia costruita. Abbiamo dato una grande lezione alla procura, che ha subito una sconfitta totale. Hanno investito tutto sul 416 bis, hanno impedito di accertare le corruzioni di questa città e ora spero si abbia il coraggio di riscrivere la storia della Pubblica amministrazione di questa città. La sua condanna? Era nelle cose che un imputato reo confesso che ha ammesso tutti i fatti venisse condannato.”
Forse parole dettate dall'euforia del momento, per aver evitato il carcere duro al proprio assistito, ma è bene ribadirlo: il processo non riguardava la presenza o meno della mafia a Roma ma se quella specifica associazione fosse o meno di stampo mafioso. I giudici credono che non sia così. Una parte dell’inchiesta verteva su possibili contatti e influenze della n’drangheta: anche questa ipotesi, però, non ha avuto riscontri.