L’uomo e l’ambiente. Buona informazione o mala informazione?

Alessandro Isolani
La Mosca Bianca
Published in
5 min readJul 24, 2017

Mass media, opinione pubblica e internet. Come stiamo affrontando i problemi legati all’ambiente?

Casper David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, olio su tela, 1818.

Nella società nella quale viviamo tutto è sempre più frenetico ed anche i sistemi di informazione stanno cambiando. Un mondo in cui domina la cultura del visuale, dove la sfera pubblica è spettacolarizzata e l’eccesso del visivo rischia di rivelarsi l’oppio dei popoli del ventunesimo secolo.

Sempre più spesso si tende a spettacolarizzare l’informazione rendendola emozionante oppure raccapricciante, ma sempre e comunque emotivamente “forte” e quanto più possibile spettacolare, a tal punto che i buoni intenti di una volta sembrano sparire nel nulla, così come l’etica professionale, dove pare che alcuni giornalisti si stiano dimenticando che dire la verità è uno dei principi fondamentali del loro mestiere.

Giuseppe Milano, caporedattore di Tv Parma che ha dedicato e dedica diversi servizi riguardo le calamità naturali legate al proprio territorio, ha affermato: «sicuramente per un discorso di enfatizzazione vengono usati termini come “catastrofe naturale” anche per eventi che tali non sono. È una semplificazione giornalistica e servono per attirare l’attenzione di chi legge».

Marco Deriu, professore di sociologia della comunicazione politica e ambientale all’Università di Parma, alla domanda su come crede che si muovano i mass media di fronte ai problemi legati all’ambiente, ha così risposto: «I mass media hanno tre problemi. Il primo è che usano il tema delle catastrofi oggettualizzandole, trasformandole quindi in qualcosa che è completamente disincarnato e disinteressato da fenomeni economici, sociali e politici e il che significa non darsi strumenti per affrontarli e prevenirli. Il secondo è che raramente hanno una visione integrata a questi problemi, mentre bisognerebbe vedere collettivamente questi aspetti dell’ecologia sociale. Il terzo, molto importante per l’aspetto comunicativo, è l’eccessiva insistenza sull’evento estremo. Certamente si presta molto alla drammatizzazione e quindi alla crescita dell’attenzione verso la notizia, il problema però sta nella mancanza di accuratezza e scientificità. […] Il problema più grave dal punto di vista giornalistico e comunicativo è che il sistema della comunicazione è sempre più rapido e sempre più concentrato sugli eventi estremi, mentre noi avremmo bisogno di accrescere la nostra sensibilità e la capacità di riconoscimento e di intervento sulle modificazioni lente. Su quelle che potremmo chiamare trasformazioni silenziose, che non si vedono nell’immediato».

Riguardo la mancanza di attenzione dei mass media di fronte alle catastrofi naturali con effetti a lungo termine ha poi aggiunto: «Non riescono a capire la natura lenta e sistemica di queste trasformazioni e quindi non ci aiutano e ci spingono a concentrarci ad eventi estremi immediati, per poi dimenticarcene. Non sono strutturati e non si strutturano per una comunicazione più costante. Dovrebbe essere meno appariscente e meno enfatica, ma più sistematica, che abbia a che fare con un’osservazione costante».

Dello stesso parere sembra essere Luca Mercalli, climatologo, divulgatore scientifico e presidente della società meteorologica italiana (SMI): «c’è un forte aspetto di cronaca, soprattutto per fenomeni come tempeste, alluvioni e terremoti. La cronaca è immediata, si va nelle zone colpite, si fotografano i danni, si contano le vittime e per qualche giorno c’è una certa attenzione sulle cause, su come sono stati vissuti i soccorsi, eccetera. Questo processo dura in genere tre giorni e poi tutto sparisce! Molta cronaca e poco approfondimento. Qualche parola immediata e imprecisa nelle ore di emergenza e poi la notizia sparisce dopo due o tre giorni». Riguardo la mancanza di approfondimento nei giorni successivi a questi eventi ha poi aggiunto: «Nel periodo di pace bisognerebbe parlare dei problemi di prevenzione dei disastri ambientali, non solo nei momenti di emergenza, ma nei momenti di tranquillità».

Oltre a giornalisti, esperti e politici, la domanda che allora potrebbe sorgere spontanea è come si muova in generale l’opinione pubblica di fronte a questi problemi.

Indubbiamente l’avvento di internet ha portato a una profonda trasformazione del mondo dell’informazione e della comunicazione.

Oggigiorno siamo infatti bombardati da messaggi e notizie, riceviamo un sovraccarico di informazioni (il cosiddetto overloading informativo) abbinato a un’imponente dose di disinformazione che causa una forte riduzione delle funzioni cognitive. D'altronde quantità e qualità non sono sinonimi. Quotidianamente assistiamo a una rapida successione di news, presentate in maniera breve e slegate fra loro e diventiamo incapaci di memorizzare anche eventi avvenuti da poco tempo. A volte possiamo credere di essere informati e di aver colto il senso degli eventi, ma l’aver “guardato” i fatti e le informazioni, è ben diverso dal “rifletterci”. Senza un’accurata riflessione non si può capire a pieno la complessità di un problema, qualunque esso sia. Così come può essere superficiale dare la notizia, lo è anche leggerla.

Luca Mercalli ha definito internet un’arma a doppio taglio: «Da un lato ha fornito un reperimento delle informazioni a livello mondiale che permetterebbe a tutti di farsi un’idea solida, dall’altro questa opportunità non viene quasi mai usata e ci si ferma alla superficialità dei commenti da tifo da stadio».

Il tema ambientale è vitale per una società che vuol avere più futuro e che non vuole lasciare alle nuove generazioni una situazione disastrata, le quali potrebbero trovarsi nel cosiddetto punto di non ritorno.

Un articolo del 29 settembre 2016 de Il Resto del Carlino riporta alcune dichiarazioni di Luca Mercalli in occasione di una conferenza pubblica a Cesena: «Perfino papa Francesco, con l’enciclica ambientale “Laudato sì” e con le dichiarazioni in occasione della “Giornata mondiale per la cura del creato”, invita a riflettere sulla difesa della natura, ma è una voce che grida nel deserto. […] L’invito è quello di utilizzare la conoscenza scientifica e i valori dell’etica universale per salvare noi stessi da un futuro drammatico». Riguardo la prospettiva futura a questi problemi, Luca Mercalli ha affermato: «Faccio questo mestiere da 30 anni e non vedo miglioramenti. Sospendo il giudizio e aspetto di giorno in giorno quello che capita, anche se tendenzialmente sono pessimista». In un ’altra intervista, alla trasmissione radiofonica “Buio in sala”, alla domanda su cosa pensa del tono fortemente pessimista del film documentario “Before the Flood”, ha risposto: «Ha assolutamente centrato lo stato d’animo di noi ricercatori. Non c’è una consapevolezza forte dell’opinione pubblica, dell’urgenza, della dimensione straordinaria di questa sfida che abbiamo davanti e non c’è nemmeno un impegno politico ed economico all’altezza della situazione».

Dobbiamo allora sperare che la gente si organizzi e accetti a cambiare prima di essere cambiati dagli eventi, cambiando per intelligenza e non per necessità.

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